
Il libro parla proprio di uno dei paradossi più significativi delle nostre società contemporanee, che contraddistingue i paesi del Sud Europa: a fronte del medesimo complesso di regole – per definizione, uguale per tutti – le articolazioni dei “sistemi giustizia” funzionano in modi anche profondamente diversi fra loro, ossia non sono in grado di garantire gli stessi standard di prestazione e comportamento. Tutto ciò fa sì che i cittadini dell’Europa meridionale, che si rivolgono alla giustizia per tutelare i loro diritti, molto spesso non vengano trattati allo stesso modo, sia rispetto ai livelli di qualità sia di efficienza del servizio che viene loro erogato.
Il volume, che si concentra sui quattro principali stati del Sud Europa, rispetto a popolazione e superficie – Grecia, Italia, Portogallo e Spagna – si interroga sulle ragioni che spiegano il permanere di queste differenze, che rimettono, di fatto, in discussione il principio fondamentale secondo cui la legge è uguale per tutti.
A dispetto dell’opinione diffusa, negli ultimi anni, diversi tribunali dell’Europa meridionale si sono trasformati in vere e proprie “arene d’innovazione”, dove sono state progettatati, sperimentati e implementati numerosi micro-interventi “dal basso”, di diversa natura e portata, volti, ad esempio, a risolvere i problemi di funzionamento delle strutture, aumentare efficacia ed efficienza dei processi lavorativi, sviluppare sinergie con altre istituzioni pubbliche, dialogare con gli stakeholders del territorio, ridefinire forme e strumenti di comunicazione con l’esterno, migliorare le condizioni di lavoro degli operatori, accrescere il numero e la qualità dei servizi rivolti alle varie tipologie di utenti.
Le numerose evidenze empiriche riportate nelle pagine del libro dimostrano che il “protagonismo” dei tribunali del Sud Europa ha prodotto due effetti paradossali: da un lato, le riforme che sono state adottate negli ultimi anni hanno ottenuto soltanto di rado dei risultati effettivi, duraturi e, soprattutto, diffusi; dall’altro, le innovazioni sviluppate dagli uffici giudiziari sul territorio sono rimaste, perlopiù, un “patrimonio locale”, senza diffondersi negli altri tribunali.
Il libro propone un modello analitico per studiare – appunto – quelli che vengono definiti come i “paradossi dell’innovazione”. Per come è stato concepito, questo framework interpretativo ambisce ad essere applicato in altri sistemi giustizia – in primis, nei paesi dell’America latina, ma anche in altri ordinamenti civil law e common law – così come in diversi settori della pubblica amministrazione, tra cui, in particolare, educazione e sanità.
Su quali ambiti si è focalizzato il Suo studio?
Il volume – che si apre con una prefazione di Livia Pomodoro, già Presidente del Tribunale di Milano – è il risultato finale di un progetto di ricerca quinquennale, finanziato da un grant della Fondazione portoghese per la scienza e la tecnologia (FCT).
L’indagine è stata preceduta da un periodo decennale di ricerca, dapprima con un focus solo sull’Italia, esteso, in seguito, alla Spagna. Nell’ultimo quinquennio, l’inclusione di Portogallo e Grecia ha permesso di completare la comparazione. Il libro rappresenta, pertanto, il frutto di un lungo percorso di riflessione sui sistemi giustizia del Sud Europa.
La ricerca su cui si basa il volume ha riguardato l’ambito giudicante civile, focalizzandosi sui tribunali di primo grado che, da un lato, si configurano come l’interfaccia e il principale punto di incontro fra giustizia e cittadini e, dall’altro, sono stati oggetto della maggior parte delle riforme, realizzate negli ultimi anni nell’Europa meridionale.
Da un punto di vista metodologico, l’indagine ha impiegato quattro tecniche qualitative: interviste in profondità; analisi documentale; osservazione partecipante; shadowing. In particolare, sono state svolte una serie di interviste a giudici, presidenti di tribunale, dirigenti amministrativi, avvocati, funzionari dei ministeri, membri di consigli superiori e scuole della magistratura dei quattro paesi. Allo scopo di esaminare le logiche di funzionamento dei tribunali, sono state condotte diverse giornate di osservazione partecipante in Italia, Spagna e Portogallo e, a causa della barriera linguistica, non partecipante in Grecia. In Spagna e, soprattutto, in Italia sono state realizzate alcune sessioni di shadowing, che hanno coinvolto capi ufficio, giudici, cancellieri e avvocati.
Il libro riporta anche i risultati di un’analisi statistica dei flussi giudiziari, registrati negli ultimi anni nei quattro paesi, che mette in luce la persistenza di notevoli divari territoriali, sia rispetto alla capacità dei tribunali di smaltire i fascicoli arretrati sia per ciò che attiene ai tempi di risoluzione delle controversie.
Quali dinamiche hanno caratterizzato la recente evoluzione dei sistemi giustizia in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia?
Al fine di scattare una “fotografia in movimento” dei sistemi giustizia del Sud Europa, che tenga conto delle molteplici trasformazioni in atto al loro interno, il libro si sofferma su cinque aspetti, fra loro strettamente connessi:
- le riforme introdotte negli ultimi anni;
- il “margine di manovra” dei capi ufficio;
- le innovazioni sviluppate “dal basso”;
- la presenza di eventuali interlocutori a livello locale;
- il ruolo interpretato dai “centri” di questi sistemi.
In primo luogo, il volume propone una mappatura delle riforme più significative, che sono state adottate nei quattro paesi nell’arco temporale 2005-2019, sia sul lato dell’offerta sia della domanda di giustizia, allo scopo di aumentare qualità, efficacia ed efficienza del servizio erogato dai tribunali.
In secondo luogo, posta la crescente centralità dei capi degli uffici giudiziari, viene illustrato e comparato il “margine di manovra” dei presidenti di tribunale – inteso come lo spazio di autonomia che le persone hanno di interpretare il ruolo che svolgono, nel quadro del sistema di vincoli e opportunità determinato dalle regole che ne disciplinano formalmente l’attività. A tal proposito, il libro considera dieci dimensioni de jure (nomina; criteri di selezione; formazione dedicata; durata dell’incarico; rinnovabilità del mandato; valutazione dei dirigenti; staff di supporto; autonomia di spesa; incentivi economici; competenze formali) e cinque de facto (tasso di conferma; percorso di carriera; possibilità di modificare l’organizzazione dell’ufficio; ricerca di risorse all’esterno; promozione di innovazioni locali).
In terzo luogo, il volume accompagna il lettore in un viaggio alla scoperta delle innovazioni che, nel corso degli ultimi anni, sono state sviluppate “dal basso” nei tribunali del Sud Europa. L’indagine, mai realizzata in precedenza, individua dieci macro tipologie di innovazione, in materia di: struttura organizzativa; tecnologie informatiche e telematiche; tecniche di case management; court management e sistemi di monitoraggio e controllo; forme e modalità di erogazione dei servizi agli utenti (parti, testimoni, imputati, vittime, professionisti, imprese ecc.); strumenti di comunicazione interna; strumenti di comunicazione esterna e rendicontazione sociale; forme di interazione e collaborazione con enti e istituzioni del territorio, sia a livello centrale sia locale; forme di interazione e collaborazione con altri apparati e articolazioni del “sistema giustizia”; formazione e sviluppo professionale.
In quarto e quinto luogo, il libro si sofferma, da un lato, sull’incidenza della variabile “territorio” – intesa come quella specifica “arena” in cui si possono svilupparsi dei “giochi cooperativi”, reiterati nel tempo, con altri enti e istituzioni pubbliche – e, dall’altro, sulla capacità del “centro” di questi sistemi – nel caso del Sud Europa, un “centro bicefalo”, composto da ministeri della giustizia e consigli superiori della magistratura – di integrare efficacemente l’attività delle sue “periferie”.
Quali effetti perversi e disfunzionali ha generato il ricorso continuo all’innovazione?
La stragrande maggioranza di autori che, a partire da diverse prospettive interpretative, si è occupata di innovazione nei contesti organizzativi, l’ha sempre considerata come un qualcosa di positivo e auspicabile, da favorire con ogni mezzo.
Questo libro propone di occuparsi anche dell’altra “faccia della luna”, ossia di interrogarsi sugli effetti perversi, inattesi e disfunzionali del ricorso continuo all’innovazione.
In questo senso, il caso dei sistemi giustizia del Sud Europa è particolarmente esemplificativo, anche per comprendere altri settori della pubblica amministrazione.
Negli ultimi vent’anni e, in particolare, a seguito del manifestarsi degli effetti della crisi economica e finanziaria, i paesi dell’Europa meridionale hanno introdotto un grande numero di riforme, allo scopo di innalzare il livello di qualità, efficacia ed efficienza dei sistemi giustizia. Al di là della loro effettiva novità, il ricorso continuo a delle “politiche di innovazione” ha creato molteplici “finestre di opportunità”, che sono state colte soltanto da alcune articolazioni di questi sistemi complessi, ossia da quelle unità che, ai vari livelli, sono state in grado, ad esempio, di ottenere risorse strategiche, di sviluppare partenariati con le istituzioni del territorio o al cui interno sono emersi degli “imprenditori di policy”, disponibili a supportare dei percorsi di innovazione “dal basso”.
Il fatto che l’innovazione si sia trasformata da eccezione a regola ha generato nuove differenze o allargato quelle già esistenti: realtà virtuose, riconosciute come best practices a livello nazionale e internazionale, accanto ad altri territori, anche circostanti che, per diverse ragioni, non sono riusciti a innovare o a innovarsi.
Questa situazione a “macchia di leopardo” determina che per un cittadino o un’impresa non sia affatto indifferente difendersi oppure promuovere un procedimento in un tribunale piuttosto che in un altro. Tutto ciò crea delle mappe della disuguaglianza e dell’ingiustizia, che incidono sia sulla vita e il benessere dei cittadini sia sulla capacità dei diversi territori di raggiungere uno sviluppo sociale ed economico sostenibile.
Il libro racchiude un messaggio esplicito, che si rivolge, in particolare, ai policy makers: l’innovazione senza sosta conduce, inevitabilmente, a soluzioni temporanee, semplicistiche e disomogenee, che non valorizzano le lezioni apprese dal passato e che rischiano di innescare pericolosi “circoli viziosi”, dall’esito imprevedibile, potenzialmente senza fine.
È giunto il momento di ripensare al modo stesso di concepire, governare, valutare e praticare l’innovazione, per evitare l’emergere dei suoi paradossi.
Luca Verzelloni, dottore di ricerca in Sociologia e ricerca sociale all’Università di Trento, è attualmente ricercatore del Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra, membro del gruppo di ricerca Democrazia, Cittadinanza e Diritto (DECIDe) e ricercatore associato dell’Istituto di Informatica Giuridica e Sistemi Giudiziari del CNR. Tra le sue pubblicazioni: Dietro alla cattedra del giudice (Pendragon 2009); Giustizia, territori e governo dell’innovazione (et al., Carocci 2014); Gli avvocati nella giustizia civile (Carocci 2015); Pratiche di sapere (Rubbettino 2019).