“Origine e viaggi avventurosi delle piante coltivate” di Luigi Mariani

Prof. Luigi Mariani, Lei è autore del libro Origine e viaggi avventurosi delle piante coltivate edito da Mattioli1885: quando e come nacque l’agricoltura?
Origine e viaggi avventurosi delle piante coltivate Luigi MarianiL’agricoltura nasce circa 10mila anni orsono, al termine dell’ultima era glaciale, con la rivoluzione neolitica che avviene in quattro centri remoti e fra loro non comunicanti e cioè l’Asia sudorientale, culla delle civiltà del riso, il Medio Oriente, culla della civiltà del frumento, l’America centro-meridionale, culla della civiltà del mais e infine l’Africa sub-sahariana, culla delle civiltà del sorgo. La rivoluzione neolitica tuttavia fu preceduta da una lunghissima fase, detta di ignicoltura, nella quale i nostri progenitori avevano impiegato l’incendio intenzionale del sottobosco e delle praterie per stimolare la germinazione di piante erbacee utili sia per gli usi alimentari (cereali spontanei, specie eduli bulbose, rizomatose e da tubero, ecc.) sia come richiamo per gli animali selvatici che poi potevano essere cacciati. Di tale passato remoto restano tracce nei comportamenti delle ultime popolazioni dedite a caccia e raccolta (es: indiani dì America). Peraltro l’uso del fuoco sarà fatto proprio dagli stessi agricoltori neolitici che ne faranno uso per liberare dal bosco i terreni da coltivare a cereali. Tracce di tale antica tradizione si ritrova negli etimi: Svizzera e Svezia (radure aperte con il fuoco), il nome greco dei cereali (puros) con pur=fuoco, il nome slavo antico dei cereali (pyro) il francese brasserie per birreria (la birra si fa con malto d’orzo e secondo Plinio (Nat. Hist. XVIII, 7, 627) i celti chiamavano i cereali bracis (=brace).

Nel Suo libro, Lei dedica ampio spazio alla vite: quali vicende ne hanno caratterizzano la diffusione e la coltivazione?
Un ampio spazio è stato in effetti riservato alla vite, che dopo essere stata domesticata oltre 6 millenni orsono fra il Caucaso e i monti Zagros, ha raggiunto i nostri lidi intorno a mille anni prima della nascita di Cristo, lasciando un’impronta indelebile nei paesaggi e nei costumi nel nostro paese. La viticoltura italiana ha due genitori e cioè da un lato Etruschi e Galli che praticano la viticoltura “maritando” la vite agli alberi (l’acero campestre – oppio in vari dialetti padani, dal latino opulus – era il classico “marito” della vite) e la viticoltura greca, che allevava la vite su pali (Oenotroi, da cui Enotria, nome dato da i greci all’Italia, sede di tante loro colonie).

Frumento, riso, mais e soia sono fra le colture più importanti per l’agricoltura italiana eppure tutte originano in altri continenti.
Le quattro specie che furono fra le prime e le principali protagoniste della rivoluzione neolitica (frumento, riso, mais e soia) sono ancor oggi qui con noi umani, a garantire oltre il 60% del nostro fabbisogno calorico. E se tali quattro specie sono oggi coltivate in cinque continenti vuol dire che hanno viaggiato trasportate da nostri progenitori e cioè da commercianti e da agricoltori. Già, perché l’alleanza fra agricoltura e commercio è da sempre un elemento chiave per diffondere e far progredire la civiltà. Un esempio ci viene dalla scogliera di Bouldnor in Inghilterra: un gruppo di ricercatori britannici ha recentemente analizzato dei suoli vecchi di 8000 anni oggi ricoperti dal mare e posti nei pressi della costa britannica, nello stretto canale che separa l’Hampshire dall’Isola di Wight. Gli studiosi si sono avvalsi di tecniche innovative che hanno consentito loro di studiare le tracce di DNA presenti e il loro stupore è stato enorme nello scoprire la presenza di DNA di frumento datato a ben 2000 anni prima che la sua coltivazione facesse la sua comparsa nelle isole britanniche. L’ipotesi più accreditata è allora che tale inaspettata presenza sia frutto delle reti commerciali che già a quei tempi univano i popoli del sud Europa, già dediti all’agricoltura, e quelli del Centro-Nord, a quel tempo ancora impegnati nelle economie di caccia e raccolta proprie del mesolitico. È sufficiente questo esempio tratto dalla bibliografia scientifica recente per calarci nello spirito di un libro che affronta il tema della nascita dell’agricoltura e dei viaggi avventurosi che le specie coltivate hanno compiuto per aggiungere i nostri campi e garantirci livelli di sicurezza alimentare che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Oggi infatti frumento, riso, mais e soia sono fra le colture più importanti per l’agricoltura italiana, la quale le ricevette in dono dai popoli di altri continenti sapendo poi con grande maestria inserirle in sistemi colturali in grado di valorizzarne appieno il potenziale produttivo.

Quali innovazioni portarono in agricoltura le grandi scoperte geografiche dell’età moderna?
I viaggi che fra XVI e XVII secolo rivoluzionarono le nostre conoscenze geografiche si rivelarono altrettanto rivoluzionari sul piano agricolo-alimentare. Mais, patata, pomodoro, fagiolo sono solo alcune delle specie che ci giunsero dal nuovo mondo. Ed interessante sul piano antropologico è ragionare in merito all’accoglienza che tali specie ebbero nel “vecchio mondo”. Nello specifico il fagiolo fu accolto in modo rapidissimo perché confuso con il “fagiolino dell’occhio” che era un cibo noto fin dai tempi dei Romani e una buona accoglienza fu riservata anche al mais, in quanto usato per fare polenta, alimento tradizionale delle popolazioni rurali che prima dell’avvento del mais la producevano utilizzando colture assai meno produttive (i cereali estivi miglio e panico, i cereali autunnali non panificabili e legumi vari). Più difficile fu invece l’accettazione della patata e del pomodoro, specie per le quali la diffidenza dei nostri avi derivava sia dal fatto che tali specie appartenessero alla famiglia delle solanacee a cui afferiscono varie specie velenose (ad esempio la belladonna) sia, nel caso specifico della patata, per il fatto che si tratta si un prodotto che cresce sottoterra, il che gli dava una connotazione vagamente sinistra.

Qual è lo stato di salute dell’agricoltura italiana e mondiale?
Ottimo se consideriamo che le 4 grandi colture che essenziali per la sicurezza alimentare globale (frumento, mais, riso, soia) aumentano la loro produttività del 2-3% l’anno facendo fronte in modo encomiabile all’aumento della popolazione mondiale. È questa crescita produttiva a renderci ottimisti circa la possibilità dell’agricoltura di far fonte a due fenomeni chiave del nostro tempo che sono da un lato la crescita incessante della popolazione mondiale che ha già superato i 7 miliardi di abitanti e raggiungerà i 9 miliardi di abitanti nel 2017 e dall’altro il crescente inurbamento che vede la genesi e lo sviluppo prorompente di megalopoli il cui approvvigionamento alimentare dipende da reti logistiche sempre più complesse.

In un modo sempre più globalizzato e tecnologico, quali prospettive per l’agricoltura?
L’agricoltura è ancor oggi una tecnologia insostituibile ed è chiamata a valorizzare il proprio retroterra culturale che fin dalla rivoluzione neolitica la vede come detentrice di un sapere fortemente innovativo. Se i frumenti selvatici hanno 14 cromosomi, gli agricoltori de neolitico, fra 6 e 9 mila anni orsono, selezionarono fumenti a 28 e 42 cromosomi (grano tenero e grano duro) e cioè dei veri e propri OGM ante-litteram essendo frutto dell’ibridazione di specie di due generi diversi (Triticum e Aegilops). Inoltre all’agricoltura furono in passato applicate tecnologie rivoluzionarie come quella del ferro che consentì di produrre strumenti innovativi come gli aratri con vomere metallico o le falci messorie e fienaie. E capite cosa abbia potuto significare disporre di strumenti che ponevano in grado di produrre fieno e cioè foraggio conservabile per l’inverno.
Siamo dunque chiamati ad avere fiducia nell’innovazione tecnologia nei settori della genetica e delle tecniche colturali e a non rifugiarci in agricolture di nicchia come il biologico e il biodinamico, che fanno del rifiuto della tecnologia la propria bandiere e che proprio perché di nicchia sono destinate a restare appannaggio di elite, senza aver la benché minima possibilità di dare risposte concrete al problema della sicurezza alimentare globale.

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