
In che modo l’archeologia rappresenta un’antropologia del passato?
Come l’antropologia, l’archeologia si interessa della totalità delle espressioni culturali di una società. Dalla storia dell’arte all’architettura e all’urbanistica, dalla gestione dei rifiuti all’economia. Quello che mi ha sempre affasciato è appunto come l’archeologia ci può aiutare a comprendere le connessioni tra tutti questi aspetti. Un esempio: credo che i testi di autori classici come Parmenide e Aristotele non si possano comprendere senza tener conto del contesto materiale, del “paesaggio” nel senso più ampio, in cui questi autori scrivevano e vivevano. Di questo paesaggio, nel senso di una visione del mondo che gli antichi avevano, fa parte la colonizzazione, ovvero la fondazione di nuovi insediamenti terre popolate da altre genti che parlavano altre lingue e con i quali i Greci avevano rapporti complessi, a volte pacifici, a volte violenti. L’antica Paestum è un esempio eccezionale del fenomeno colonizzatore; è la città magno-greca meglio conservata, perché oltre ai templi abbiamo tracce di necropoli, spazi pubblici, fortificazioni, santuari urbani e rurali e recentemente, grazie a nuovi scavi promossi dal Parco Archeologico di Paestum e Velia, anche un numero crescente di testimonianze dei quartieri abitativi in epoca greca.
Quali scoperte continua a riservare Paestum?
Sicuramente a Paestum ci aspettano ancora molte scoperte sorprendenti, anche in campi dove può sembrare che non ci sia più molto da dire. Negli anni in cui ho avuto il privilegio di lavorare a Paestum, dal 2015 al 2021 abbiamo aggiunto tre nuovi templi all’elenco dei monumenti della città antica: il più spettacolare è stato il piccolo periptero dorico di inizio V sec. a.C. con 4 x 7 colonne scoperto nel 2019 nel quartiere nord-occidentale della città nell’ambito di lavori di restauro e accessibilità della cinta muraria. Ma anche gli scavi – i primi in assoluto con una documentazione archeologica degna di questo nome – eseguiti nel 2020 lungo le fondazioni del tempio di Nettuno hanno portato a scoperte sorprendenti: il grande tempio di età classica, terminato verso il 460 a.C., aveva un predecessore di epoca tardo-arcaica, iniziato verso il 500 a.C. Non sappiamo fino a che punto fossero arrivati prima di cambiare idea, ma le fondazioni e gli strati associati dimostrano chiaramente che inizialmente si aveva in mente un disegno molto diverso da quello che vediamo oggi. Infine, a volte anche analisi di materiali scavati da molto tempo aprono nuove prospettive. Fu così che nel 2019 abbiamo potuto dimostrare, grazie a delle analisi multispettrali, che le metope di prima metà sesto sec. a.C. provenienti dal santuario di Hera alla Foce del Sele, scoperte tra anni ’30 e ’60 del Novecento, erano dipinte. Questo è importante perché dimostra che erano effettivamente montate su un edificio, poiché si pitturavano di norma quando erano già montate. È stato così possibile chiudere un “caso” molto dibattuto da decenni: le metope decoravano veramente un primo tempio di Hera al Sele, o furono solo approntate per un edificio mai realizzato. Ora sappiamo che il tempio è stato completato almeno fino all’altezza del fregio delle metope. E ci possiamo anche fare un’idea di come era fatto quel tempio. Di tutto questo parlo nel libro, che dunque è anche un aggiornamento sulle ultime scoperte nella città antica e nel suo territorio.
L’antica Poseidonia conserva la straordinaria tomba del Tuffatore: in che modo essa racconta la Poseidonia di età classica?
Nel 2018, in occasione del 50° anniversario della scoperta della tomba del Tuffatore, non solo abbiamo organizzato una grande mostra con importanti prestiti da altri musei in Italia e all’estero, ma anche un convegno in cui abbiamo cercato di fare il punto sulla situazione invitando studiosi da tutto il mondo per parlare della tomba più famosa della Magna Grecia. Molte questioni rimangono controverse, ma la ricerca ha anche fatto grandi progressi. Anche in questo caso, nuovi scavi e ricerche nei depositi sono stati fondamentali per inquadrare meglio la tomba del Tuffatore. Sappiamo oggi che questa tomba, per quanto possa sembrare eccezionale – e lo è senza dubbio sotto molti profili – in realtà si inserisce in una tradizione locale, quella di decorare le tombe dei membri dell’élite pestana in una certa maniera. Una tradizione molto esclusiva e attestata da un numero esiguo di tombe, che tuttavia consentono di tirare una linea dalle prime testimonianze di tombe affrescate a Paestum – oltre alla tomba del Tuffatore, la tomba delle Palmette, di fine VI sec. a.C. – fino alle tombe cosiddette lucane di IV sec. a.C. La tomba del Tuffatore, dunque, non è un UFO nel panorama del rito e dell’architettura funeraria di Paestum, anche se le scene figurate con il tuffo e il simposio rimangono singolari, ma espressione di una cultura tipicamente dove si mescolano tradizioni greche, per esempio il simposio, con usanze italiche e etrusche, come per esempio il concetto della tomba come una specie di “casa” del defunto. La tomba del Tuffatore rievoca, infatti, l’andron, la sala da banchetto nelle case dell’élite locale, non solo attraverso le scene di simposio, ma anche attraverso la stessa architettura funeraria.
Quali vicende hanno segnato la storia della città?
Abbiamo poche fonti scritte sulla storia di Paestum, ma sicuramente le vicende che hanno segnato la storia della città furono complesse e a volte traumatiche. La città cambiò lingua ben due volte: prima dal greco all’osco, la lingua di un popolo italico che nel IV sec. a.C. si impadronisce della città, senza tuttavia emarginare la cultura ellenica; poi dal latino con la deduzione di una colonia romana nel 273 a.C. L’archeologia ci consente di leggere nelle tracce materiali i riflessi di queste e altre vicende: per esempio, possiamo studiare come nei santuari della città c’è una sostanziale continuità delle attività rituali dall’epoca greca fino all’epoca romana. A un certo punto Hera diventa Giunone, ma il culto continua, i templi rimangono in funzione, ci sono persino tracce di restauri antichi. Molto diverso è il caso degli spazi pubblici: l’agora greca, con i suoi monumenti civici, viene totalmente obliterata nel momento della riorganizzazione della città adoperata dai coloni romani, che costruiscono un forum secondo il modello dell’Urbe, come in tutte le città romane.
Che rapporti legavano Poseidonia e i Lucani?
I Lucani entrano in scena come alleati, forse mercenari dei Greci di Poseidonia-Paestum, per poi diventare i padroni della città. Anche in queste vicende, le fonti scritte, scarse e in parte contradittorie, non ci aiutano molto. Ma è evidente che qualcosa cambia nella società pestana, soprattutto se guardiamo le pitture delle tombe affrescate di IV sec. a.C., che, diversamente dalla tomba del Tuffatore, si ispirano a un immaginario e a un’ideologia di matrice italica, incentrata sulla figura del guerriero a cavallo. Al tempo stesso, queste tombe ci restituiscono le prime testimonianze di giochi gladiatori, che a quell’epoca, come confermato anche dalle fonti scritte, erano ancora strettamente legate alla sfera funeraria. La ricchezza di dati archeologici e iconografici rende Paestum sicuramente un caso speciale, come anche la storia travagliata della città – ma al tempo stesso è proprio questa molteplicità di contatti e incontri tra tradizioni, culture e popoli che rende il sito emblematico per la storia del Mediterraneo nel suo complesso. Il senso del libro è questo: raccontare Paestum come una città del Mediterraneo antico.
Gabriel Zuchtriegel insegna Archeologia alla Scuola Superiore Meridionale di Napoli. Ha diretto il Parco archeologico di Paestum e attualmente dirige quello di Pompei.