“Partiti di carta. Leader, iscritti ed elettori nella politica contemporanea” di Marino De Luca

Dott. Marino De Luca, Lei è autore del libro Partiti di carta. Leader, iscritti ed elettori nella politica contemporanea edito da Carocci: quale evoluzione stanno subendo i partiti politici?
Partiti di carta. Leader, iscritti ed elettori nella politica contemporanea, Marino De LucaIl libro parte da una constatazione abbastanza intuitiva degli ultimi decenni della politica italiana in riferimento al numero di partiti e liste che hanno preso parte dal 1992 ad oggi alle otto competizioni per il rinnovo delle Camere. Il dato più interessante che emerge riguarda l’alta percentuale di nuove formazioni politiche in ogni competizione elettorale. Alcuni di questi partiti/liste hanno rappresentato singole personalità con un ruolo incredibilmente importante e funzionale nella dimensione istituzionale e nella macchina statale.

Si è trattato, tuttavia, e si tratta sempre più di partiti sulla carta, a volte creati ad hoc e altre volte destinati a scomparire subito dopo il ciclo elettorale o a diventare altro: fusioni, unioni, scissioni ecc. Sono partiti moderni, certamente importanti e funzionali, ma sempre più realtà inconsistenti costruite intorno alla fluidità contemporanea. Hanno strutturato circoli e mobilitazione territoriale riempiendo luoghi reali e immaginari, svuotati sistematicamente dopo il loro breve passaggio. Contenitori politici un tempo abitati, fucina di idee e movimento e adesso formazioni certificate su carta, su presunte “mappe”, in grado di gestire e strutturare la cosa pubblica. Nomi inventati di partiti inventati che negli ultimi 25 anni hanno creato, modellato e strutturato la realtà della politica italiana. Un post-partito che nasce dalla fine delle grandi narrazioni e che nella forma e nella sostanza cambia immagine di sé stesso e della percezione pubblica.

Come si caratterizzano i processi di intraparty democracy?
Il ricorso a processi di intraparty democracy si deve ad una serie di motivazioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato le trasformazioni dei partiti politici. Tra queste: la necessità di attrare nuovi iscritti per allargare la base elettorale di riferimento o per creare un incentivo alla mobilitazione verso fasce di elettorato nuove o in genere sottorappresentate; il mutamento della natura dei partiti, meno ideologici e più inclusivi; il miglioramento dell’immagine del partito e un aumento della sua legittimità all’interno di un sistema dominato dai mass media.

Tuttavia, la letteratura scientifica segue due grandi approcci differenti rispetto a questi processi. Il primo vede nei processi di democratizzazione l’implosione dei partiti politici, il secondo inquadra l’intra-party democracy come un processo strategico dei leader di un determinato partito che non necessariamente può condurre a queste drammatiche conseguenze.

Come sono cambiate la partecipazione e la mobilitazione politica nella società contemporanea?
All’interno del libro mi riferisco principalmente al ruolo della membership, schiacciata tra una leadership mediatica e un elettorato disancorato. Nella società contemporanea si registra, infatti, una mutazione della membership stessa, leggera e deideologizzata, in crisi di appartenenza e di identità rispetto al partito e sempre più in prossimità con la figura del leader che diventa oggi il maggior punto di riferimento. Questo sentimento di vicinanza aumenta l’importanza del rapporto fiduciario con il proprio leader, ma compromette il livello di lealtà (elettorale) nei confronti del partito. In aggiunta, l’attivismo non è più considerato un elemento di lunga durata e strutturato, ma piuttosto episodico, pragmatico e selettivo. Si rafforza il modello dell’attivismo distanziato che offre la possibilità alla nuova membership di sentirsi parte di un processo politico di cambiamento e di selezione, ma allo stesso tempo agisce sulla smobilitazione delle funzioni di responsabilità e di ingaggio militante. Alle macchine partitiche, sempre più testimoni secondari della vita dei cittadini, concentrati nella raccolta dei voti, si affiancano i partiti/movimenti che in attesa di essere promossi a forma istituzionale mobilitano potenziali elettori cercando di modificare i termini nella raccolta dei voti.

Quali sono gli effetti dei media sulla leadership?
Innanzitutto, la leadership, analizzata in riferimento al tema della personalizzazione, ma anche alla funzionalità di responsabilizzazione e di rappresentanza, risulta caratterizzata da un’enfatizzazione del carisma del leader come figura influente e mediatica rispetto alla posizione apicale e alla figura formale assunta all’interno di una struttura organizzativa. La personalizzazione, inoltre, ha posto il ruolo della leadership istituzionale, soprattutto nei regimi presidenziali, in una dimensione di controllo (o sovrapposizione) rispetto alla leadership partitica. In questi contesti, infatti, i partiti sono sopravvissuti, in alcuni casi accrescendo il loro ruolo, perché si sono adeguati al proprio modello istituzionale diventando delle macchine funzionali al sistema politico presidenziale.

La propensione verso la dimensione governativa ha talvolta salvato l’organizzazione interna, che ha mantenuto una sua legittimità in funzione di un ruolo ben definito, da cui ricavare una sorta di status speciale come “comitato presidenziale” o “macchina elettorale”. In altri casi, la contrapposizione comunicativa e programmatica tra un “noi” (di popolo) e un “loro” (elitario), all’interno di un contesto in cui i media hanno svolto e svolgono il ruolo di agenzia di socializzazione, ha visto nella competizione elettorale sia un modo di incanalare la crescente spinta populista, sia, per altri versi, uno strumento in grado di dialogare con essa, creando un patto tra leadership e popolo in grado di legittimare la stessa democrazia rappresentativa al di là dell’istituzionalità delle mediazioni politiche. In aggiunta a ciò, cambia inevitabilmente il rapporto di accountability di una leadership che si autonomizza dal partito/movimento e che guarda al soggetto raggiungibile e individualizzato, dal quale prendere e al quale tenere e rendere conto.

È forte il richiamo all’individuo come soggetto iconografico in grado di dare un nome al cambiamento o di riscrivere la storia di un paese, un individuo/elettore posto in una posizione di prossimità fisica e ideologica con la propria scelta elettiva nel tentativo di legittimare il ruolo della leadership. Allo stesso tempo, tuttavia, questo individuo si depoliticizza dalla dimensione identitaria e guarda alla leadership con fede personale all’interno di un lungo momento di degenerazione del sistema politico. Diminuisce il sentimento di appartenenza a un determinato partito e i legami diventano deboli, centrati sulle policies, sull’andamento dei governi e soprattutto sull’immagine dei leader. In questo contesto, la rappresentanza diventa visibilità e la leadership guadagna in salienza tutto ciò che ha perso in ideologia. Parafrasando Jacques Séguéla (pubblicitario e consulente politico francese), bisogna riuscire a raccontare una bella storia, fatta di dettagli e di richiami positivi, di emozioni e soprattutto di una visione di speranza e di futuro, tutto ciò a patto che sia il proprio leader a ricoprire in pieno il ruolo dell’eroe. La narrazione diventa un elemento centrale della politica contemporanea in un racconto “pop” da interpretare, veicolare e condividere.

In una democrazia 2.0 i partiti saranno destinati a scomparire?
Le ricerche degli Standing Groups della Società Italiana di Scienza Politica (SISP), di cui faccio parte, “Candidate and Leader Selection”, “Comunicazione Politica” e “Partiti, Opinione Pubblica, Elezioni” e della Società Italiana di Studi Elettorali (SISE) tracciano, attraverso dati empirici, un profilo molto interessante sul ruolo dei partiti nella politica contemporanea.

In generale, il tentativo di implementare l’intraparty democracy si inserisce nell’idea di aumentare il coinvolgimento di persone altrimenti ormai lontane, individualizzate e atomizzate. Si riconosce in questa trasformazione un effetto di sano ritorno della partecipazione politica dopo la prima grande fuga nell’antipolitica. Tuttavia, da uno sguardo più attento alla “scatola nera” della politica non può che emergere come la mobilitazione partitica degli ultimi anni – si pensi al boom delle primarie in Italia – sia stata un tentativo “genuino” di superare la crisi dei partiti amplificando, là dove ne è stato fatto un cattivo uso, la sfiducia nella politica e il distacco tra la forma partito e la dimensione collettiva, accelerando la dinamica di liquidazione dei partiti come organizzazioni politiche coerenti e radicate all’interno del tessuto sociale.

Cosa accadrà nell’immediato futuro? L’unica certezza è che il dominio della forma partito novecentesca è finito e con esso anche una determinata tipologia di rappresentanza. Ma i partiti sono e resteranno a lungo strutture fondamentali per il funzionamento della democrazia così come la conosciamo oggi.

In tutto questo come interviene la rete? Negli ultimi dieci anni, la letteratura ha indagato molto sullo sviluppo e la contestualizzazione delle potenzialità della rete, anche nelle vicende “interne” dei partiti, e sul ruolo dei leader politici che, complice anche il fenomeno della personalizzazione ed un uso più consapevole e strategico della comunicazione, riescono sempre più con facilità a pubblicare i loro punti di vista e le loro opinioni senza l’aiuto o l’approvazione di funzionari di partito e senza l’intervento di giornalisti. Tra le varie funzioni, i siti e i social network, oltre che informare, svolgono un ruolo di mobilitazione, in qualche modo, legato ad una dinamica di tipo comportamentale. L’obiettivo è quello di ottenere un vantaggio elettorale trasformando i cittadini in sostenitori sulla base di schemi di codifica che invitano l’utente a partecipare, condividere e comunicare.

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