“Oltre le barricate. Storia, politica, religione e l’Ulster della pace” di Donato Di Sanzo

Oltre le barricate. Storia, politica, religione e l’Ulster della pace, Donato Di SanzoDott. Donato Di Sanzo, Lei è autore del libro Oltre le barricate. Storia, politica, religione e l’Ulster della pace edito da Aracne. Quella che ha insanguinato le città dell’Ulster tra la fine degli anni Sessanta e le soglie del terzo millennio è stata spesso frettolosamente etichettata come una contrapposizione tra cattolici e protestanti: perché tale lettura è in realtà superficiale?
La rappresentazione del conflitto in Irlanda del Nord come una guerra di religione o come una contrapposizione tra cattolici e protestanti ha rappresentato una semplificazione di una vicenda ben più complicata che, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, nell’epoca dei cosiddetti Troubles, ha facilitato il compito di una stampa e di una informazione mainstream, impegnate a raccontare i disordini, gli attentati e le uccisioni nelle sei contee dell’Ulster. In realtà, la contrapposizione intercomunitaria presente in quel contesto ha radici nei secoli e ha riguardato la dimensione politica, economica, etnica, culturale e, anche religiosa. Rispetto a una realtà articolata, come quella nordirlandese della seconda metà del Novecento, le etichette confessionali adoperate per il racconto dei Troubles (che pure ritornano utili all’occorrenza) hanno condotto, quindi, a una eccessiva focalizzazione dell’attenzione sull’elemento dello scontro di religione, il quale si prestava più di altri, oltre che a una semplificazione di facile utilizzo, anche a un’operazione di strumentalizzazione politica delle caratterizzazioni culturali presenti nella società dell’Ulster. È innegabile che in Irlanda del Nord esistesse (e continui ad esistere) l’élite di una comunità maggioritaria, di massiccia appartenenza protestante (ma anche politicamente unionista e lealista nei confronti del potere britannico), che si rese autrice di un’opera di discriminazione economica, politica, sociale ai danni di una corposa minoranza di massiccia appartenenza cattolica e in larga parte nazionalista, sostenitrice della prospettiva di riunificare l’Irlanda. Tuttavia, come si evince anche dalle interviste ad alcuni protagonisti dei Troubles nordirlandesi, riportate nell’appendice al mio volume, il conflitto in Irlanda del Nord non può essere classificato come una guerra di religione. Praticamente tutti gli intervistati concordano sul punto e, ad esempio, l’appartenenza protestante alla Church of Ireland di Ian Cooper (dalla cui storia è stato tratto il film Bloody Sunday) non gli impedì di essere uno dei principali attivisti del movimento per i diritti civili attivo in Ulster tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che, di fatto, reclamava, tra le altre cose, la fine della discriminazione subita dai cattolici.

Quali vicende hanno segnato i moderni Troubles in Irlanda del Nord?
In una considerazione della storia dell’Irlanda contemporanea utile a ricostruire i passaggi fondamentali dei Troubles nordirlandesi non si può non menzionare un avvenimento cronologicamente precedente allo scoppio del conflitto di fine anni Sessanta-inizio anni Settanta del Novecento: la partition dell’isola d’Irlanda seguita alla sottoscrizione dell’accordo anglo-irlandese del 1921, con cui si sancì la nascita di un Irish Free State facente capo a un governo di Dublino e di un’autorità dell’Irlanda del Nord nel territorio dell’Ulster a trazione unionista e direttamente dipendente dalla corona britannica. Tale passaggio non fece altro che fornire una cornice anche territoriale e amministrativa a una divisione intercomunitaria che era già presente, per altro rappresentando l’atto ufficiale con cui si instaurava una “ufficiale” discriminazione ai danni della nutrita minoranza irlandese e cattolica presente nelle sei contee nordirlandesi. Nel tentativo di citare, invece, una sequenza di tappe che hanno segnato l’esperienza dei Troubles si deve necessariamente far riferimento a tre avvenimenti: la repressione violenta, il 5 ottobre del 1968 a Derry, di una marcia per i diritti civili in favore di larga parte della componente cattolica della popolazione nordirlandese, che segnò, di fatto, la nascita dei Troubles; la Bloody Sunday del 30 gennaio 1972, sempre a Derry, quando l’esercito britannico sparò alla cieca contro i partecipanti a una nuova marcia per i diritti civili uccidendo 14 manifestanti e provocando una escalation militare del conflitto, la cui titolarità passo nelle mani di organizzazioni paramilitari repubblicane (l’IRA Irish Republican Army guidato da una nuova e giovane leva di comandanti come Martin McGuinness e Gerry Adams) e lealiste; l’accordo del Venerdì Santo del 1998, con cui si firmò la pace che avrebbe posto fine al conflitto e avrebbe condotto alla sperimentazione di formule di governo condiviso dell’Irlanda del Nord in grado di portare al potere, a Belfast, insieme, acerrimi nemici, capi radicali dell’esercito repubblicano come Martin McGuinness e pastori ultraprotestanti e lealisti come Ian Paisley. Ovviamente, insieme a questi tre avvenimenti, numerose altre vicende hanno segnato profondamente la vicenda dei Troubles, una guerra che ha prodotto più di 3000 morti ammazzati e una lacerazione sociale con cui il contesto nordirlandese ha ancora a che fare.

Quali sono le ragioni profonde di un conflitto che affonda le radici nei secoli?
Come già anticipato, le ragioni del conflitto in Irlanda del Nord sono molteplici e articolate, oltre che in grado di affondare le radici nei secoli. Un avvenimento come la mancata adesione dell’Irlanda e degli irlandesi alla Riforma scavò, ad esempio, un solco tra l’isola e il potere della corona britannica nella prima metà del Cinquecento, mentre un processo di migrazione di coloni protestanti scozzesi e inglesi verso l’Ulster, risalente all’inizio del XVII secolo e noto come la cosiddetta Plantation favorita da Londra, introdusse i primi elementi di conflittualità tra i nuovi arrivati e gli irlandesi a larghissima maggioranza cattolici. Nel corso dei secoli, tale contrapposizione si è arricchita di elementi religiosi e simbolici, spesso connessi a guerre ed eventi bellici, ma è stata alimentata anche da una situazione socio-economica che ha rappresentato un elemento di indiscutibile separazione tra la componente “protestante” della popolazione nordirlandese, detentrice del potere politico ed economico e desiderosa di rimanere sotto l’autorità della corona inglese, e la componente “cattolica” e “indigena”, spesso discriminata sia dal punto di vista dei diritti umani e politici, sia riguardo alla allocazione delle risorse, e politicamente schierata per l’indipendenza dell’Irlanda. Una situazione del genere ha raggiunto il suo apice nel Novecento, quando la partizione dell’isola ha creato un’autorità di governo a trazione unionista e protestante a Belfast, in grado di reggersi su una legislazione discriminatoria nei confronti degli irlandesi e dei cattolici. La degenerazione del conflitto in una guerra tra gruppi paramilitari repubblicani e lealisti, risalente alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, si deve, invece, alla sostanziale e spregiudicata repressione che il governo unionista nordirlandese e il potere di Londra hanno condotto nei confronti del movimento per i diritti civili che reclamava, pacificamente, un miglioramento delle condizioni di vita sostanziali di tutti coloro che subivano soprusi e discriminazioni. La “mano pesante” utilizzata nei confronti del Northern Ireland Civil Rights Movement determinò l’escalation della violenza, ma soprattutto l’ascesa delle forze più radicali del sistema politico dell’Ulster e delle loro organizzazioni paramilitari, in grado di spostare il conflitto sul piano della lotta armata e del terrorismo a partire dalla prima metà degli anni Settanta. L’aumento della tensione non fece altro che allargare il solco intercomunitario esistente tra le due parti contrapposte e generare sentimenti d’odio reciproco le cui conseguenze sono ancora tangibili.

Qual è la situazione attuale in Ulster?
Nello scorso gennaio si è ricostituito, dopo mille giorni di vacanza e di confronto/scontro politico, il governo dell’Irlanda del Nord, presieduto dalla leader del Democratic Unionist Party Arlene Foster e dalla leader del Sinn Féin, il principale partito repubblicano, Michelle O’Neill. La legge in vigore nelle sei contee dell’Ulster prevede il cosiddetto power sharing, secondo cui a sostenere l’esecutivo debbano essere tutte le forze politiche rappresentate nel parlamento di Belfast (attualmente, oltre a DUP e SF, sono presenti nell’assemblea e sostengono il governo l’Ulster Unionist Party, il Social Democratic Labour Parti e l’Alliance Party). Le difficoltà intercorse nel processo di formazione del gabinetto presieduto da Arlene Foster sono il frutto dell’esito delle ultime elezioni parlamentari nordirlandesi, svoltesi nel marzo del 2017, che avevano confermato la polarizzazione dello scenario politico delle sei contee tra gli unionisti del DUP e i repubblicani del Sinn Féin, i quali avevano fatto registrare un aumento dei propri contesti, seguito, tra l’altro, all’ascesa di una leadership giovane e meno connessa all’esperienza dei Troubles impersonata da Michelle O’Neill. Dal punto di vista sociale, la situazione in Ulster è connotata da quella che è stata definita “segregazione di fatto”, un regime di scarsa interazione intercomunitaria, nonostante la pacificazione intervenuta all’indomani degli accordi di pace del 1998. Le due comunità eterogenee protagoniste della contrapposizione durante i Troubles vivono in una condizione di statica convivenza e permangono le barriere, anche fisiche, che non consentono numerose occasioni di collaborazione. A Belfast, ad esempio, alcune zone a maggioranza unionista e protestante sono separate da alcuni quartieri a maggioranza repubblicana e cattolica da un muro chiamato Peace Line, mentre la città di Derry/Londonderry il fiume Foyle costituisce un elemento di divisione “naturale” tra i due gruppi. In una situazione simile è latente il rischio di una recrudescenza degli odi intercomunitari, talvolta manifestatasi, negli ultimi anni, in veri e propri episodi di violenza cavalcati dalle organizzazioni paramilitari che non hanno mai dichiarato il cessate il fuoco (come la Real IRA). Nell’aprile del 2019, ad esempio, nel corso di scontri avvenuti a Derry/Londonderry, ha trovato la morte la giornalista Lyra McKee, colpita a fuoco da due giovani appartenenti al terrorismo repubblicano ancora attivo.

Quale futuro, a Suo avviso, per l’Ulster?
Al momento l’Irlanda del Nord vive un momento di profonda transizione, dovuto sia allo stallo politico interno, il cui superamento attende la prova dei fatti e andrà verificato valutando l’operato del neocostituito governo di Belfast, sia, soprattutto, agli effetti ancora incerti che la Brexit introdurrà nella vita quotidiana e nelle relazioni politiche delle sei contee dell’Ulster. Il confine territoriale tra il territorio nordirlandese e la Repubblica d’Irlanda è l’unico confine di terra esistente tra il Regno Unito e l’Unione Europea e, al netto delle rassicurazioni che il governo britannico ha diffuso in merito al fatto che poco cambierà nelle relazioni transfrontaliere attive nell’area nord-orientale dell’Irlanda, la “letteratura” legata all’uscita del UK dall’Europa non lascia presagire, almeno per il breve periodo, una facile sedimentazione dell’idea che una nuova frontiera propriamente detta torni a dividere l’isola. Ancora più incerte sembrano le ricadute politiche della Brexit in Ulster e in tutto il contesto irlandese. In occasione del referendum sull’uscita del Regno Unito dalla UE, infatti, una chiara maggioranza dell’elettorato dell’Irlanda del Nord aveva votato per il Remain e l’oltranzismo dei conservatori britannici nel conseguire l’effettivo abbandono dell’Europa ha rinfocolato i sentimenti nazionalisti e repubblicani in tutta l’Irlanda, favorendo i partiti che non hanno mai ufficialmente rinunciato alla prospettiva di riunificare l’intero territorio dell’isola sotto un’unica autorità politica. Il Sinn Féin, ad esempio, ha tratto notevole vantaggio dalla situazione incerta legata alle conseguenze della Brexit, riuscendo a incrementare in maniera considerevole i suoi consensi anche nel territorio della Repubblica e risultando primo partito in occasione delle elezioni generali per il parlamento di Dublino del febbraio scorso. Il futuro dell’Ulster, insomma, sembra legato come non mai alle vicende di politica interna e internazionale che riguardano tutto lo scenario britannico e irlandese. In questa cornice bisogna assolutamente non distogliere l’attenzione dalla latenza delle diffidenze intercomunitarie che ancora percorrono la società nordirlandese e che ancora covano sotto la cenere di un conflitto chiuso poco più di vent’anni fa. In termini più positivi, infine, anche per smentire la presunta natura eminentemente ed esclusivamente religiosa del conflitto in Irlanda del Nord, è necessario guardare alle esperienze di dialogo interreligioso e intercomunitario a cui hanno dato origine le diverse denominazioni confessionali presenti in Ulster che, a oggi, rappresentano concreti segnali di riconciliazione.

Donato Di Sanzo, dottore di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università di Salerno, collabora con le cattedre di Storia contemporanea e di Storia delle relazioni internazionali dello stesso ateneo. È autore di articoli e saggi sul conflitto in Ulster e di una ricerca sulle relazioni diplomatiche tra Irlanda e Santa Sede nel corso del pontificato di Pio XI.

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