“Parole migranti in italiano” di Jacopo Ferrari

Prof. Jacopo Ferrari, Lei è autore del libro Parole migranti in italiano, edito da Milano University Press: che rilevanza ha ormai assunto la “letteratura italiana dell’immigrazione”?
Parole migranti in italiano, Jacopo FerrariDa oltre trent’anni la letteratura italiana dell’immigrazione – che comprende romanzi, racconti, poesie, opere teatrali scritte in italiano da autrici e autori che sono migrati in Italia per le più svariate ragioni – rappresenta una costola rilevante della letteratura italiana contemporanea. La banca dati BASILI&LIMM, che dal 2022 fa parte degli Scaffali Digitali dell’Accademia della Crusca, censisce le opere letterarie, le opere critiche, le tesi di laurea e di dottorato, le autrici e gli autori di questa letteratura. Bene, ad oggi (ottobre 2023) le schedature totali superano le 4.000 unità, di cui oltre 1.000 sono autrici/autori (provenienti da un centinaio di stati diversi) e oltre 2.000 le opere letterarie. Questi dati numerici permettono di farsi un’idea della vastità del fenomeno che chiamiamo letteratura italiana dell’immigrazione.

Questa letteratura è cominciata nel 1990-1991, all’indomani dell’omicidio a sfondo razziale del bracciante sudafricano Jerry Esslan Masslo (avvenuto a Villa Literno nell’agosto 1989), che diede il là a numerose iniziative, cortei e manifestazioni, e ad un dibattito mediatico e politico che sfociò nell’approvazione della «Legge Martelli» (emanata nel febbraio 1990), che intendeva disciplinare l’immigrazione clandestina in Italia. In questo contesto gli immigrati prendono voce e cominciano a raccontare le proprie esperienze, a scrivere le proprie autobiografie, a far conoscere il proprio punto di vista. Escono così, nel 1990, romanzi come Io, venditore di elefanti del senegalese Pap Khouma (con la cura di Oreste Pivetta) e Immigrato del marocchino Salah Methnani (in collaborazione con Mario Fortunato). Da quel momento in avanti, e fino ad oggi, questa letteratura non si è mai arrestata, producendo anche romanzi di rilevanza estetico-letteraria (si vedano le opere, tra gli altri, di Kossi Komla-Ebri, Karim Metref, Anilda Ibrahimi, Amara Lakhous). Anzi, si sono aggiunte esperienze diverse, come le opere dei postcoloniali (originari di Somalia ed Eritrea), che raccontano una pagina piuttosto rimossa nel sentire collettivo, quella delle guerre coloniali italiane, e si è aggiunta l’esperienza delle nuove generazioni, delle figlie e dei figli dei migranti, nati in Italia e quindi con un diverso rapporto con l’italiano rispetto ai loro genitori, particolarmente attive in questi ultimi anni (possiamo citare Igiaba Scego, Sumaya Abdel Qader, Antonio Dikele Distefano, Djara Kan, Laeticia Ouedraogo).

In ambito critico, dopo un iniziale interesse soprattutto da parte dei comparatisti, oggi queste opere risultano di particolare interesse anche per i linguisti, che si interrogano sulle particolarità del loro italiano “multietnico”. Il mio libro si inserisce in questo contesto di studi.

Quali peculiarità presenta l’italiano degli scrittori migranti?
Le peculiarità riguardano principalmente il lessico, le parole e le frasi che leggiamo nei loro testi, molto meno le strutture linguistiche: grammatica e sintassi sono quelle tradizionali dell’italiano, non vi è stato un loro sovvertimento, come alcuni inizialmente ipotizzavano potesse avvenire. È invece nel lessico, cioè nello strato più esterno e permeabile della lingua, che si intravedono le principali novità. Che sono di due tipi: da una parte c’è l’uso di similitudini, metafore, modi di dire o proverbi presi dalla lingua d’origine e trasposti in italiano, che sono sintomatici di un immaginario “altro” rispetto a quello cui attinge un italiano autoctono (frasi come “aveva il cuore grande come una moschea”); dall’altra ci sono singole parole tratte dalla lingua madre che non hanno un corrispettivo in italiano e sono dunque mantenute intatte. Queste parole sono dette “migratismi” e si riferiscono ad oggetti o concetti specifici della cultura di provenienza. Nella letteratura dell’immigrazione se ne trovano in gran numero: nel mio libro, considerando 157 romanzi, ne ho individuati oltre 500.

Che peso assumono, nella loro scrittura, i migratismi?
I migratismi sono dei puntini sparsi nel textus, cioè nell’intreccio (textus, da cui ‘testo’, in latino significa proprio ‘intreccio, tessuto’) che l’autore migrante crea con le parole. Fuori di metafora: in un testo pienamente italiano vengono inserite parole straniere, in gran parte sconosciute per il lettore italiano, che producono un effetto unico e autentico, che solo chi appartiene a due mondi e due lingue può creare.

I migratismi, che come detto non possono essere tradotti, possono però essere spiegati, magari in nota o in un glossario finale, oppure direttamente nel testo, nel seguito della narrazione. Ma possono anche non essere spiegati, lasciati al lettore come invito per un approfondimento personale della parola, per una scoperta del mondo che si cela dietro la parola stessa.

Cosa rivela l’analisi dei migratismi da Lei condotta circa la loro fenomenologia testuale, le lingue di provenienza, i campi semantici maggiormente coinvolti e la classe grammaticale assunta in italiano?
In merito alla fenomenologia testuale, ovvero a come concretamente i migratismi ci appaiono in questi testi, oltre al fatto se siano o non siano accompagnati da glosse esplicative, va rilevato che queste parole creano un effetto grafico sulla pagina (sono di solito in corsivo o tra virgolette) e di straniamento per chi legge, che si accorge della stranezza e particolarità dell’inserto alloglotto. Ci si chiede da quali lingue provengano, e in effetti il discorso sulle lingue di provenienza è molto importante. In termini quantitativi, l’arabo è la lingua che offre più migratismi, ma non è un caso: tra arabo e italiano ci sono rapporti secolari (ricordiamo che sono di origine araba parole molto comuni come zero, cifra, algoritmo, darsena, zafferano), a cui va aggiunto il prestigio e la diffusione della lingua araba nel mondo musulmano. Ciò fa sì che questa sia la lingua più rappresentata. Ma in chiave storica incuriosisce maggiormente la presenza di parole da lingue con cui l’italiano non ha mai avuto contatti nel corso dei secoli: il wolof, il lingala, l’urdu, tanto per citare lingue che hanno decine (se non centinaia) di milioni di locutori nel mondo e che sono comunemente parlate in zone da cui provengono milioni di migranti oggi residenti in Italia. Ma molte parole derivano anche da una lingua a noi vicina, come l’albanese, che storicamente ha preso tante parole dall’italiano, ma ne ha prestate pochissime. Il folto drappello di scrittrici e scrittori albanesi italofoni permette di individuare e considerare parole tradizionali di questa lingua come kanun, besa, fejesa, malok.

I migratismi che ho raccolto nel mio libro provengono da oltre trenta lingue e appartengono ai più svariati campi semantici. I più battuti, comunque, sono quelli della gastronomia (nomi di pietanze e ingredienti tipici), della moda (abiti, vesti, tessuti) e della religione (preghiere, festività, pratiche di culto). Generalmente, queste parole sono dei sostantivi, o almeno in italiano assumono questa categoria, e rappresentano, appunto, nomi di oggetti o concetti specifici. I nomi riguardanti i settori del cibo, della moda e della religione sono anche quelli che godono di maggiore diffusione in italiano.

Come è possibile misurarne l’attecchimento nella lingua italiana?
Ci si può legittimamente chiedere: che diffusione hanno i migratismi? Sono confinati alle pagine della letteratura dell’immigrazione o hanno una vita e una visibilità anche in ambiti non letterari? Un autore che inserisce una voce della propria lingua madre mentre scrive in italiano lo fa per pura nota di colore oppure sta riproducendo una nuova realtà linguistica presente in Italia, verso la quale è particolarmente sensibile?

Per rispondere a queste domande sono partito dai dati raccolti nelle opere letterarie (gli oltre 500 migratismi di cui si diceva), che rappresentano un punto di partenza sicuro e oggettivo, e ho controllato la diffusione di queste parole in altre fonti. In primis, negli archivi dei quotidiani nazionali più letti e diffusi, che sono da sempre considerati di primario interesse quando si studia qualche aspetto dell’italiano contemporaneo, perché riproducono fedelmente un tono medio e generalmente comprensibile. Poi ho verificato la presenza dei migratismi anche in grandi database che raccolgono testi online, creati da utenti del mondo del web. I riscontri sono stati positivi: una larga parte dei migratismi raccolti presentano attestazioni anche in giornali e web, indicative di una diffusione che sta avvenendo su più fronti. Stiamo parlando, è bene sottolinearlo, di una ricerca che si basa per il 75% su parole non registrate su nessun vocabolario e non segnalate in alcun repertorio di neologismi. Cioè sono parole nuovissime. E non importa tanto se raggiungeranno la registrazione lessicografica (come già successo per kebab, halal e hijab), importa che siano la manifestazione concreta di un movimento del lessico italiano, che sta avvenendo all’interno dei confini italiani, a causa del dialogo interculturale che è naturale processo di integrazione “dal basso”, nel senso che avviene in normali contesti di strada, di piazza, di lavoro, della quotidiana vita sociale e civile insomma. A proposito di ciò, alcuni riscontri sulla diffusione si hanno anche dall’osservazione del cosiddetto Paesaggio Linguistico, ciò l’insieme delle scritte pubbliche ed esposte (cartelli, vetrine, pubblicità, insegne), rivolte a tutta la comunità. Anche questa prospettiva di studio sta dando risultati di notevole interesse sulla visibilità dei migratismi nelle strade delle nostre città.

In definitiva, la ricerca è aperta e questo libro ha inteso mettere un primo punto fermo, scientificamente fondato, su un fenomeno linguistico in essere e in divenire, sul quale ci sarà ancora molto da studiare e approfondire.

Jacopo Ferrari è docente presso il Dipartimento di Lingue, Letterature, Culture e Mediazioni dell’Università Statale di Milano. È redattore della banca dati BASILI&LIMM e ha contribuito alla realizzazione del Vocabolario dinamico dell’italiano moderno. È autore del libro Parole migranti in italiano (Milano University Press, 2023) e di vari saggi pubblicati su riviste scientifiche nazionali e internazionali sul tema dell’eteroglossia letteraria, dei migratismi e della lingua della canzone italiana. Si è inoltre occupato della storia della lingua italiana del Cinque e Ottocento.

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