“Peccato che io non sappia volare. Franco Battiato e io” di Massimo Granieri

Don Massimo Granieri, Lei è autore del libro Peccato che io non sappia volare. Franco Battiato e io, edito da San Paolo, che si apre con una lucida quanto amara analisi della fede nella Sua regione, la Calabria: in che modo le parole del cantautore siciliano danno voce ai mali che affliggono questa terra?
Peccato che io non sappia volare. Franco Battiato e io, Massimo GranieriForse non avrei dovuto esplicitare troppo i limiti spirituali dei parrocchiani né evidenziare solo il negativo dei calabresi. Confido nella misericordia dei miei figli, ma “quod scripsi, scripsi” come disse Pilato ai sacerdoti che gli chiedevano di cancellare la scritta “Re dei Giudei” dalla croce di Cristo. Sono però stanco di un sistema che alimenta una religiosità disincarnata dal Mistero. C’è uno scollamento con la realtà e non posso tacere, neanche in questa intervista. Battiato ha cantato il bisogno di tornare alle sue radici, in Giubbe Rosse voleva vivere più a Sud. In Calabria ci sono tornato per obbedienza, nessuno voleva andarci. Rimane un luogo indigesto a molti religiosi. L’esperienza pastorale è forte perché affascinante, la più terribile perché contraddittoria e apparentemente sterile. Una regione con 800 chilometri di costa tra le più belle al mondo da cui fuggono tutti. I giovani non riescono ad aprire una strada per realizzare i loro sogni, colpa d’ingiustizie e di sopraffazioni. Se dovessi scegliere una canzone di Battiato per definire la crisi di fede in Calabria che colpisce anche sacerdoti e religiosi consacrati, suonerei Inneres Auge. Quella linea orizzontale di cui si canta nel brano – ossia la materia – non s’incrocia con quella verticale, la spiritualità. Niente è perduto, ovviamente. C’è chi riesce a costruire un futuro per sé e per gli altri. Rappresenta l’eccezione, non la regola. Povera Patria invece riassume la rabbia di tanti calabresi emigrati altrove, l’indignazione e il lutto per una terra violentata, quella sottile disperazione che fa credere che niente cambierà. Toglie il fiato. Pur vero che Battiato non aveva la pretesa d’essere la voce dei vinti. Ha invece vestito di parole i miei silenzi e placato l’ira per una comunità in rovina. Scrivevo il libro e le ferite sanguinavano. Da mesi annoto accadimenti quotidiani in un diario di preghiera. In quel quaderno scritto a mano mi accorsi dei riferimenti continui a Battiato. Tornavo sempre a lui. Venne così l’idea di pubblicarne qualche pagina. Con la scrittura autobiografica ho trovato un punto iniziale di sutura per chiudere cicatrici provocate da dolori insoffribili. Non volevo mentire ai lettori né romanzare episodi accaduti. Desideravo raccontare la resistenza spirituale in una terra povera e desolata, senza vomitare bile. Vidi già da ragazzo cosa accadde alla mia famiglia costretta a lasciare la ricca Inghilterra per abitare in Calabria. Mi sono servito dello sguardo di Franco, di quell’occhio interiore che scava a fondo delle cose. La crisi di fede di un popolo è conseguenziale alla perdita della dignità. Non c’è lavoro, la sanità pubblica è un disastro, si va in ospedale e si muore. Mio padre è morto di cancro perché curato male e in ritardo, mia madre paralizzata a letto per lo stesso motivo. In Calabria l’aspettativa di vita in buona salute è più breve. L’ultimo rapporto Istat evidenzia che ci sono oltre 12 anni di differenza tra chi nasce nella provincia di Bolzano e chi purtroppo nasce in Calabria. Lo scrivo nel libro: non si può parlare di Cristo a gente che ha lo stomaco vuoto. Quello stomaco bisogna innanzitutto riempirlo con il lavoro e il diritto alla salute che qui vengono negati. I poveri saranno sempre la categoria più amata e soccorsa dal Signore, a noi Chiesa tocca tirarli via da quella miserabile condizione.

Le canzoni di Battiato si intrecciano nel libro inscindibilmente con la Sua vita e la Sua esperienza pastorale: quale consapevolezza le anima?
Sono consapevole d’essere amato dal Signore, perdonato e sostenuto in ogni cosa, direi perfino coccolato da un padre innamorato del suo bambino. In questa adozione a figlio, nel doppio esercizio d’amore che Dio compie nei miei riguardi, c’è l’unica certezza che mi conferma religioso e sacerdote, che mi fa stare in piedi di fronte alle sconfitte e ai fallimenti. Ho imparato a prendere le distanze da me stesso anche quando le cose funzionano, a non credermi onnipotente e indispensabile, a rigettare l’adulazione che a volte arriva carica di insidie. Conta amare e sentirsi amati, servire e accompagnare chi è in difficoltà, facilitandogli l’incontro con Cristo. Nel rapporto con Lui conosco veramente me stesso e gli altri. Un sapere che dà forma a una condotta di vita autentica, non priva di contraddizioni e di fragilità. L’amore di Qualcuno, di cui ignorai l’identità per vent’anni, arrivò per mezzo della musica negli anni nerissimi della giovinezza. Stare davanti al mistero della vita fu il dono più grande ricevuto da milioni di canzoni ingurgitate in quel periodo. Qualsiasi genere ascoltassi, dal più abrasivo come il punk dei Damned a quello ermetico di David Sylvian, capivo che c’era una tensione buona e un viaggio in terre lontane da intraprendere, un protendere verso qualcos’altro diverso da me. Purtroppo, non riuscivo a vedere l’orizzonte di quelle promesse e mi macinavo nell’attesa. Avevo circa undici anni quando ascoltai per la prima volta Bandiera Bianca di Battiato. Ne rimasi sbalordito. Pareva di aver trovato un controcanto, un maestro da ascoltare. Da quel momento, divenne un riferimento imprescindibile, pur non avendo immediatamente gli strumenti per capirlo. Soffrivo di balbuzie e mi scontravo con l’incomunicabilità. Un vero inferno, come il caos dei primi dischi sperimentali di Battiato. Quel difetto nel parlare in pubblico m’impediva di crescere, m’isolai dal mondo. In questi ultimi anni quel silenzio è tornato prepotentemente, così come una lieve balbuzie. Bisognavo di una via d’uscita e in Battiato trovai una mappa da seguire per venir fuori dal labirinto in cui ero finito. Nel percorso di rinascita mi sostiene la certezza d’essere amato da tante persone che manifestano gratitudine per quanto hanno ricevuto dal mio ministero sacerdotale. Ed io non ne ho coscienza. Meglio rimanere con i piedi a terra e la testa all’insù, mentre Cristo si glorifica in me. Un ragazzo, nel giorno della sua cresima in parrocchia, mi consegnò un biglietto dove scrisse: “Grazie per tutto quello che hai fatto per me.” Non ricordo precisamente cosa abbia fatto per lui, ma era felice di avermi accanto. Quell’adolescente mi ha insegnato la fede che si fa carne in una compagnia. Tra le cose più belle successe in questo luogo. Conservo con cura il suo biglietto tra le pagine della Bibbia.

In Franco Battiato, il trascendente rappresenta una dimensione interpretativa fondamentale: in che modo il cantautore siciliano si è avvicinato al mistero divino?
La sua scrittura coincide con la ricerca del divino, lontano dal cristianesimo. Franco Battiato era distante dalla trascendenza così come viene intesa dai cristiani occidentali. Il suo dio non aveva una carta d’identità, un nome né una collocazione confessionale. Bisognerà sempre dirlo, è una questione di onestà intellettuale ed interpretativa in cui i cattolici, a volte, mostrano dei limiti. Si tende a battezzare la musica, l’addomestichiamo in base al nostro Credo, all’etica e ai dogmi che vogliamo siano rispettati nei testi delle canzonette. Un grave errore. La cristianità toccò in parte Battiato nell’esibizione davanti Giovanni Paolo II nel 1989 e nel concerto per la pace ad Assisi nel 1993. Fu vicino ai padri del deserto e rimase affascinato dalla spiritualità carmelitana grazie a una sorella che frequentò un Carmelo e alla vicinanza di Juri Camisasca. Nell’ultimo brano inedito, Lo spirito degli abissi, accorciò per un attimo le distanze con la Chiesa. Seguì gli insegnamenti di Georges Ivanovič Gurdjieff e del filosofo Manlio Sgalambro. Credeva nella reincarnazione, vicino al buddismo e panteista a tratti. In un’intervista dichiarò che non voleva essere qualcun altro per nessun motivo e, dunque, confuso riguardo la vita che non muore. Più volte si scagliò contro i cattolici, non amava Papa Francesco. Si interessò all’idea della resurrezione cristiana negli ultimi anni di vita, ma nessuno può affermare con certezza quali convinzioni abbiamo accompagnato Franco nel suo viaggio verso l’aldilà. Piace il suo tentativo ascensionale in tutti i suoi brani, anche quelli apparentemente poco metafisici.

Lei è il critico musicale de L’Osservatore Romano: che importanza riveste la musica per la fede?
Don Luigi Giussani diceva che nessuna espressione dei sentimenti umani è più grande della musica. Questa dichiarazione nobilita la musica, anche quella contemporanea. La musica è esperienza di Dio. Cristo incarnato ha preso su di sé quel mondo emozionale che ci rende umani. Gli ha dato sostanza e materia. Per la mia fede riveste un’importanza fondamentale. Le racconto un episodio. Pochi giorni fa mi fu comunicato una brutta notizia. Dispiaciuto, cominciai a pormi mille domande su come avessi potuto affrontare quel problema, in che modo consolare chi era nel pianto, come agire e reagire ecc. Non sapevo cosa dire al Signore Gesù. Non mi ero accorto che avevo messo nel lettore cd l’ultimo disco dei Sault, un collettivo inglese di R&B e Soul che ha pubblicato un disco dedicato a Dio. Nulla a che fare con la Christian Music. In quel disco ci sono testi che valgono mille preghiere. Un autentico breviario musicale. Cominciai ad ascoltare le parole con più attenzione e a rivolgerle al Signore. Ecco, in questa piccola esperienza c’è il legame tra musica e fede. Il teologo Romano Guardini scriveva che nella preghiera bisogna cercare altrove le parole che non riusciamo a pronunciare al Signore. Facile trovarle nelle canzoni. Rimango dubbioso dell’uso strumentale che si fa della musica per evangelizzare, ma è un’altra storia. Dio non necessita delle parole dei cantanti per manifestarsi. Se lo fa è per facilitare un incontro, apprezzando le cose che ci piacciono. Percorre strade in cui nessuno oserebbe transitare. Sentieri tracciati dalle canzoni e seguite dal Signore per raggiungerci. Così accade con la letteratura, il cinema, le arti figurative. Tutto ci parla di Dio.

Nell’analisi critica sul quotidiano della Santa Sede fisso lo sguardo su ciò che accade tra l’artista e Dio. Qual è il processo che innesta questo confronto, a volte bello, in altri casi teso e non sempre a lieto fine? Perché un gruppo di musicisti si riunisce e pubblica un album di canzoni spirituali, in un momento storico in cui nessuno più canta Gesù nel pop? Misteri bellissimi cui vale la pena indagare, sempre e comunque.

Qual è l’eredità di Franco Battiato?
Il lascito testamentario di Battiato è riassunto in una frase: suona per il gusto di fare musica e non per avere successo né popolarità. Lui ha fatto sempre quello che ha voluto, è il nostro Frank Zappa. C’è il Battiato sperimentale, quello pop, quello classico, quello elettrico, quello elettronico. Ognuno può scegliersi il periodo di Battiato che gli piace, ogni volta troverà qualcosa di mai udito prima. L’esatto contrario di ciò che accade nella musica cosiddetta di plastica, quella che si crea via social e che dura appena il tempo di qualche click per essere presto dimenticata. Testi deboli in cui si massacra la bella lingua italiana, musica non suonata ma omologata al computer da deejay che si fanno chiamare “produttori”. Mancano gli autori, siamo al capolinea e all’orizzonte non si intravede un orizzonte di bene. Battiato dimostrò che ciò che è complesso può essere trasformato in qualcosa di semplice, accessibile. Lui cantava ciò che viveva, era Franco dentro e fuori il palcoscenico. Uno dei pochi che ha potuto parlare con autorevolezza del divino nell’ambiente discografico italiano chiuso ai temi religiosi. Non c’è un artista simile in giro, è stato un unicum per la musica internazionale e non ci sono eredi degni del suo patrimonio artistico. Rimangono i suoi dischi, teniamoceli stretti.

P. Massimo Granieri, sacerdote passionista, è parroco in Calabria a Laurignano (Cosenza) e responsabile della formazione dei docenti di religione cattolica per l’Arcidiocesi di Cosenza – Bisignano. Critico musicale de “L’Osservatore Romano”. Ha pubblicato Il vangelo secondo il rock (2018) e Il rock’n’roll con tanta anima (2020) editi da Claudiana. Il suo ultimo libro è Peccato che io non sappia volare. Franco Battiato e io (2022) edito da Edizioni San Paolo. Conduce una trasmissione radiofonica su RLB Radioattiva e un podcast dal titolo “Massimo Ascolto”.

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