
In questo quadro di contesto si inserisce questo volume che tenta, in modo certamente parziale e non definitivo, di aprire un fronte d’indagine come quello dei processi redazionali dei grandi documenti del Magistero pontificio novecentesco sui media fino ad oggi piuttosto trascurato dal pur effervescente campo di ricerca. Sono in particolare analizzati l’enciclica Vigilanti cura (1936) di Pio XI sul cinema e tre documenti di Pio XII: l’esortazione apostolica I rapidi progressi (1954) sulla televisione, i due Discorsi sul film ideale (1955) e l’enciclica Miranda prorsus (1957) dedicata a cinema, radio e televisione. Sono tutti documenti naturalmente molto citati nei vari studi fino ad oggi prodotti su questi temi, ma quasi mai approcciati con uno sguardo storico-critico capace di leggere in profondità i percorsi di maturazione dei testi in relazione alle più generali politiche ecclesiastiche anche per l’impossibilità, fino a tempi recentissimi, di accedere alle fonti primarie della loro redazione. L’importanza di queste analisi condotte con meticolose ricerche dagli autori dei contributi sta proprio nel proporre il primo tentativo di approfondito esame dei processi redazionali di questi testi cardine per comprendere l’evoluzione del magistero dei papi sui media, attingendo alle nuove fonti disponibili negli archivi vaticani. Le ricerche, dunque, gettano ulteriore luce conoscitiva su documenti di estrema importanza per delineare le caratteristiche del filo comune che ha unito il cattolicesimo con il lento ma costante sviluppo dei mass-media e, al contempo, risultano utili per leggere in profondità i percorsi di maturazione dei testi ponendoli in stretta relazione alle più generali politiche ecclesiastiche e al contesto globale nel quale essi vennero prodotti.
Come si è evoluto l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso i media?
Il complesso e spesso contraddittorio rapporto che ha legato la Chiesa cattolica e i media ha avuto un suo primo atto nella benedizione di Leone XIII, ripresa da William Kennedy Laurie Dickson nei cortili e nei palazzi vaticani con una macchina da presa dell’American Biograph and Mutoscope, agli operatori e al nuovo strumento cinematografico, ma, in forma simbolica, su coloro che al di là dell’obiettivo avrebbero potuto vedere quanto ripreso. A partire da questo evento la Chiesa diresse il proprio impegno nell’elaborazione di una doppia strategia che accompagnò per un lungo periodo il suo confronto con i mezzi di comunicazione di massa: da una parte la legittimazione e il sostegno allo sviluppo dei nuovi media, pensati soprattutto come strumento educativo, dall’altra la costante preoccupazione educativa e morale volta a una costante cristianizzazione della società.
In questo contesto, il “doppio registro” ecclesiastico – valorizzazione e vigilanza – fu mantenuto e rinnovato durante il pontificato di Pio XI nel quale il cinema venne indicato come utile strumento nell’ambito educativo ma, al contempo, come una porta aperta ai possibili abusi di natura prettamente morale e alla corruzione dei costumi. La prima grande sintesi della politica alla quale i cattolici italiani si adegueranno in ambito cinematografico è certamente rappresentata dalla lettera enciclica Vigilanti cura del 1936: essa traccia una linea «chiara e definita su questo nuovo strumento di comunicazione, basata su una partecipazione attiva dei cattolici a tutto campo: dalle commissioni di censura, alla critica, dalla produzione all’esercizio» (R. De Berti, Dalla Vigilanti cura al film ideale, p. 79). Anche la Vigilanti cura però si attestò sulla conferma della doppia pedagogia, non mancando di sottolineare i pericoli morali del mezzo e, al tempo stesso, riconoscendone il prezioso contributo educativo e culturale.
La novità impressa dal suo successore Pio XII fu soprattutto nella diversa consapevolezza che papa Pacelli aveva del mezzo cinematografico. Riconoscendone le indubbie potenzialità come strumento privilegiato per raggiungere le masse, egli arrivò persino ad affidare al grande schermo la rappresentazione del suo ruolo di suprema autorità morale attraverso la produzione del film documentario Pastor angelicus diretto da Romolo Marcellini. La prospettiva rimase comunque saldata al nucleo dottrinale di generale condanna della modernità di cui il cinema era l’ultimo prodotto, ma con una maggiore consapevolezza della possibilità di piegare lo strumento in funzione del progetto di restaurazione cristiana contro l’imperversare di una crescente secolarizzazione della società.
Complessivamente, dunque, il contributo principale offerto dai saggi raccolti in questo volume consiste nel rendere assai più chiara proprio l’evoluzione dell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso i media frutto di un progressivo allargamento dello sguardo delle prospettive: accanto ad una politica di attenta vigilanza contro questi mezzi quali potenti veicoli di una modernità in contrasto con i dettami del cattolicesimo, si fece sempre più manifesta una strategia positiva e propositiva verso i media tesa ad adeguare il messaggio della Chiesa per una società nel pieno di mutamenti epocali. Si tratta dei segni più evidenti di quel cammino di maturazione nella consapevolezza di che cosa rappresentassero i media di massa nell’evoluzione sociale e antropologica del contesto contemporaneo, che la Chiesa avrebbe saputo rielaborare più compiutamente in un vero e proprio cambio di paradigma verso il sistema comunicativo solo dopo la svolta del Concilio Vaticano II. In questa luce le innovazioni prodotte da documenti come il Decreto conciliare Inter Mirifica (1963) sugli strumenti della comunicazione sociale e l’Istruzione pastorale Communio et Progressio (1971), che del Decreto fu il necessario completamento, appaiono certamente come frutto della discontinuità innescata in questo percorso da Giovanni XXIII e dal Concilio, ma anche come esito finale di una più lunga transizione che poggiava le proprie basi proprio sui processi ricostruiti e descritti in questo volume.
Quali vicende hanno segnato l’iter di realizzazione dei documenti e la loro diffusione planetaria?
Nei contributi raccolti nel volume sono continui i rimandi, ormai imprescindibili, a contesti internazionali e transnazionali, legami globali e ricostruzioni interdisciplinari. Emerge abbastanza chiaramente come il rapporto tra la Chiesa e i media, non sempre privo di ambiguità e incertezze, abbia influenzato nel corso del tempo e con efficacia differente parte dell’opinione pubblica che si rifaceva al messaggio cristiano. Se, infatti, la società si è aperta sempre di più allo sviluppo e la diffusione dei moderni mezzi di comunicazione come risposta a una nascente globalizzazione, nel contempo ha costantemente guardato con interesse agli atteggiamenti della Santa Sede che, fin dalla nascita del cinematografo, ha fondato la sua azione sulla legittimazione del nuovo medium visto come potente strumento educativo, mantenendo però una pervasiva preoccupazione educativa e moralizzante.
Questo percorso di apertura all’orizzonte globale ebbe una prima definizione con la promulgazione dell’enciclica «americana» sul cinema Vigilanti cura che il corrispondente a Roma del «New York Times» non esitò a definire come «one of the most important if not the most important for America in the annals of the Papacy». A ragione delle reazioni avute dopo l’emanazione, il documento appare «come il frutto di una serie di ponderati compromessi e tattici silenzi, su cui ebbero un peso notevole le recenti esperienze dei vertici vaticani in materia cinematografica, ma anche le valutazioni geopolitiche sul posizionamento della Santa Sede rispetto a uno scacchiere internazionale in crescente ebollizione». L’insistenza su una lettura di questo tipo trova fondamento se consideriamo che il cinema aveva cominciato ad occupare nelle priorità dell’agenda internazionale di Pio XI «una posizione che non era seconda ad altri temi di più supposta importanza». Per la Chiesa si trattava anche di un modo per prepararsi adeguatamente alla «sfida culturale, sociale, politica, geopolitica e georeligiosa» imposta dal rapido sviluppo del medium per eccellenza della nuova cultura di massa e di dare «una risposta con cui tentare di porre il cinema al servizio» di un nuovo protagonismo globale del papato.
Se queste erano le sollecitazioni che guidarono gli anni di Pio XI, a maggior ragione riflessioni di questo tipo si ebbero nel periodo di pontificato di Pio XII che fu il primo pontefice pienamente inserito in una società di massa e capace di indicare alla Chiesa la strada per nuove forme di presenza nella modernità, anche attraverso quegli sviluppi positivi che potevano derivare dal rapporto con i nuovi media. Papa Pacelli si pronunciò in materia cinematografica in diverse occasioni, sia con discorsi (se ne contarono otto tra il 1941 e il 1949) sia nelle encicliche Sacra virginitas (1954) e Miranda prorsus (1957) che, soprattutto, con i due Discorsi sul film ideale. L’equilibrio a lungo cercato in questo campo verrà in parte spezzato soltanto nel 1953 dall’avvento della televisione che avrebbe aperto una nuova era «non soltanto nel mondo dei mass media italiani, ma anche nella politica cattolica sul terreno delle comunicazioni di massa» (G.P. Brunetta, Il cinema neorealista italiano, p. 125). Fu un rapporto pieno di contraddizioni in cui bisognava muoversi attraverso un complicato equilibrio tra comprensione e stretta vigilanza, tra uso del mezzo ma controllo costante: le briglie dovevano essere continuamente allentate e strette a seconda del momento. Fin da subito fu chiara la volontà dei vertici ecclesiastici di non disperdere le opportunità di apostolato che il nuovo mezzo sembrava poter aprire fin dai primi tempi del suo sviluppo e, al contempo, di chiamare tutti i cattolici alla «santa crociata» per una televisione «cristianamente educatrice». Un progetto che divenne la bussola per l’attività dei cattolici nella televisione e che fu «rilevante per l’intero urbe cattolico, come si può ben comprendere dalla strategia di diffusione di tale documento, dalla ricezione e dalle richieste che arrivarono in Segreteria di Stato immediatamente dopo». Uno dei meriti che caratterizzò il pontificato di Pio XII fu quello di intuire la portata planetaria dei cambiamenti in atto e la necessità ormai non più procrastinabile di modificare gli antichi schemi d’azione per porre al centro dello sguardo d’analisi lo sviluppo generale dell’apparato massmediale nella società di massa, contribuendo alla definitiva istituzionalizzazione del confronto tra la Santa Sede e il sistema mediatico nel suo complesso.