
Come si riverbera sull’oggetto ‘libro’ il fenomeno della moltiplicazione dei supporti mediatici e informativi?
Anche in questo caso la complessità sembra essere la caratteristica precipua. Per rispondere adeguatamente vorrei riprendere ciò che ho già scritto in altre sedi, partendo da un livello generale. Un punto fondamentale è che le caratteristiche di un mezzo espressivo, le sue qualità intrinseche, se opportunamente utilizzate sono fonte di potenziale arricchimento per un altro. Ciò risulta più evidente esaminando le modalità narrative. Prendiamo ad esempio Watchmen, l’opera che ha contribuito a far entrare il fumetto nella sua fase di maturità artistica, in cui la componente testuale ha un forte valore letterario e quella visiva fa un efficace uso del linguaggio cinematografico. Queste due caratteristiche sono “ri-mediate” in un medium terzo, collegato ma eterogeneo rispetto a quelli in cui hanno avuto origine. Il risultato finale è un qualcosa di nuovo, che non può essere scomposto nei suoi elementi di base, ed eventualmente trasposto, senza perderne la specificità mediatica. A sua volta questo qualcosa di nuovo, questa aggettivazione di una forma espressiva, potrà caratterizzare con le sue manifestazioni più evidenti, tralasciando gli aspetti evidentemente non riducibili, l’espressività di un altro medium. Certo, spesso, soprattutto in una fase iniziale, la più giovane tra le due forme viene utilizzata in un’accezione negativa, vedi l’impiego come termine di paragone di un fumetto o un videogioco nei confronti di un romanzo o di un film. Però va ricordato che Paul Keegan, editor alla Faber&Faber, nel descrivere il contributo di Ezra Pound alla Wasteland – “Il miglior fabbro” per l’appunto –, lo paragona proprio ad un’attività di montaggio grazie alla quale il testo finale è divenuto “cinematic”. O ancora, nelle serie tv viene sempre più spesso messa in evidenza la qualità della scrittura, le cui radici affondano nella narrativa e nella drammaturgia, ed entrambe sono strettamente legate all’oggetto-libro, basti pensare all’importanza dei quarto e dei folio per i testi di Shakespeare, oltre che alla nascita del romanzo moderno. La diffusione di piattaforme digitali, in cui tutti gli episodi di una serie vengono resi immediatamente disponibili, ha avvicinato ulteriormente il loro modello editoriale e narrativo al romanzo, e nello specifico al feuilleton, permettendo così una maggiore complessità nelle strutture del racconto. Quindi l’oggetto-libro si riverbera sulle altre forme espressive – e sui mezzi che le veicolano – e al tempo stesso ne viene riverberato. Tenendo sempre presente la costante tensione tra rinnovamento e classicità, e il ruolo strategico delle avanguardie, basta confrontare la prosa degli scrittori fino agli anni ’80 del XX secolo, grossomodo, con quella delle ultime generazioni, formatesi in un panorama mediatico stratificato e intriso di contaminazioni. Questo per ciò che riguarda il livello del contenuto ossia la forma-libro; sebbene sia difficile separarli, per quello dell’espressione, l’oggetto-libro, vanno considerate quelle opere tra cui S. Ship of Theseus, House of Leaves, theMystery.doc che rompono la linearità del testo, sfruttando, significativamente, proprio le caratteristiche fisiche del libro. Tutti questi aspetti verranno ripresi e approfonditi nell’ultima domanda.
Quali nuove forme assume la testualità nel passaggio dal libro al computer?
Anche in questo caso dare una risposta univoca è pressoché impossibile, in quanto la molteplicità sembra essere la caratteristica principale della testualità digitale. È però possibile individuare un punto fisso, ossia ciò che distingue la rappresentazione analogica del testo da quella digitale. La prima è basata su princìpi chimico-fisici mentre quelli della seconda sono logico-matematici. Un qualsiasi testo all’interno del medium computazionale altro non è che una sequenza di cifre binarie registrate in delle celle di memoria, ognuna identificata in maniera univoca. In questo modo, tramite operazioni logiche, vengono attuati dei processi di elaborazione dell’informazione testuale, che vanno dalla registrazione o la modifica alla visualizzazione. Anche un’operazione banale come la trasformazione di un carattere da maiuscolo a minuscolo implica un passaggio matematico, nello specifico l’aggiunta di un determinato valore a quello attualmente presente in memoria. Se pensiamo a due dei fenomeni più evidenti della testualità digitale, ossia l’ipertestualità e la multicodicalità, entrambi sono riconducibili alle caratteristiche sopra indicate, ossia la capacità di effettuare collegamenti tra porzioni testuali eterogenee e l’utilizzo del linguaggio binario anche per l’informazione iconografica e audiovisiva. Tutto ciò, unito alla diffusione su larga scala delle reti telematiche ha portato ad avere una testualità fluida, collettiva, frammentata e continuamente giustapposta agli altri codici comunicativi, con cui ha ormai un rapporto d’interazione reciproca. Il processo è predominante sul prodotto, così come la componente performativa lo è su quella strutturale. È perciò necessario recuperare quest’ultima e ciò passa anche attraverso una maggiore consapevolezza delle tecnologie sottostanti la testualità digitale, fino ad arrivare ai princìpi logici citati in precedenza.
Quale importanza rivestono pratiche e scenari delle digital humanities per l’applicazione dei modelli e delle tecnologie computazionali al patrimonio culturale?
La rilevanza delle digital humanities è duplice. Un primo livello è quello più immediato e visibile, in quanto uno degli effetti principali e più manifesti è la realizzazione di artefatti in cui il piano del contenuto è affine alle scienze umane, mentre quello dell’espressione consiste di oggetti digitali, caratterizzati da una propria logica algoritmica, interfaccia utente e dati. Nella tradizione dell’informatica umanistica – quando ancora nel panorama internazionale si utilizzava il termine humanities computing – la maggior parte delle applicazioni ricadeva in due scenari: il primo incentrato sulla linguistica computazionale, l’elaborazione e modellazione del linguaggio naturale, il cui scopo è la creazione di vasti corpora e dei relativi strumenti per effettuare analisi e ricerche testuali; il secondo si basa sulla codifica testuale, la rappresentazione informatica del testo letterario tramite i linguaggi di marcatura descrittivi, che ha come fine la realizzazione di edizioni elettroniche, con una particolare attenzione per l’ambito filologico. Non a caso una parte consistente di Oltre il libro è incentrata proprio sulle edizioni critiche digitali, considerate come la punta di diamante del settore: ne viene studiata attentamente la natura e la relazione con il paradigma collegato delle biblioteche digitali.
A mano a mano che le possibilità dei computer progredivano, in particolare per ciò che concerne l’aspetto multimediale, anche le digital humanities hanno visto un’espansione, soprattutto delle possibilità espressive. Attualmente le pratiche che vengono incluse sotto questa etichetta, oltre a quelle già citate, vanno dall’analisi e visualizzazione dei dati fino alla riproduzione 3D degli oggetti del patrimonio culturale, passando per il digital storytelling.
Il secondo livello delle digital humanities, che esula dalla dimensione applicativa dei vari progetti, è il dialogo che s’instaura tra appartenenti alle scienze umane da un lato e a quelle esatte dall’altro, superando così le due culture, incarnate rispettivamente dal pensiero narrativo e da quello matematico. Si ritorna perciò a quell’atteggiamento inclusivo e dalle tendenze universalistiche che caratterizzava l’assetto conoscitivo prima della rivoluzione gutenberghiana. Nonostante il numero sempre crescente di applicazioni, progetti e iniziative è questa la parte strategicamente più rilevante dell’informatica umanistica, ed è anche un modo per attenuare la confusione causata dalla continua innovazione tecnologica. Parimenti, in questo modo si recupera la tradizione culturale dell’informatica, cui logica e linguaggio contribuiscono in egual misura.
Quale futuro, a Suo avviso, per l’oggetto ‘libro’?
Quello che è stato descritto fino ad ora è uno scenario confusivo e dinamico. Una previsione che però mi sento di fare – e che è già possibile riscontrare – è che da un punto di vista qualitativo l’oggetto-libro incarnerà sempre di più quella che è stata definita come la “whatness of bookness”, altresì chiamati codici bibliografici da Jerome McGann. Testo digitale e testo tipografico sono giocatori della stessa squadra in una partita più ampia che si svolge su più fronti. Come in ogni gioco di squadra devono però differenziarsi e specializzarsi nei rispettivi ruoli, seguendo quelle che sono le loro inclinazioni naturali. Quindi un testo digitale sarà tanto più efficace quanto più si differenzierà da quello tipografico e viceversa. Quest’ultimo quindi dovrà puntare su quelle caratteristiche visive e materiali che lo contraddistinguono, e che paradossalmente sono più facili da realizzare proprio grazie all’utilizzo degli strumenti digitali. Da un punto di vista quantitativo, ossia per ciò che riguarda la diffusione dell’oggetto-libro, la questione è affatto complessa. Al momento la forma-libro sembra essere in una posizione subalterna rispetto alla fruizione di contenuti audiovisivi o alla “screttura” sui social. Va ricordato come l’attuale panorama informativo sia estremamente diverso da quello della seconda metà del XX secolo in cui il libro, e nello specifico la forma del romanzo, era considerato l’intrattenimento più elevato. Da un lato non bisogna cadere nella “fallacia della supremazia tipografica” in base alla quale la carta stampata è l’unico medium tramite il quale è possibile veicolare contenuti complessi. Dall’altro però va ricordato come la lettura permette di sviluppare determinate abilità cognitive, soprattutto per il fatto di dover sempre attuare un processo di decodifica; ciò nelle altre forme espressive può rimanere ad un livello superficiale: non è necessario conoscere la prospettiva, le regole di composizione e la teoria dei colori per fruire un quadro o fotografia, la teoria musicale nel caso di una canzone o, che so, la “Grande sintagmatica della colonna visiva” di Christian Metz per un film o una serie tv. In uno scenario in cui il tempo e l’attenzione sono le risorse principali, la maggiore immediatezza favorisce questi ultimi contenuti. Ricollegandosi a ciò che è stato già scritto per una risposta precedente, va presa in considerazione la strategia del transmedia storytelling in cui ogni medium contribuisce ad un’unica grande storia con le proprie caratteristiche specifiche, attuando così un circolo virtuoso di arricchimento reciproco. Risulta chiaro il ruolo strategico di ogni mezzo o genere anche in quelle fasi in cui gode di minore diffusione: leggere un romanzo può rendere più profonda un’esperienza videoludica e viceversa. Ciò vale sia per i contenuti informativi sia per quelli narrativi. Serve però una maggiore consapevolezza che deve essere sviluppata con politiche apposite di media and information literacy. Solo in questo modo la forma-libro potrà continuare ad avere il ruolo che le spetta, venendo declinata, a seconda dei casi, nella dimensione digitale, vedi gli eBook, o in quella analogica, ritornando così all’oggetto-libro.
Federico Meschini insegna Informatica umanistica, Editoria digitale e Digital storytelling all’Università degli studi della Tuscia. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Scienza del libro e della scrittura presso l’Università per Stranieri di Perugia, in cotutela con l’École normale supérieure di Parigi. I suoi interessi di ricerca si concentrano sui libri e le edizioni elettroniche, le biblioteche digitali e la rappresentazione della conoscenza. È stato visiting scholar alla Loyola University di Chicago e al Wittgenstein Archives dell’Università di Bergen.