“I paesaggi dell’Italia medievale” di Riccardo Rao

Prof. Riccardo Rao, Lei è autore del libro I paesaggi dell’Italia medievale pubblicato da Carocci: che trasformazioni ha subito il paesaggio italiano nell’età medievale?
I paesaggi dell’Italia medievale Riccardo RaoPotremmo dire che, per molti aspetti, il paesaggio italiano è nato nell’età medievale: monasteri, castelli, villaggi e borghi, ma anche i centri storici di molte città costituiscono ancor oggi l’eredità di questo snodo decisivo del paesaggio della Penisola: l’eredità più bella, che attrae turisti da ogni parte del mondo. Più in generale, molte delle modalità di organizzazione dello spazio attuale – pensiamo anche soltanto ai confini dei territori dei nostri comuni – si sono definiti nel corso del medioevo. In linea di massima, nei paesaggi del medioevo contava molto il rapporto con le comunità e i territorio locali: basti ricordare, a titolo di esempio, il ruolo dei beni comuni, i prati e i boschi a cui la popolazione di ciascun villaggio poteva accedere in forma collettiva.

Quali sono i tratti caratteristici del paesaggio sociale altomedievale?
Innanzitutto il paesaggio altomedievale, quello sorto nei primi secoli del medioevo (VI-VII secolo), dopo la fine del mondo antico, è in buona misura invisibile, scomparso o quasi nel corso del tempo. I villaggi, che iniziano a sorgere proprio in quest’epoca, erano piccoli, inframezzati e attorniati da aree verdi e anche le costruzioni erano per lo più in legno. Vasti erano i boschi di querce dove pascolavano greggi di maiali allo stato brado, ridotti e via via deforestati sin dal basso medioevo (dall’XI-XII secolo in poi). Di tutto questo è rimasto ben poco di visibile oggi.
Potremmo dire che i paesaggi altomedievali erano caratterizzati dall’adattamento alla natura, da scelte ecologiche, che integravano l’uso di materiali edilizi locali e sostenibili, e, diremmo oggi, da una buona presenza di biodiversità. Sono tutti temi in cui l’alto medioevo aveva qualcosa da insegnare anche alle società contemporanee.
Sarebbe comunque sbagliato pensare al paesaggio altomedievale come a un paesaggio “primitivo”, segnato da un forte regresso rispetto a quello dell’età antica. I tratti di continuità con il mondo romano sono per molti aspetti rilevanti. Anzi, in molte circostanza gli uomini dell’alto medioevo consentono la conservazione di elementi ereditati dal mondo antico, dalle chiese paleocristiane, a molte canalizzazioni, fino alla centuriazione, la caratteristica forma di organizzazione del territorio voluta dai Romani. Non di rado, inoltre, gli edifici medievali sorgono su domus romane o riutilizzano i materiali dei monumenti romani.

Quali cambiamenti introducono le due età della crescita?
Siamo abituati a pensare al medioevo come a un’epoca di stagnazione. In realtà, il millennio medievale è attraversato da fasi di forte crescita economica e demografica, che cambiano il volto del paesaggio. Una prima età di crescita parte proprio nel bel mezzo di quelli che a torto sono considerati i secoli bui: attorno al IX secolo, quando inizia la deforestazione e la messa a coltura di molte aree boschive. La seconda fase, verso il XII secolo, assume i tratti di un vero e proprio boom economico. E come adesso, quando c’è una forte crescita economica – basti vedere quanto avviene in paesi emergenti come la Cina e il Brasile – l’ambiente viene messo sotto pressione. I disboscamenti sono enormi e questo approccio di “cancellazione” della dimensione naturale inizia a produrre conseguenze ambientali rilevanti, come l’intensificazione dei dilavamenti nelle aree collinari e fluviali. In quest’epoca vengono anche popolate e messe a coltura aree che sino a quel momento, per la loro posizione periferica, erano rimaste per lo più incolte, come le zone vicine ai fiumi e l’alta montagna.

Quale trasformazione sociale e culturale subisce il bosco tra Alto e Basso Medioevo?
L’alto medioevo è un’epoca di vasti boschi e di costruzioni fatte per lo più con il legno. Il bosco assume dunque per gli uomini dei primi secoli del medioevo una forte valenza positiva. È questa l’epoca delle vaste foreste regie, usate dai sovrani per la caccia e per molteplici altre attività economiche, a partire dall’allevamento dei suini allo stato brado, che si nutrono delle ghiande degli ampi querceti. La quercia è infatti in quest’epoca la specie dominante. Nel basso medioevo, a seguito dei disboscamenti e della crescita economica, i boschi che sopravvivono vengono sempre più riqualificati per servire alle esigenze alimentari delle società contadine: dal XII secolo si ampliano enormemente le superfici a castagno, una pianta duttile, che fornisce legname e cibo attraverso il suo frutto. In alcune aree l’economia del castagno è divenuta così importante da fare parlare di una vera e propria “civiltà del castagno”. Il castagno è uno dei tratti caratteristici dei paesaggi italiani, dal Sud al Nord della Penisola: un’importante eredità medievale per il nostro Paese.

L’incastellamento è un fenomeno caratterizzante del X secolo
Effettivamente è così e questa affermazione costringe a mettere in crisi un altro luogo comune sul medioevo. Nella cultura diffusa, a volte anche in quella scolastica, si pensa che siano tipici del medioevo castelli da fiabe della Disney, con torri e pinnacoli che si rincorrono. In realtà, castelli con strutture piuttosto complesse si vedono soltanto nel basso medioevo. La grande età dei castelli è invece, per l’appunto, il X secolo. A quest’epoca, però, i castelli sono soltanto dei piccoli villaggi fortificati: alcune case contadine, qualche edificio più importante di pertinenza delle élite e poi una palizzata, spesso in legno, che recinge e protegge. Contrariamente a quel che si crede, questi castelli non nascono per costruire improbabili sistemi difensivi con torri di avvistamento, ma piuttosto per raccogliere e controllare la popolazione all’interno dei nuovi insediamenti. I signori con i castelli fanno innanzitutto un investimento economico, rivendicando la loro volontà di controllo sulla popolazione, il territorio e le risorse locali.

Quali cambiamenti comporta lo sviluppo delle città comunali?
La storia dei paesaggi d’Italia è innanzitutto una storia di città. E l’età dei comuni è il momento in cui le città – quelle del Centro-Nord, ma anche quelle del Sud dove pure le popolazioni urbane rimangono sottoposte alla monarchia – raggiungono il loro massimo splendore. Le città comunali cambiano innanzitutto al loro interno, creando paesaggi che celebrano il governo collettivo a cui hanno dato vita: spazi di condivisione come le piazze, le fontane o i palazzi comunali. Questi ultimi sono una vera e propria invenzione delle città comunali, che ancora oggi caratterizza molte località dell’Italia centro-settentrionale rispetto al resto dell’Europa: sono queste le sedi del potere politico del comune, ma anche un luogo di incontro per la popolazione urbana, dove fioriscono commerci e altre attività.
Lo sviluppo delle città comunali cambia però anche le campagne a esse soggette, i cosiddetti contadi, che vengono sempre più pensati come bacini cerealicoli per l’approvvigionamento alimentare della popolazione urbana. I comuni promuovono bonifiche e disboscamenti, che talora, però, privano di importanti risorse le popolazioni contadine a beneficio delle città.

Quando e come avviene la nascita dei paesaggi moderni?
Gli ultimi secoli del medioevo introducono alcune novità che già preludono ai paesaggi di età moderna. Si pensa generalmente al XIV secolo soltanto come a un’età di crisi, ma è stato anche un periodo di forte sperimentazione. Vengono abbandonati numerosi villaggi, ma sono anche create nuove forme di insediamento, come le cascine al Nord, i poderi al Centro e le masserie al Sud, che ancor oggi sono un elemento qualificante dei paesaggi delle nostre campagne.
Si rompe però un equilibrio rispetto all’epoca precedente. Aumenta la concentrazione di ricchezze, ma anche la povertà di larghe fasce del mondo contadino. Perdono di potere le comunità rurali. Per contro si avviano, molte lentamente, colture a forte vocazione commerciale e specialistica, come la vite per vini di qualità o il riso, che molto tempo dopo – ma questa è storia recente – si trasformeranno quasi in monocolture.

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