“Padri e figli. Guida a un rapporto che cambia” di Antonio Sciortino

Don Antonio Sciortino, Lei è autore del libro Padri e figli. Guida a un rapporto che cambia, pubblicato dal Saggiatore: quali sono i fattori del cambiamento nei rapporti tra padri e figli?
Padri e figli. Guida a un rapporto che cambia Antonio SciortinoOggi, educare è davvero difficile. O, meglio dire, è molto più difficile che in passato. Qualche anno fa, da Direttore di Famiglia Cristiana, ho ricevuto un’interessante lettera di un lettore, con qualche studio di sociologia alle spalle, che mi ha fatto tanto riflettere. Parlando della famiglia, osservava che in questi anni c’è stata una vera e propria “rivoluzione copernicana”. E la spiegazione che ne dava era la seguente: “Fino agli anni ’90”, scriveva, “la conoscenza veniva trasmessa di padre in figlio, e ognuno apprendeva dal proprio genitore. Oggi, non è più così. I padri, ad esempio, devono rivolgersi imbarazzati ai figli per imparare l’uso di Internet o per inviare una semplice mail. In questo complesso mondo del digitale, noi adulti riusciamo a muoverci solo con l’aiuto dei ragazzi. Sono essi che, compatibilmente alle loro esigenze, si concedono ai genitori. Cosa mai avvenuta in millenni di storia!”. È, questo, un piccolo esempio che ci dice, però, quali profonde trasformazioni siano in atto non solo nei rapporti tra le persone ma anche nella società, anch’essa in rapidissima evoluzione.

Quali sono le principali sfide educative nel mondo contemporaneo?
In una “società liquida”, come scrive il filosofo polacco Bauman, dominato dalla moderna tecnologia e dalla rete, educare e trasmettere valori ai figli e alle nuove generazioni è diventata una vera emergenza. Ma è anche una sfida da affrontare. Chiediamoci: chi più influenza, oggi, il loro modo di pensare, il loro stile di vita, i loro comportamenti? Sono ancora la famiglia, la scuola, la Chiesa? O hanno altri interlocutori, come il web e i social network, dai quali assorbono tutto, valori e disvalori, incluso il peggio che c’è nella società? Entrare in sintonia con questi ragazzi “nativi digitali”, quasi antropologicamente diversi da noi adulti, richiede un maggiore impegno e sforzo educativo. Per questo la famiglia, la scuola e la Chiesa devono tornare a una rinnovata alleanza, se hanno a cuore l’educazione dei figli e delle nuove generazioni. È vero che i ragazzi sono abilissimi nell’uso (che, molto spesso, è abuso!) di questi nuovi media, dai telefonini ai social network, ma sono fragili psicologicamente e carenti nel saper valutare e discernere l’immenso mondo di informazioni che la rete offre loro. E ciò non fa che accrescerne lo smarrimento. I ragazzi sono facile preda di un vasto “relativismo morale”, non sono più in grado di distinguere il bene dal male, il vero dal falso, ciò che è davvero importante dalle banalità. Internet, infatti, mette tutto sullo stesso livello, non dà priorità o gerarchia di valori. In rete, sempre più spesso, circolano autentiche “bufale” (così si dicono, in gergo giornalistico, le notizie false) o fake news. Per non dire dell’aumento del cyberbullismo in rete, che permette di scrivere i peggiori insulti al mondo, grazie alla possibilità di restare nell’anonimato. Per questo occorre che i genitori e gli educatori aiutino i ragazzi a saper discernere e “vivere” al tempo della rete con maturità e responsabilità. Ma hanno la preparazione necessaria per farlo? E qui i dubbi sono tanti.

Quali cambiamenti ha subito la figura paterna nella nostra società?
La figura del padre è quella che, più di altre, è andata in crisi nel tempo. Nel libro Padri e figli faccio un excursus di quale evoluzione c’è stata nella società. Siamo passati dalla figura del “padre padrone” che aveva quasi un diritto di vita sui propri figli, considerati una proprietà personale di cui disporre a piacimento (ed è stato un gran bene esserci liberati di questa figura, anche grazie alla rivoluzione “sessantottina”), a quella del “padre assente” o “latitante” che considerava la presenza dei figli come un impiccio alla propria realizzazione professionale, per cui delegava il compito dell’educazione alla madre; la sua principale preoccupazione era quella di portare a casa i soldi, garantire alla famiglia un buon livello di benessere, chiedendo in cambio di non essere coinvolto nei problemi di casa e cura familiare, a cominciare dal tempo da dedicare ai figli. C’è, poi, la figura del “padre amico” o “fratello maggiore” che si mette allo stesso livello dei ragazzi, “alla pari” come si dice oggi, scimmiottandone modi di esprimersi e di vestire; gioca a fare l’eterno ragazzo per farsi accettare dai propri figli, e non considera, invece, quanto si rende ridicolo. E quanto i ragazzi, alla fine, non ne apprezzino i comportamenti.

Quale modello di paternità è possibile proporre in un’epoca come la nostra?
I ragazzi non hanno bisogno di un “padre amico” o “fratello maggiore”. Gli amici se li scelgono tra i propri coetanei, tra quelli della stessa età. Hanno bisogno, invece, di un vero padre. Ne invocano la presenza in famiglia e nella loro vita, anche quando non lo danno a vedere o dicono il contrario. Non rimpiangono, però, il “padre autoritario” che si impone con la forza, hanno estremo bisogno di un “padre autorevole” che si propone loro con la forza della coerenza e della testimonianza. Un “padre testimone” che viva in prima persona i valori che intende trasmettere. Anche perché, oggi, ai ragazzi non si può più imporre nulla. Già Paolo VI diceva che i giovani non ascoltano i maestri, ma seguono i testimoni. E se ascoltano i maestri è perché, al tempo stesso, sono testimoni.

Quali soluzioni educative è possibile adottare per costruire un sano rapporto padre-figlio?
Oggi, una risposta significativa ci viene da Papa Francesco, che sembra colmare questo vuoto nel campo dell’educazione. Sono davvero straordinarie le sue catechesi sul rapporto padri e figli. E, soprattutto, le considerazioni sulla famiglia, da lui definita “motore del mondo e della storia”, “patrimonio universale dell’umanità”. Altro che realtà antiquata, di cui fare a meno, osteggiandola e minandone la stessa sopravvivenza, come fa la società odierna! Mi limito, allora, a riportare due consigli di Papa Francesco, rimandando alla lettura più estesa dei suoi interventi: a) Il padre deve essere presente nella famiglia. Deve essere vicino alla moglie e ai figli, accompagnando questi ultimi nella crescita, sia quando sono spensierati sia quando sono angosciati dai problemi della loro età. Ma “presente” non vuol dire “controllore”, perché i padri troppo controllori annullano i figli e non li lasciano crescere; b) Il padre deve sapere attendere e perdonare, dal profondo del cuore. Francesco indica come modello il “padre ricco di misericordia” della parabola evangelica di Luca, comunemente nota come la parabola del “figliol prodigo”. “I padri”, scrive il Papa, “devono essere pazienti. Tante volte non c’è altro da fare che pregare e aspettare con pazienza, dolcezza, magnanimità e misericordia… Certo, il padre sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi”. E aggiunge: “I figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando tornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno; il non trovarlo apre in loro ferite difficili da rimarginare”. Se posso sintetizzare il pensiero del Papa, direi che il compito del padre è quello di accompagnare il cammino dei figli perché crescano “liberi” e “responsabili”, grazie anche all’esempio di vita coerente e credibile che i genitori sapranno offrire loro. Un cammino di amore e di attesa, che sappia rispettare i tempi di crescita dei ragazzi.

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