
Noi siamo e definiamo la nostra identità a partire dalle storie che ricordiamo. Il mito è una storia che ricordiamo perché se la dimenticassimo perderemmo l’essenziale, per questo i miti attraversano il tempo e lo spazio e fanno da catalizzatori di ciò che diventa invisibile o si rischia di perdere. Ho sempre amato questo mito perché contiene tutti gli snodi di una storia d’amore e se è vero che le nostre vite non sono altro che il racconto dei nostri amori, questo mito che ne è l’archetipo è indispensabile per la comprensione narrativa della realtà. Noi comprendiamo noi stessi e la realtà narrativamente, se voglio conoscere una persona gli chiedo: raccontami la tua storia. Inoltre il mito in questione sovverte l’ordine tradizionale delle storie d’amore: inizia dove le altre finiscono. Le altre finiscono il giorno delle nozze con un vissero felici e contenti, questo mito il giorno delle nozze lo trasforma in un funerale. Orfeo sarà costretto a sfidare le leggi della morte per recuperare Euridice. Il mito senza mezzi termini ci dice: amare è morire per qualcuno. Ce la farà? È quello che tutti noi vogliamo sapere, perché è quello che tutti noi dobbiamo affrontare. In amore o ci si sacrifica per l’altro o lo si sacrifica per noi. Il mito contiene i poli opposti dell’amore e del disamore, in mezzo ci sono tutte le possibilità.
Baudelaire scriveva: “Che cosa è l’amore? Il bisogno di uscire da se stessi”: cos’è per Lei l’amore?
L’amore è proprio questa paradossale uscita da sé per rientrare ancor più dentro di sé. Io mi ricevo dall’amore di qualcuno, come è accaduto a tutti noi: il bambino impara a dire tu prima che io e definisce l’io a partire dal tu della madre e del padre. Se rimaniamo chiusi in noi stessi prende il sopravvento la paura di vivere e non inizia l’esplorazione del mondo che ci aiuta a definirci. L’amore è un paradosso, perché è una concentrazione esterna, trovo il mio centro amando qualcuno che è fuori di me. È un paradosso perché è un futuro anteriore, qualcosa che mi precede, ma che è tutta da realizzare quando mi accade senza che io l’abbia cercato. L’amore è un paradosso perché più mi dono a un altro più cresce, cioè devo perdermi per ritrovarmi. Oggi purtroppo si pratica il disamore: più sfrutto l’altro più credo di confermare me stesso, e quello che confermo è solo il nulla, tanto che c’è chi arriva a distruggere fisicamente l’altro perché se ne crede padrone. Foster Wallace per questo diceva che ogni storia d’amore è una storia di fantasmi. A partire da questa affermazione, attraverso le storie d’amore che racconto, ho scoperto che questi fantasmi possono convertirsi non solo in persone reali, ma possono addirittura sfidare la morte. Allora ogni storia è una storia d’amore.
Sin dall’inizio di Ogni storia è una storia d’amore, si rivolge a Tess Gallagher, compagna e Musa di Raymond Carver, il più grande scrittore di racconti della seconda metà del Novecento, che ha fatto «quello che devono fare gli amanti: curare l’uno all’altro la vergogna di dover morire»: che rapporto c’è tra malattia e amore?
Lo stesso che c’è tra l’amore e la nostra mortalità, senza dover passare per forza dalla malattia. L’amore è l’unica cura che ci redime dal fatto di essere insufficienti, fragili, mortali… Carver si sentì redento dall’amore di Tess, per questo volle sulla sua tomba i versi di una delle sue ultime poesie: “Hai avuto ciò che volevi dalla vita? Sì. E che cos’è che volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato su questa terra”. Questo epitaffio lo vorremmo tutti, indipendentemente dalla malattia. Solo l’amore sa addentrarsi nei territori tenebrosi della morte, di cui la malattia è una regione ampia, per illuminarli a poco a poco, come fece Tess con il tumore del marito.
«Il mondo è troppo volgare: non è per i poeti», scrive raccontando di Fanny, la sarta vicina di casa, amata da John Keats: l’amore perfetto dei poeti teme il confronto della quotidianità?
L’amore perfetto è un’illusione. L’amore è vero solo quando si nutre di un vivere quotidiano che viene rinnovato e trasfigurato proprio dalla forza del legame tra i due. Il quotidiano è la materia di cui l’amore si serve per scolpire la sua opera, gli artisti sono i due amanti. L’amore sognato è solo una fuga dalla realtà. L’amore è per i poeti della carne, non solo della carta, i poeti che sanno trasformare la prosa quotidiana in versi, che conoscono le ferite proprie e altrui e le curano a vicenda. Un amore che soccombe al confronto con il quotidiano è chiamato ad approfondirsi, come deve accadere in ogni storia d’amore che sia solo al principio. Ma se chiedo ai miei genitori come si definiscono dopo 50 anni di matrimonio, mi rispondono: innamorati. Per loro per sempre significa ogni 24 ore.
Tess, Zelda, Anna, Olga, mogli, compagne e amanti di scrittori, sono le protagoniste del libro: quanto è importante, per uno scrittore come Lei, l’ispirazione di una donna?
Il genio femminile è dare la vita. Ogni donna lo sa in ogni sua cellula, indipendentemente che sia madre o meno. Il corpo della donna conosce movimenti e cicli che sono ignoti all’uomo, la donna conosce la vita da dentro, non da fuori. Non è un caso che in tutte le culture la Musa sia donna: l’uomo che crea ha sempre bisogno di un grembo di donna per dare la vita. La donna per me è l’ispirazione fondamentale, perché non saprei nulla del mio essere uomo se non attraverso le donne. È la donna che invita l’uomo a far fiorire le qualità migliori di un uomo: generosità, intraprendenza, affidabilità, forza. Oggi vedo tanti uomini muoversi tra i due poli che negano l’essere maschio: la prepotenza e l’impotenza, da un lato la violenza di chi crede che la donna sia un oggetto, dall’altro l’egoismo narcisistico di chi usa la donna per sentirsi adorato.
Anna Magdalena diede a Johann Sebastian Bach tredici figli in meno di 30 anni e si prese cura dei quattro della sua precedente moglie: una dedizione che nasceva dalla passione comune per la musica ma che la condusse ad essere sotterrata in una fossa comune. In un’epoca come la nostra, di “amori liquidi”, una storia d’altri tempi…
Anna Magdalena preferì morire povera piuttosto che vendere uno solo degli spartiti manoscritti del marito. La sua vita fu di totale dedizione a lui, ma non per questo si sentiva sminuita, aveva semplicemente deciso di amare quell’uomo e attraverso quell’amore ebbe tutto ciò che voleva dalla vita, anche se le costò caro. Ma non per questo si sentì sfortunata. Chi trova il vero amore è pronto a tutto. La felicità dipende dalla profondità di una relazione, quella donna era pronta ad affrontare qualsiasi cosa con suo marito.
Quali, tra le storie raccontate nel libro, ha amato di più?
Ho amato tutte quelle che ho scelto, perché sono il frutto di una selezione. Ne avevo scritte di più. Ma se dovessi scegliere le mie preferite sono quelle di Nadezda Mandelstam, Elizabeth Siddal, Edith Tolkien, Giulietta Fellini, Tess Gallagher… o mio Dio, le scriverei tutte… perché tutte insieme fanno un’unica storia, come un mosaico in cui ogni tessera è necessaria.
In questo nostro tempo si rischia di oscillare tra l’amore romantico, che si illude che l’altro sia il dio che risolverà ogni nostro problema, e l’amore cinico, che usa l’altro finché fa comodo, a scadenza, come uno yogurt. L’amore delle donne è l’amore che assomiglia al grembo: nutre quando serve, ma sa anche spingere fuori quando è ora di dare alla luce. Protegge e spinge fuori: se rimane possessivo distrugge, se spinge fuori senza proteggere distrugge.
Qual è il segreto dell’amore?
Risponderò con le parole di mia madre. L’amore è come la dama: devi andare sempre avanti, devi fare un passo alla volta, quando arrivi in fondo puoi muoverti come vuoi. Insomma un gioco di anime e di corpi molto serio, e per questo il gioco migliore che ci sia capitato.
Alessandro D’Avenia, quarant’anni, dottore di ricerca in Lettere classiche, insegna Lettere al liceo. Ha pubblicato, con Mondadori: Bianca come il latte, rossa come il sangue (2010, da cui è stato tratto nel 2013 l’omonimo film), Cose che nessuno sa (2011), Ciò che inferno non è (2014) e, nel 2016, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita.