“Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull’economia a cui continuiamo a credere” di Carlo Cottarelli

Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull'economia a cui continuiamo a credere, Carlo CottarelliProf. Carlo Cottarelli, nel Suo ultimo libro, intitolato Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull’economia a cui continuiamo a credere, edito da Feltrinelli, ha scelto di occuparsi di fake news, o come lei correttamente precisa, di bufale.
Sì, bufale o palle, preferisco usare i termini italiani.

A Suo avviso, qual è l’origine e la causa delle bufale così diffuse in ambito economico?
Le bufale si diffondono più rapidamente in un terreno economico che è debole; quando le cose non vanno troppo bene – e siccome in Italia le cose nell’ultimo quarto di secolo non sono andate particolarmente bene in termini di crescita – la tentazione è quella di trovare risposte semplici a problemi complessi e le bufale forniscono questa risposta.

Chi c’è dietro le bufale e chi ne beneficia soprattutto?
Se mettessi in giro l’idea che c’è un piano preordinato metterei io stesso in giro delle bufale. Non mi piace pensare in termini di complotti. Però non c’è dubbio che c’è una certa coerenza di vedute in queste varie bufale. Infatti l’ultimo capitolo del libro parla della descrizione dell’Italia tramite le bufale e di quella che invece è la descrizione più veritiera.

Chi ne beneficia? Ne beneficiano tutti quelli che vorrebbero spingere per soluzioni semplici, per un cambiamento radicale che però spesso corre il rischio di andare nella direzione sbagliata. Volendo semplificare, c’è tutta un’area che adesso spesso viene definita ‘sovranista’ che di bufale ne ha messe in giro parecchie…

Nel libro Lei precisa di non voler fare un elenco di bufale. Quali ritiene però le più infondate, le più madornali, tra quelle che circolano comunemente?
C’è un tema comune a molte di queste bufale e cioè quello di dare colpa a qualcun altro dei problemi che sono invece molto diffusi nella società italiana e che sono in qualche modo colpe nostre. Chi sono questi altri a cui si dà la colpa? A seconda dei casi all’Europa, ai poteri forti, ai tecnici, a Soros, e così via. Questo perché non si vuol vedere che ci sono problemi che sono nostri e che avremmo dovuto risolvere e non abbiamo risolto.

Potremmo dire che l’euro è un po’ la madre di tutte le bufale: si è detto di tutto di più, peste e corna, sull’euro. Come mai l’euro, il tema della moneta unica, viene così facilmente preso d’attacco dalle bufale?
Prima di tutto c’è una questione di tempi perché effettivamente, con l’entrata nell’euro, più o meno in quel periodo, abbiamo cominciato a perdere terreno in termini di reddito pro capite rispetto agli altri Paesi dell’area dell’euro. Fino agli anni ‘90 perdevamo terreno ma non in termini di reddito pro capite, bensì in termini di reddito complessivo. Alla fine quello che conta è il reddito pro capite. E questo è successo soltanto con l’entrata nell’euro. Effettivamente – perché nelle bufale c’è sempre un fondo di verità – abbiamo vissuto male l’esperienza dell’euro. La bufala, nella mia visione, sta nel fatto che non era un destino che finisse così. Noi abbiamo sofferto l’esperienza dell’euro perché inizialmente abbiamo fatto delle cose sbagliate e, in conseguenza di queste politiche sbagliate, perso competitività rispetto agli altri Paesi dell’euro. Non è che noi fossimo geneticamente incompatibili con l’euro, è che abbiamo gestito male il passaggio.

Pensa che il nostro Paese sia più esposto di altri al rischio delle bufale?
Sì, appunto perché il terreno è abbastanza fertile a causa dell’insoddisfazione riguardo agli andamenti economici. Secondo, il nostro è un Paese in cui l’uso della Rete è molto diffuso e questo facilita la trasmissione delle bufale. Siamo il Paese che spende più tempo sui social. Oltre a questo, abbiamo avuto anche altri problemi, come quello dell’immigrazione che ha comunque portato a una tensione di carattere sociale, come è avvenuto, da questo punto di vista, anche nel Regno Unito. Quindi, in qualche modo, siamo rimasti più esposti di altri paesi al rischio di bufale.

Quali ritiene possano essere le soluzioni contro il diffondersi delle bufale?
Purtroppo non è facile difendersi delle bufale. La prima cosa è cercare di riconoscerle. Nel libro do qualche suggerimento: se un argomento è valido, se un argomento non è una bufala, non c’è bisogno di gridarlo, non c’è bisogno di diffonderlo insieme a insulti, prese in giro o un linguaggio molto colorito. Quindi, se un messaggio mi viene attraverso tutte queste cose, dovrebbe già di per sé farmi dubitare. Poi ci sono alcune tecniche molto comuni nella produzione di bufale. C’è un intero capitolo del libro sulle tecniche di produzione di bufale che riguarda l’uso di parole semplici, parole in codice, ripetizione sempre della stessa parola, che possano suggerire che si tratta di bufale. L’altra cosa importante, essenziale è andare a vedere chi ha scritto certe cose. Se io vado a comprare un libro, cerco di capire chi è l’autore, vado a vedermi in quarta di copertina qual è l’autore. Se io vado da un dentista, mi informo per sapere se quel dentista è un buon dentista. Bisogna quindi evitare di prendere per vero tutto quello che appare su un video: noi abbiamo purtroppo questa tendenza, di prendere per vero tutto quello che ci appare su un video. Poi l’altro consiglio – questo però è ancora più difficile – è di riflettere, cercare di sentire diverse opinioni, passare un po’ di tempo a pensare agli argomenti e sentire chi ha parere diverso su un certo tema. Tutto questo però richiede tempo e richiede volontà di riflettere e per questo è molto facile cadere preda delle bufale.

A suo avviso c’è speranza? Qual è lo stato di salute della nostra economia e del nostro Paese?
Io la speranza non la perdo mai ma il punto non è neanche quello di essere ottimisti o pessimisti. Il pessimismo peggiore è quello che non ti fa fare niente, stai lì, stai fermo. L’unico modo per far cambiare le cose, per migliorare è cercare di fare qualcosa. E questa la domanda che uno si deve porre: «voglio fare qualcosa o non voglio fare niente?» Se non faccio niente, sono sicuro che devo essere pessimista; se faccio qualcosa, forse qualcosa succede.

Informarsi, leggere libri come il Suo, da questi punto di vista può essere di aiuto.
Spero di sì, naturalmente…

Ci consenta un’ultima domanda: la vedremo presto nuovamente in campo?
Ah questo non lo so… Al momento vado avanti a fare il mio lavoro che è quello di predicare… credo ci sia abbastanza da predicare in Italia, vado per televisioni ma faccio anche tante cose dal vivo, batto il territorio a diffondere le idee, le cose in cui credo però per il momento non ho piani di scendere in campo.

Carlo Cottarelli (Cremona, 1954) dopo la laurea in Scienze Economiche e Bancarie presso l’Università di Siena e il Master in Economics presso la London School of Economics, ha lavorato in Banca d’Italia ed Eni. Dal 1988 ha lavorato presso il Fondo Monetario Internazionale, che ha lasciato nell’ottobre 2013 dopo aver diretto il Fiscal Affairs Department. Dall’ottobre 2013 all’ottobre 2014 è Commissario per la Revisione della Spesa Pubblica nei governi Letta e Renzi. È Direttore Esecutivo al Fondo Monetario Internazionale fino a ottobre 2017. Nel 2018 è stato incaricato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella di esplorare l’ipotesi di un nuovo governo. Attualmente è Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano. Ha scritto numerosi libri, tra i quali: La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare (2015), Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene (2016), I sette peccati capitali dell’economia italiana (2018) e Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull’economia a cui continuiamo a credere (2019).

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