
Pur essendo un viaggio attraverso sistemi economici alternativi, ne risulta illuminata anche la natura del sistema attuale. Da un lato, le alternative al capitalismo attirano il nostro interesse perché promettono degli esiti migliori, ad esempio in termini di sostenibilità ambientale della produzione e del consumo. Pertanto illustrano le falle del nostro sistema, i limiti che ci sembra dovrebbero essere superati. Dall’altro, la mia disamina delle alternative non è un mero esercizio accademico ma intende contribuire a cambiare il mondo. Quindi mette in evidenza le potenzialità dell’esistente, perché da questo si deve partire se si vuole cambiare. Nel sistema attuale sono infatti insiti degli elementi che possono contribuire a superare il sistema stesso. Si tratta allora di identificarli e di descrivere come in pratica si possano trasformare per creare un sistema economico migliore.
Come si struttura il progetto di Stato ideale di Platone?
La Repubblica di Platone è per me l’occasione di trattare il rapporto fra economia e politica. Nel suo Stato ideale, il potere politico è interamente in mano ad un gruppo di saggi, competenti e benevoli, che coopta i propri membri senza alcun controllo democratico. Questo gruppo di re-filosofi vive modestamente, approvvigionato dal resto della popolazione. Vive isolato e, a differenza del resto della popolazione, non conosce né la proprietà privata, né la possibilità di sposarsi e formare una famiglia.
La lettura che ne propongo – senza alcuna pretesa filologica – è in chiave di risposta al pericolo che viene dallo Stato quando in un’economia di mercato i suoi dirigenti ne usano il potere per associarsi all’élite del denaro al fine di sfruttare il resto della popolazione. Infatti, nello Stato ideale di Platone i re-filosofi, non potendo accumulare ricchezze, non possono venire corrotti dai mercanti: la sfera politica risulta così separata dalla sfera economica.
Senza dubbio, anche oggi molti dei danni che i critici del capitalismo mettono sul conto del sistema economico sono più propriamente da attribuire all’interazione fra economia e politica. Questa lezione vale per qualsiasi disegno di un’alternativa al sistema attuale. L’alternativa a cui possiamo voler mirare deve essere convincente anche sotto il profilo della sua interazione col sistema politico. Ad esempio, deve disporre di meccanismi di controllo per garantire che le sue istituzioni non possano essere manipolate in maniera opportunistica da coloro che hanno in mano il governo dello Stato.
Quale contributo fornisce, nella ricerca di un sistema economico migliore del capitalismo, l’Utopia di Tommaso Moro?
L’opera di Moro è di estremo interesse perché è fondata su un’idea che ci appare ancor oggi irresistibile: che il sistema economico in cui l’uomo vive ne forma il carattere e che un buon sistema economico è quello che produce uomini buoni.
Tommaso Moro riteneva che proprietà privata e denaro producessero uomini avidi ed egoisti. La comunanza dei beni di Utopia avrebbe invece formato uomini poliedrici, gioviali ed eticamente corretti, capaci di convivialità e di solidarietà.
A oltre 500 anni di distanza, la tesi di Moro circa la comunanza dei beni ci appare ingenua e fuorviante: appunto, “utopistica”. Nel contempo, l’idea che le regole sociali che presiedono a produzione e consumo forgino gli esseri umani rimane valida. Ma, come mostro nel libro, le scienze non sono ancora così avanzate da poterci dare indicazioni precise sui meccanismi che governano il rapporto fra sistema economico e carattere umano. Per questo, quando esaminiamo le alternative al capitalismo è bene partire dal presupposto che ogni alternativa, almeno durante una lunga fase iniziale, dovrà operare con gli esseri umani quali sono ora. Individui che non sono né esclusivamente egoisti, né completamente altruisti; soprattutto, individui la cui struttura motivazionale non può essere plasmata a piacimento in funzione del sistema economico.
Quali meccanismi potrebbero risolvere il problema della cooperazione tra i membri di una comunanza dei beni basata sulla libera adesione degli individui?
In una libera comunanza dei beni, tutto appartiene a tutti. La collettività determina democraticamente delle norme di lavoro e delle norme di consumo e tutti le rispettano. Ad esempio, quando un individuo si reca in uno dei grandi magazzini dove si trovano i beni prodotti dalla collettività, porta via per sé solo i beni che gli spettano secondo la norma di consumo in vigore.
Il problema della cooperazione sta negli incentivi che gli individui hanno a rispettare tali norme. La critica che è stata mossa alla comunanza dei beni fin dai tempi di Moro è che in realtà i suoi membri avrebbero fatto gli scansafatiche e si sarebbero approvvigionati dei beni messi a disposizione dalla collettività senza attenzione per gli altri.
In effetti, questo problema della cooperazione può essere risolto a tre condizioni. In primo luogo, la vita dei singoli dovrebbe essere radicata stabilmente in una piccola comunità in cui tutti si conoscono. Ciò crea lungimiranza e pressione sociale affinché le norme vengano rispettate. Secondo, le autorità statali dovrebbero monitorare in maniera capillare le attività economiche dei singoli, in modo da sanzionare tempestivamente le violazioni delle norme. Terzo, l’istruzione e il mondo della cultura dovrebbero inculcare sistematicamente un forte senso del dovere e di identificazione con il collettivo, in modo da creare i sensi di colpa necessari all’autodisciplina.
Come discuto nel libro, queste condizioni sono parzialmente sostituibili l’una con le altre: ad esempio, si può accordare maggiore libertà di cambiare residenza se al contempo è possibile aumentare la componente etica o la sorveglianza da parte dello Stato. In ogni caso, tali condizioni mostrano come ci sia un prezzo importante da pagare – si debba cedere una quota di libertà – per risolvere il problema della cooperazione in un’economia che fa a meno dei mercati e della proprietà privata.
Quale ruolo occupa la questione del consumo nella ricerca di un’alternativa al capitalismo?
La pandemia da Covid ha convinto molte persone che il nostro modello di sviluppo è pericoloso e distruttivo. Già in precedenza, il movimento “fridays for future” aveva palesato l’esigenza di spingere verso produzioni “verdi” e di contrastare l’esasperato consumismo. Un sistema alternativo deve rendere conto di queste esigenze e al contempo offrire di più del minimo indispensabile. Perché se è vero che a livello locale vi è un fiorire di iniziative per un consumo equo, solidale e sostenibile, rimane il fatto che perdite di capacità d’acquisto come nel corso di quest’anno hanno portato in piazza migliaia di persone. Non dimentichiamo inoltre che il mancato appagamento della domanda di consumo ha giocato un ruolo fondamentale nel determinare il crollo del cosiddetto “socialismo reale”.
Un’alternativa al capitalismo dovrebbe dare ai consumatori una libertà di scelta paragonabile a quella attuale ma al contempo portare i consumatori a effettuare scelte diverse: scelte che, come dicono gli economisti, internalizzino le esternalità – in particolare quelle sociali e quelle ecologiche. Una tesi fondamentale del libro è che non è necessario abolire l’economia di mercato per raggiungere questo obiettivo; il nocciolo del problema sta piuttosto nel superamento del dominio politico della proprietà capitalistica.
Per quali ragioni, nonostante il fallimento del “socialismo reale”, l’economia pianificata rappresenta un possibile sistema economico alternativo?
Perché è possibile pensare ad un’economia pianificata essenzialmente diversa da quella attuata nel “secolo breve”.
Innanzitutto, nulla vieta di abbinare una pianificazione centralizzata dell’economia a un sistema politico democratico in cui vige una competizione fra partiti che propongono agli elettori dei piani economici con enfasi completamente diverse. Sarà quindi l’elettorato a scegliere.
Inoltre, è possibile pensare ad un sistema puro di pianificazione, che non fa assolutamente uso di denaro e mercati, che invece esistevano nei Paesi del “socialismo reale”. Un sistema interamente pianificato che cerca di avvicinarsi il più possibile all’ideale marxiano: “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Infine, possiamo pensare a una pianificazione che si basa su delle procedure iterative in sé coerenti, come sono state sviluppate teoricamente da alcuni economisti di spicco fin dagli anni Sessanta ma che i regimi al potere non hanno mai voluto applicare.
È a questo tipo di pianificazione a cui bisogna pensare se vogliamo valutare i meriti e i limiti della pianificazione come possibile sistema economico alternativo per noi oggi.
Quali sistemi economici combinano il mercato con elementi antitetici al capitalismo?
Ve ne sono diversi e quello più interessante in termini di applicabilità è il socialismo azionario. In questo sistema vi è un libero mercato ma, mentre le piccole e medie imprese sono di proprietà privata e cooperativa, le grandi imprese sono tutte di proprietà pubblica oltrechè quotate in borsa. Non esiste quindi un’élite capitalistica che controlla le grandi imprese ed in virtù di ciò esercita un’influenza determinante sulle decisioni politiche. Nel socialismo azionario, una o più agenzie pubbliche indipendenti sostituiscono completamente i capitalisti nella gestione delle grandi imprese. Queste ultime operano sotto dei vincoli di bilancio rigidi e presentano due caratteristiche organizzative peculiari. Primo, i lavoratori partecipano alle loro decisioni con modalità simili a quelle predisposte dalla legge sulla co-determinazione in Germania. Secondo, vi è una rappresentanza della società civile (sindacati, associazioni di tutela dei consumatori, associazioni ambientaliste) con diritti di informazione e monitoraggio all’interno delle imprese.
La proposta conclusiva del mio saggio prende spunto proprio dai modelli di socialismo azionario che sono stati sviluppati negli ultimi anni. Si tratta di una proposta di tipo evolutivo, mirante a verificare nella prassi se i capitalisti sono superflui e il controllo del capitale può essere democraticizzato – con tutto quello che ciò implica per il rapporto economia-politica e economia-ambiente. Il primo passo sarebbe la creazione di un fondo sovrano etico che finanzia un dividendo sociale. Con ciò la proprietà pubblica sarebbe chiamata a gestire il capitale in modo “passivo”, senza entrare nelle stanze dei bottoni ma limitandosi a controllare il “portafoglio collettivo”. Se tale gestione avesse successo, tale esperienza porrebbe le basi per un secondo passo, ovvero la sfida ai capitalisti per il controllo delle grandi imprese. A tale scopo verrebbe creato un “azionista federale”, un’agenzia pubblica indipendente che controllerebbe alcune imprese attraverso una governance democratica e competerebbe ad armi pari con le imprese private. Come descritto nel libro, per sfruttare al meglio le potenzialità di questa nuova istituzione è necessario predisporre una specifica struttura degli incentivi. L’esito della competizione fra imprese capitaliste e imprese dell’azionista federale non sarebbe determinato a priori ma dipenderebbe dai meriti relativi della governance pubblico-democratica quali si dimostrano alla prova dei fatti.
Come potrebbero articolarsi dei sistemi basati su un reddito di base e un capitale di base universali, garantiti e senza condizioni?
Quella del reddito di base universale è una proposta di grande fascino, non da ultimo per la sua semplicità. Ogni cittadino, ricco o povero che sia, riceverebbe ogni mese dallo Stato un reddito di per sé sufficiente ad assicurare un tenore di vita socialmente accettabile. Questo reddito eliminerebbe l’imperativo di dover lavorare per vivere e obbligherebbe le imprese a migliorare sostanzialmente gli impieghi che offrono per riuscire ad attrarre dipendenti e collaboratori. La proposta del capitale di base prevede invece un diritto ad una sorta di “eredità sociale”. Ogni cittadino riceverebbe dallo Stato al compimento di una certa età (ad esempio ai 18 anni) una somma di danaro eguale per tutti (ad esempio 100.000 euro). Con tale capitale di base ognuno potrebbe fare quello che vuole, ad esempio creare una piccola impresa.
L’obiettivo comune di questi due sistemi è di allargare la libertà individuale, emancipando le persone dai vincoli economici posti dal sistema odierno. Una questione fondamentale è allora se tale allargamento della libertà è veramente possibile tenendo in considerazione la necessità di finanziare tali trasferimenti di denaro con maggiori imposte e tagli ai servizi pubblici. Come mostro nel libro, a dispetto della loro semplicità, queste due alternative sollevano complesse e importanti questioni, di ordine non solo economico ma anche etico e sociale.
Quali pregi presenta l’economia sociale di mercato della Germania?
Dal punto di vista istituzionale sono lo Stato sociale e la contrattazione collettiva i due elementi che maggiormente contraddistinguono l’economia sociale di mercato tedesca – e, più in generale, l’economia dell’Unione Europea – dal “capitalismo di Manchester” analizzato da Marx. Tali istituzioni hanno dato al capitalismo un volto umano e hanno contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo sia economico che sociale dopo la seconda guerra mondiale. Mentre i mercati e l’iniziativa privata hanno creato flessibilità e dinamismo economico, lo Stato sociale e la contrattazione collettiva hanno reso più equa la distribuzione del reddito e ridotto l’insicurezza delle condizioni di vita generata dai cambiamenti congiunturali e strutturali intrinseci alla natura del capitalismo. I due elementi – mercato e istituzioni – si sono per molti anni rafforzati a vicenda.
Questo connubio è stato incrinato fatalmente dagli sviluppi tecnologici, demografici, climatici e geopolitici degli ultimi quarant’anni. È proprio dalle sfide lanciate da questi sviluppi che sorge l’esigenza di ripensare le basi stesse del nostro modo di produrre e consumare, l’esigenza di esplorare la possibilità di costruire un sistema economico diverso: più sostenibile, più equo e più fautore di libertà.
Giacomo Corneo, professore ordinario di economia politica presso la Freie Universität di Berlino, è un esperto di finanza pubblica, crescita economica, diseguaglianza e mercato del lavoro. Oltre a dirigere il “Journal of Economics” è autore di uno fra i più diffusi libri di testo di scienza delle finanze in lingua tedesca.