“Paesaggi italiani della protoindustria. Luoghi e processi della produzione dalla storia al recupero” a cura di Roberto Parisi e Augusto Ciuffetti

Prof. Roberto Parisi, Lei ha curato con Augusto Ciuffetti l’edizione del libro Paesaggi italiani della protoindustria. Luoghi e processi della produzione dalla storia al recupero pubblicato da Carocci: quale nuova stagione di studi si apre sui temi riguardanti la protoindustria, le economie integrate e le comunità e i paesaggi delle aree interne italiane?
Paesaggi italiani della protoindustria. Luoghi e processi della produzione dalla storia al recupero, Roberto Parisi, Augusto CiuffettiPer poter parlare di una possibile nuova stagione di studi sui paesaggi italiani della protoindustria è necessario premettere alcune considerazioni. Questo volume raccoglie gli atti di un seminario nazionale di studio svoltosi nell’ottobre 2016 in un piccolo centro abitato di alcune centinaia di abitanti situato nell’Italia centrale, dove poco tempo prima la comunità locale aveva portato a termine un intervento di recupero a fini museali di una gualchiera-tintoria di origini settecentesche, sopravvissuta fino agli anni venti del Novecento. Trattandosi di un intervento di recupero di una testimonianza materiale di interesse storico-produttivo, le intenzioni iniziali degli organizzatori del seminario sono state quelle di sottoporre questo caso-studio, primo tassello di un più ampio progetto di valorizzazione delle risorse ambientali e culturali locali, all’attenzione di studiosi ed esperti nel campo dell’archeologia industriale, con l’obiettivo di perfezionare metodi di indagine e strumenti necessari per una adeguata strategia di rilancio del territorio.

Lo scopo non era solo quello di analizzare in una prospettiva comparativa iniziative analoghe di studio e di valorizzazione promosse in altri contesti regionali, ma anche quello di riflettere sulle potenziali ricadute socio-economiche e culturali di questa particolare forma di patrimonializzazione.

L’impianto organizzativo del seminario e i vari casi-studio analizzati, di cui il volume dà conto, hanno reso subito evidente che il tema centrale di quel confronto dialettico tra studiosi di varia formazione disciplinare era la dimensione storico-produttiva di comunità e di territori che oggi ricadono in aree prevalentemente rurali, considerate marginali sotto il profilo socio-economico, contrassegnate spesso da una debole armatura urbana o infrastrutturale e demograficamente a rischio di estinzione, ma che allo stesso tempo mantengono un rapporto di equilibro ancora accettabile tra risorse naturali e antropiche.

Al centro della riflessione non erano infatti la grande fabbrica o la “città industriale”, lo spazio urbano-industriale delle moderne periferie metropolitane o più in generale i territori fortemente segnati da processi insediativi di matrice taylor-fordista, ma l’insieme alquanto variegato di tutti quei paesaggi nei quali si sono registrati nel lungo periodo una interrelazione o comunque una compresenza di attività silvo-pastorali, agricole, artigianali e manifatturiere e che convenzionalmente possiamo definire appunto protoindustriali.

In tale contesto, infatti, il concetto di protoindustria ha assunto un significato diverso non solo rispetto al modello proposto nei primi anni settanta del Novecento dallo storico Franklin Mendels, ma anche rispetto alla sua riformulazione semantica operata nel corso di questi ultimi due decenni, poiché riflette l’esigenza e il tentativo di superare una lettura del paesaggio basata sull’antinomia urbano/rurale o vincolata a una griglia periodizzante che comprime il fenomeno alla sola età moderna.

Da queste premesse scaturisce la scelta di impegnarsi in un duplice percorso di ricerca. Esso è infatti orientato a riprendere il filo del dibattito scientifico sul tema sviluppatosi in Italia tra gli anni settanta e novanta del Novecento e ad estendere l’attenzione sia verso quei comprensori protondustriali nei quali, diversamente dal modello di Mendels, non si è verificato il passaggio ad un’industrializzazione vera e propria, sia verso tutte quelle forme di integrazione del reddito da agricoltura che hanno caratterizzato la storia del lavoro per quasi tutto il Novecento. Allo stesso tempo, è però necessario che lo studio sui paesaggi della protoindustria non rimanga circoscritto all’ambiente accademico e scientifico, ma costituisca uno strumento in grado di intercettare la domanda di storia che proviene dal territorio e di sostenere le comunità locali che lo abitano in un progetto condiviso di sviluppo socio-economico e culturale.

Quale dibattito storiografico è in atto sul tema delle “questioni territoriali”?
Alla base del ritorno alle questioni territoriali nel dibattito storiografico internazionale vi sono molte ragioni. Da un lato una maggiore consapevolezza dei problemi derivanti dalla rottura degli equilibri ambientali del pianeta che rende in alcuni casi irreversibile l’avvenuto superamento di determinate soglie di abitabilità della terra. Dall’altro lato, la fine del modello fordista di sviluppo economico e la progressiva prevaricazione del capitalismo globale sulle sovranità locali che, rimettendo in discussione le istanze di dominio politico e di costruzione sociale dello spazio entro determinati confini, hanno provocato una perdita di fiducia nella territorialità.

In Italia, oltre ai nuovi problemi di governo del territorio derivanti dalla modifica del Titolo V della Costituzione e dall’emanazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, un ulteriore impulso al dibattito sulle questioni territoriali proviene dall’avvio delle strategie messe in atto dallo Stato nel corso dell’ultimo decennio per il rilancio delle “aree interne” del paese. Ponendo al centro degli interessi del paese alcuni dei problemi socio-economici e ambientali già emersi negli anni Cinquanta del Novecento ed efficacemente sintetizzati da Manlio Rossi Doria con la fortunata metafora della polpa e dell’osso, la strategia nazionale sulle aree interne ha ulteriormente alimentato il ritorno d’interesse verso i temi della marginalità rurale, del recupero sostenibile dei centri storici minori lungo la dorsale appenninica e più in generale dell’uso non dissipativo delle risorse naturali e culturali attraverso nuove forme di coesione sociale e territoriale.

L’impianto concettuale su cui poggia questa strategia segna secondo alcuni studiosi un cambio di paradigma, perché oppone al modello industriale fondato sulla crescita continua e a un tipo di sviluppo urbano-centrico basato sui consumi un modello partecipativo fondato sul coinvolgimento diretto di comunità locali a lungo marginalizzate e su azioni volte a favorire la rinascita dei territori interessati attraverso il rilancio dell’agricoltura, la cura del patrimonio forestale e idrogeologico, la difesa e la promozione delle diversità naturali e culturali.

Tuttavia, in molte letture recenti sul processo di marginalizzazione delle aree interne italiane si riflette ancora una concezione settoriale delle dinamiche socio-economiche che hanno caratterizzato l’evoluzione del paesaggio storico, poiché insiste sulla separazione tra i settori tradizionali del primario, del secondario e del terziario e sulla contrapposizione spesso strumentale tra urbano e rurale, tra agricoltura e industria, più in generale tra centri e periferie.

Proprio rispetto a tali questioni, una nuova stagione di studi sui paesaggi italiani della protoindustria può invece offrire l’opportunità di restituire una lettura non settoriale dei rapporti instauratisi nel lungo periodo tra centri e periferie, tra città e campagne, tra montagne e litorali marittimi.

Il libro adotta un approccio fortemente interdisciplinare – tra storia economica e sociale e storia dell’architettura, tra archeologia, antropologia e storia del patrimonio manifatturiero e industriale – che caratterizza anche l’associazione RESpro-Rete di storici per i paesaggi della produzione.
RESpro – Rete di storici per i paesaggi della produzione è un’associazione giovane, ma riunisce studiosi che da lungo tempo sono impegnati su questi temi e che riscontrando in analoghe esperienze associative una oggettiva difficoltà a favorire una reale contaminazione tra saperi disciplinari diversi e allo stesso tempo a coinvolgere in maniera efficace i territori e le comunità interessate, hanno deciso di far convergere i propri studi in un progetto ambizioso di ricerca scientifica e di impegno civile.

RESpro si pone infatti l’obiettivo di promuovere attività interdisciplinari di ricerca nell’ambito della storia dei paesaggi rurali e urbani, della storia dei sistemi produttivi silvo-pastorali, dell’agricoltura e dell’industria, non solo per incrementare le conoscenze, ma anche per consentire la valorizzazione culturale dei paesaggi della produzione, colti nelle loro dimensioni materiali e immateriali e nelle loro diverse articolazioni economiche, politiche, sociali e territoriali.

Quali percorsi di recupero sono possibili, in una prospettiva globale, al fine di innescare nuovi processi di crescita e di sviluppo locale?
Il riconoscimento testimoniale dei paesaggi della protoindustria può incontrare oggi l’interesse di molti attori sotto diversi profili. Trattandosi di una tipologia di patrimonio fortemente radicata nei territori locali, la sua conservazione e la sua valorizzazione possono essere funzionali a programmi e piani finalizzati a promuovere il “ritorno alla terra”, la rigenerazione di vasti comprensori dominati dal consumo di suolo e da un irreversibile processo di declino sociale ed economico, la green economy e le nuove forme di ruralità come strumenti per favorire la manutenzione attiva del paesaggio e il ripopolamento di quelle aree in fase di profondo calo demografico, lo sviluppo di un turismo lento e non invasivo, capace di coinvolgere le comunità locali in percorsi virtuosi di rilancio economico e culturale del paesaggio basati sul recupero di antiche tecniche costruttive e di antichi saperi artigianali e manifatturieri.

In questa prospettiva è però necessario innanzitutto coinvolgere le comunità in un progetto consapevole di tutela e di conservazione del patrimonio protoindustriale, che non si traduca in pratiche di difesa ad oltranza di presunte identità e autenticità locali o di costruzione di paesaggi imbalsamati e storiograficamente “alterati”, ma che attraverso forme di riuso e di manutenzione sostenibile dei manufatti territoriali e del loro ambiente naturale e antropico sia concepito come strumento di crescita sociale, civile e culturale.

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