“Olimpiade regina di Macedonia. La madre di Alessandro Magno” di Lorenzo Braccesi

Olimpiade regina di Macedonia. La madre di Alessandro Magno, Lorenzo BraccesiProf. Lorenzo Braccesi, Lei è autore del libro Olimpiade regina di Macedonia. La madre di Alessandro Magno edito da Salerno: quale fonda­mentale ruolo ricoprì nella storia greca Olimpiade?
Possiamo riscoprirne un ruolo politico solo attraverso la sua unione con Filippo di Macedonia. Avevano senz’altro un progetto condiviso per l’educazione del figlio, il grande Alessandro, e tra i coniugi correva una stima reciproca, che probabilmente si estendeva anche alla sfera del ‘politico’ e sicuramente al processo di ellenizzazione del loro regno.

Era profondamente conscia del suo status e della propria dignità di sovrana, che contemplavano (pure in una donna che sapeva essere feroce non meno dei regnanti maschi delle barbariche periferie del mondo greco) tanto atti di generosità verso i più deboli esponenti del clan familiare quanto (poiché non le si conoscono amanti) morigeratezza di costumi.

Tutte le donne che emergono nella politica e nella cultura, e soprattutto se regnanti in età antica, sono persone fuori dalle convenzioni. In particolare quella di Olimpiade è una personalità di donna e di regina assolutamente oltre gli schemi, ma una personalità che, nel bene e nel male, brilla di luce autonoma, mostrando capacità politica, tempra di antagonista e animosità virile.

Qual era la personalità di Olimpiade?
Olimpiade è figlia di un re, sorella di un re, consorte di un re, madre del più grande sovrano di tutti i tempi, ma nei secoli è accompagnata da una tradizione di marca ostile, quasi una maledizione storiografica, perché, essendo donna, i contemporanei ne hanno infamato il ruolo di protagonista che ella ha sempre disinvoltamente esercitato, trovandosi per sorte in un osservatorio privilegiato e al centro di avvenimenti decisivi per la storia del mondo antico.

È quella di Olimpiade è una personalità di donna e di regina assolutamente fuori dagli schemi, ma una personalità che, nel bene e nel male, brilla di luce autonoma, mostrando capacità politica, tempra di antagonista e animosità virile. Una somma di doti caratteriali che la tradizione storiografica – come sempre di marca maschilista – non può perdonarle. L’ostilità nei suoi confronti da parte degli autori antichi ha un duplice e sovrapposto movente: la denigrazione strumentale per fini politici e l’odio di genere.

Morto il figlio Alessandro, la denigrazione ha certo come primo motore l’ostilità di Cassandro, reggente di Macedonia, ma trova facile alimento in tutto il mondo ellenistico dove la sua sola presenza costituiva un ostacolo moralmente invalicabile nel processo di trasformazione delle varie satrapie dell’impero in monarcati autonomi con relativa mutazione dei rispettivi reggenti in veri e propri sovrani. Quasi che il cumulo di memorie di cui Olimpiade era custode li atterrisse precludendo loro il passo fatale verso il trono fintantoché ella fosse in vita.

Più subdolo, e forse ancora più deleterio nei suoi confronti, l’odio di genere. Ella era donna, ma pure essendo tale, aveva esercitato un potere reale tanto in Macedonia quanto in Epiro, non accettando di essere messa nell’angolo, o disillusa nelle proprie aspettative. E sicuramente aveva male tollerato perfino le scherzose ironie epistolari di marca ‘maschilista’ che il figlio Alessandro aveva indirizzato di Macedonia al suo luogotenente. Cassandro l’aveva poi combattuto a viso aperto, subendone l’estremo oltraggio con dignità di regina.

Era così facile per la storiografia di parte assommare, anzi miscelare tra loro, la denigrazione per fini politici all’odio di genere. Gli storici ellenistici, da cui derivano gli autori in nostro possesso, rappresentano tutti voci di parte – espressione dei grandi monarcati di Egitto, di Siria, di Macedonia e degli stati loro satelliti – e hanno tutto l’interesse a denigrare la figura di Olimpiade che aveva remato contro i fondatori delle dinastie di cui sono al servizio. Voci il cui astio verso Olimpiade, di fatto, è direttamente proporzionale all’assoluta sua fedeltà alla memoria del figlio e al dogma dell’impero universale.

Olimpiade nella tradizione si porta così con sé una duplice condanna, per avere esercitato un potere reale in distonia dalle aspirazioni dei futuri diadochi e per averlo esercitato pure essendo donna. La ‘macchina del fango’ non poteva che incrudelire contro di lei con coloriture truculente. Olimpiade è qui una nuova Clitemnestra che assassina il consorte, una nuova Medea che sacrifica infanti innocenti (non figli suoi, ma del marito), un’anticipazione di lady Macbeth dalle mani sporche di sangue. Ella uccide sì la piccola Europa e spinge al suicidio la madre, e probabilmente arma la mano dell’assassino del marito, ma per quelle che reputava delle superiori ragioni di stato volte ad assicurare non tanto un regno al figlio, quanto all’umanità l’eredità non transeunte del dominato del figlio. Assicura nel sangue la successione ad Alessandro, e tenta poi di assicurarla al nipote, il figlio di lui, ma non incrudelisce contro inermi come vorrebbe la tradizione denigratoria. Anzi, a Pidna, sotto assedio, si grava del fardello di più bocche principesche da nutrire anche appartenenti a casati che le erano stati ostili.

Né c’è dubbio che l’ambiente promotore del dileggio e dell’oltraggio alla sua memoria sia quello della corte macedone di Cassandro. È stata sì responsabile dell’eccidio di familiari, ma l’esito per gli sconfitti, nella prassi del tempo, non poteva che essere l’uccisione e la morte. Ma contro Olimpiade la vulgata tràdita infierisce ancora maggiormente facendone una manipolatrice di pharmaka, cioè di allucinogeni o veleni.

Di fatto, in due situazioni davvero drammatiche – quando Alessandro rischia di non succedere al padre Filippo e quando egli inaspettatamente muore – Olimpiade, da madre, ubbidisce al richiamo del sangue e nel sangue macchia le mani. Ogni regnante maschio avrebbe fatto lo stesso, e nessuno gli avrebbe mosso accuse di depravazione.

Il potere è per sua definizione maschile e, se donne, esercitando un potere reale, si comportano come è uso comportarsi l’altro sesso, ciò, perché in aperta dissonanza dal costume imperante, urta con la sensibilità diffusa o, addirittura, con il comune senso della morale. Guadagnandosi, senza appello, la condanna della tradizione. La storia conosce sì regnanti sanguinarie, come in Inghilterra Maria Tudor o in Francia Caterina de’ Medici, ma, seppure donne, giustifica i loro massacri di anglicani o di ugonotti nel nome della fede cattolica. Le lotte di successione e le crisi dinastiche non sono meno brutali delle guerre di religione, ma la protagonista del nostro libro, madre di un dio, non può avvalersi neppure dello scudo della devozione religiosa.

Olimpiade era dedita a rituali e culti misterici, orfici e dionisia­ci.
Era di natura passionale, preda talora dell’esaltazione mistica nella quale si credeva oggetto di possessione divina. La sua natura portata alla valorizzazione di tutte le forme silvestri, e alla immedesimazione nella natura, ne facevano una seguace di religiosità irrazionali ed esplosive nelle loro manifestazioni estreme, quali quelle professate dalle seguaci di Dioniso e Orfeo.

Cosa nascondono le leggende che vogliono Olimpiade fecondata da Zeus trasformato in serpente?
Le leggende nascono veicolatesi su un duplice binario. Da un lato la reale dimestichezza che Olimpiade – quasi fosse una menade – ha sempre avuto con i serpenti, che si legavano per lei alle forme del sacro dionisiaco. D’altro lato l’aspetto soprannaturale della conquista illimitata del figlio Alessandro, che lo proiettava di per sé nella dimensione del divino quale tredicesimo dio, figlio di Zeus Ammone come proclamarono i sacerdoti del dio nella remota oasi di Siwah nel deserto libico.

Che rapporto ebbe Olimpiade con il figlio?
Un rapporto quasi morbosamente possessivo. Si rese complice di un regicidio per preservare al figlio il trono e l’eredità dinastica del padre. Olimpiade, anche se più non rivide il figlio dopo la sua partenza per l’Asia, gli trasmise l’anelito ad andare sempre avanti, a seguitare nella marcia di esplorazione e di conquista, in una parola a non desistere. Fu un rapporto epistolare e, per la sua ininterrotta continuità, quasi di carattere telepatico. Di alcune delle sue lettere ci informano le nostre fonti, soprattutto Arriano che scrive della spedizione di Alessandro rifacendosi agli storiografi che gli furono contemporanei. Alessandro informava la madre su tutto, in particolare sulle notazioni etnico-geografiche delle regioni esplorate; le richiedeva consigli e suggerimenti di pratiche religiose; voleva proporne l’apoteosi post mortem. L’unica cosa in cui non l’assecondava era nelle richieste di intervento nelle questioni di governo, e soprattutto per le sue contese con il reggente di Macedonia. Sopportava pazientemente, talora con ironia, le lamentele della madre, ma per lui le donne non dovevano occuparsi degli affari di stato.

Come si sviluppò l’idea del conce­pimento divino del grande conquistatore ?
La mise in giro la madre, ma poi il figlio ci credette, contrappose Zeus a Filippo in preda al vino e soprattutto ad allucinogeni. La utilizzò poi come instrumentum regni asserendo che, essendo egli di natura divina, questo fatto stesso annullava tutti i trattati stipulati da lui o dal padre nella loro natura umana.

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