
di Ivan Turgenev
«Questo romanzo è diventato famoso e ha suscitato a suo tempo scandalo perché qui, per la prima volta, viene usato il termine nichilista per indicare l’atteggiamento di chi non crede in nessun valore e rifiuta qualsiasi dogmatismo. Ma Bazarov, il protagonista, più che un nichilista nel senso filosofico corrente, è soprattutto uno spirito critico, e il tema di fondo del romanzo è l’incomprensione tra le generazioni e il cambiamento sociale in atto nella Russia zarista.
Arkadij Kirsanov torna al suo paese dopo essersi laureato, accompagnato da un amico, Bazarov appunto, medico e naturalista. I due arrivano alla fattoria dove vivono il padre di Arkadij, Nikolaj, con la giovane serva Fenecka, da cui ha avuto un bambino, e il fratello di Nikolaj, Pavel, ex ufficiale: un dandy di provincia, conservatore, scontroso e disilluso. Tra Arkadij e Nikolaj non c’è comprensione, ma tra Bazarov e Pavel c’è subito attrito. Dopo un breve soggiorno alla fattoria, i due giovani viaggiano e vengono invitati nella proprietà di Anna Kuksksina, donna originale ed emancipata, di cui si invaghisce Bazarov, mentre Arkadij si innamora della giovane sorella, Katja. Dopo un soggiorno a casa dei genitori di Bazarov, i due tornano dai Kirsanov. Bazarov, colto mentre sta baciando Fenecka, viene sfidato a duello da Pavel, lo ferisce ma lo risparmia; più tardi sarà contagiato dai contadini ammalati di tifo che vuole curare, e morirà tra le braccia di Anna. Nikolaj sposerà Fenecka, Arkadj Katja, Pavel viaggerà, Anna si sposerà, i genitori di Bazarov piangeranno sulla tomba del figlio.
C’è un curioso clima sospeso, nel libro, che si trascina assieme al vagare dei due giovani fino al delinearsi dei destini finali dei protagonisti, perché Turgenev, in fondo, più che raccontare una storia, racconta dei personaggi, li delinea a tinte forti, ne sottolinea doti e contraddizioni, li usa per dipingere un’epoca di transizione. Bazarov, innanzitutto, nichilista sì ma naturalista innamorato degli studi di fisiologia e di medicina; antiromantico, ripudia i sentimenti, ma non può non innamorarsi dell’anticonformista Anna; rifiuta la solidarietà per i contadini, ma muore nel curarli. Arkadij, pur essendo fragile e indeciso, rappresenta l’anima pratica di Bazarov, e lo difende finché può; il suo conflitto con la generazione precedente non assume mai le forme ruvide che prende con Bazarov, ma è storicamente necessario. Nikolaj è un liberale, vorrebbe essere generoso con la servitù della gleba ma non sa gestire con sufficiente energia la fattoria. Pavel è un nostalgico dell’ancien régime, e crede che l’aristocrazia sia un valore in sé; ma poi è pronto a morire per difendere la dignità di una serva, e finisce per risolvere le proprie inquietudini in una peregrinazione senza meta, quasi un’espiazione per la sua inadeguatezza. E i genitori di Bazarov, piccolo borghesi, piegati dal dolore sulla sua tomba, non sono nemmeno riusciti a entrare in conflitto con un figlio che hanno amato ma non capito.
Se questo è un romanzo sull’incapacità di comunicare e sulla rottura generazionale, è perché Turgenev ha colto un momento di passaggio cruciale. La Russia zarista, abolita la servitù della gleba, non sa rigenerarsi e si avvierà al tramonto; ma i giovani borghesi, i Bazarov, non hanno gli strumenti per diventare classe generale, per essere quelli che promuovono il cambiamento. E lo sanno. Nell’accomiatarsi da Arkadij, Bazarov gli dice: «Fabbricati il tuo nido e fa’ più figli che puoi. Saranno ragazzi intelligenti già per il solo fatto che nasceranno a tempo, non come noi due». La loro impotenza sembra delineare all’orizzonte la sconfitta dell’intellighenzia laica e della socialdemocrazia, e il prevalere del bolscevismo.
Nikolaj, che ricorda di aver litigato da giovane coi suoi genitori, e di aver detto a sua madre: «Voi non potete capirmi. Apparteniamo a due generazioni diverse», si rende conto che è un processo inevitabile: «La pillola è amara, ma bisogna inghiottirla! E adesso è venuta la nostra volta e i nostri eredi possono dirci: voi non siete della nostra generazione, inghiottite la pillola». Mentre quello che Pavel non può capire è che, al di là dei cambiamenti sociali, quello che caratterizza la nuova generazione è il bisogno di fare scelte nuove, che ognuno è padrone di sé stesso, e che il vero ostacolo al rinnovamento è l’incapacità di confrontarsi con ciò che è diverso da sé. «L’uomo è in grado di capire ogni cosa», gli dice Bazarov, «ma che un altro uomo possa soffiarsi il naso in modo diverso dal suo, questo non lo può capire.» Tra questi padri e questi figli, in definitiva, non c’è la rottura che divide conservatori e rivoluzionari; c’è la frattura tra la generazione del conformismo e quella della ricerca dell’autonomia del soggetto.»
tratto da I cento libri che rendono più ricca la nostra vita di Piero Dorfles, Garzanti