“Occidente” di Vera Zamagni

Prof.ssa Vera Zamagni, Lei è autrice del libro Occidente edito dal Mulino: innanzitutto, quale definizione se ne può dare?
Occidente, Vera ZamagniSi tratta di un volumetto agile uscito nella collana del Mulino “parole controtempo” che è una collana nata per affidare a studiosi la discussione di una parola controversa o desueta con l’obiettivo di far riflettere il largo pubblico. In questo caso la parola a me affidata “Occidente” non è affatto desueta, ma assai controversa. Come scrivo all’inizio, ci sono pure i negazionisti che sostengono che l’Occidente nel senso della Civiltà Occidentale non è mai esistito. E c’è poi una letteratura immensa, dove si trovano definizioni molteplici e contrastanti. La ragione di ciò va rinvenuta nell’essenza stessa dell’Occidente, ossia in quella sua dimensione progressiva che scardina ogni risultato raggiunto per superarlo e aprire nuovi orizzonti. Ciò produce un’identità sempre sfuggente, se la si vuole riconoscere in specifici contenuti. Una definizione di Occidente tuttavia non è impossibile, ma deve guardare ai fondamenti. Innanzitutto la centralità della persona, che si porta con sé le dimensioni universali di uguaglianza e libertà. Infatti, se la persona è il valore di riferimento, allora a ciascuna persona deve essere riconosciuto questo valore (uguaglianza) e nessuno ha il diritto di sottrarglielo (libertà). La terza dimensione della fraternità nasce dalla finitezza della persona, che ha bisogno di sostegno per affrontare le sfide della vita e attualizzare il suo potenziale. Per realizzare queste dimensioni della persona l’Occidente ha messo in campo la democrazia e ha sfruttato la razionalità come nessun’altra area del mondo allo scopo di far progredire l’umanità. Il libretto riassume per sommi capi la radici culturali e religiose che hanno prodotto la cultura europea e descrive le istituzioni che sono state promosse in Occidente per realizzare obiettivi di progresso economico, spirituale e sociale, e poi ricopiate nel resto del mondo.

Prima di averlo quasi portato sulla soglia dell’autodistruzione, l’Occidente ha spinto il mondo verso un progresso culturale, sociale, economico e scientifico-tecnologico che ha migliorato le vite di miliardi di persone: quale bilancio si può trarre del suo influsso?
Il secondo capitolo del libro è volto a spiegare che purtroppo l’homo europeus non è più buono degli uomini di altre civiltà. Anzi, proprio perché più capace di altri di produrre innovazioni, queste sono state impiegate anche in conflitti distruttivi che hanno assunto una pericolosità massima, e nello scriteriato sfruttamento delle risorse naturali che sta ora minacciando la sopravvivenza stessa della nostra umanità. Inoltre, l’applicazione delle dimensioni universali sopra richiamate è stata molto meno che coerente; sfruttamento del lavoro, schiavitù, dittature, discriminazioni (particolarmente la discriminazione contro le donne) non sono completamente scomparse in Occidente, anche se nel corso della storia si sono fatti notevoli progressi. Per questo motivo, occorrerebbe insistere nel tenere alto il valore della persona e le dimensioni universali che lo accompagnano, allo scopo di trovare modalità sempre più capaci di realizzare società dove la dignità di ciascuno e di tutti diventa realtà. Il bilancio dell’influsso dell’Occidente resta positivo, perché se il mondo è diventato progressivo questo è dovuto all’Occidente, ma i costi delle contraddizioni e delle negazioni dei principi sono stati e ancora sono molto alti, mentre oggi si sono profilati anche rischi elevati di “perdere la bussola”.

Qual è oggi l’identità dell’Occidente?
Come scrivo nell’ultimo capitolo, la frenesia di tagliare le radici della civiltà occidentale e di negarne i piloni portanti da parte degli stessi intellettuali e politici occidentali sembra essere oggi di grande moda e l’identità dell’Occidente sta diventando davvero sbiadita. Ciò che soprattutto colpisce è la perdita della passione alla ricerca della verità, figlia del depotenziamento della ragione che fa mettere sullo stesso piano i principi di vita di chiunque come preferenze individuali insindacabili. Senza più principi condivisi diventa difficile, anzi inutile, il dialogo e la società non si interroga più su fini e valori, ma solo su come assicurare la convivenza nel breve termine. Alla tecnica viene affidato il compito di migliorare la vita materiale delle persone (meglio, di quelle persone che hanno un potere d’acquisto adeguato), senza preoccuparsi degli effetti congiunti distruttivi che la tecnica sviluppa, né della capacità della tecnica di produrre felicità. La crisi dell’Occidente non deriva dal superamento dei suoi valori costitutivi da parte di altri valori più convincenti, ma dagli effetti perversi della negazione di tali valori. Il relativismo spinto, il libertarismo senza obiettivi, il “dirittismo” senza doveri sono a ben vedere la caricatura della razionalità, della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. A cosa dobbiamo questa frenesia distruttiva del cuore della civiltà occidentale? Alla noia creata dall’abbondanza? Al nichilismo di intellettuali che, per distinguersi, si divertono a distruggere criticamente qualsiasi proposizione positiva? All’estremizzazione di istanze accettabili, ma solo in contesti limitati? Ad una fede, questa sì acritica, nelle capacità risolutive di tutti i problemi della tecnica? Credo che siano un po’ tutte queste le cause delle presenti difficoltà dell’Occidente, cause interne dunque, non esterne.

Quale futuro per l’Occidente?
C’è chi suggerisce di sostituire l’Occidente, ormai esaurito, con una civiltà guidata da altri principi e popoli diversi da quelli occidentali. Il problema è che o questi popoli hanno imitato il modello occidentale senza significative varianti, come il Giappone, e dunque non sono delle vere alternative. Oppure hanno realizzato qualche importante variante, come la Cina con il suo governo dittatoriale che lascia solo qualche libertà economica. Ma è difficile immaginare che una simile variante possa essere accettabile fuori dalla Cina, nel resto del mondo che non ha una tradizione millenaria di governo gerarchico come la Cina e ha, anzi, sempre lottato contro governi autocratici. Vediamo come persino le cinesi Hong Kong e Taiwan, di tradizione culturale diversa da quella della Cina, non vogliono essere governati autocraticamente come la Cina. Sul piano economico, poi, è sempre l’Occidente ad essere innovativo e propositivo, a dispetto di qualche limitato successo tecnologico di altri paesi. In realtà, l’Occidente, che ha mostrato in passato tanta capacità creativa per affrontare le sfide poste dalla natura e dai cambiamenti sociali, ha un DNA talmente solido da poter superare anche i presenti problemi. Occorre però prenderne atto e non lasciarsi cullare da illusioni. L’illusione che si possa trovare principi migliori di quelli derivanti dal mettere la persona al centro. Ma anche l’illusione che le cose si aggiusteranno senza richiedere impegno. Ci sono stati nella storia dell’umanità periodi e luoghi che sono fioriti e altri periodi e luoghi che sono declinati: la differenza è sempre stata fatta dal ruolo giocato dalle persone. Ma sono convinta che, non solo per l’Occidente, l’illusione più catastrofica sia quella di riporre tutte le speranze di miglioramento nella tecnologia. Stiamo ora vedendo dove può portare questa convinzione: a decretare che l’uomo è obsoleto e il futuro del mondo sarà riposto nelle macchine con intelligenza artificiale governate da algoritmi. Questo esito sarebbe sì la fine dell’Occidente, ma anche dell’intera umanità. Non voglio chiudere però con questa nota desolante. Credo che si troverà, come si è trovato nel passato, il coraggio di contrastare questo esito e di produrre innovazioni che esaltino la dignità della persona e permettano una diffusione più inclusiva di una vita dignitosa e felice per tutti.

Vera Negri Zamagni è professore di Storia Economica presso l’Università di Bologna e Adjunct professor of International Economics, SAIS Europe of the Johns Hopkins University, Bologna. Le sue pubblicazioni – 140 saggi, 21 volumi e 13 curatele, di cui un buon numero in inglese e alcune in spagnolo – riguardano il processo di sviluppo economico italiano dall’unificazione a oggi, con particolare riferimento agli squilibri regionali, alla distribuzione del reddito, agli standard di vita, alla business history, all’intervento dello stato e allo sviluppo del movimento cooperativo. Fra le ultime: Famiglia e lavoro. Opposizione o armonia?, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012 (con S. Zamagni); Perché l’Europa ha cambiato il mondo. Una storia economica, Bologna, Il Mulino, 2015; L’economia italiana nell’era della globalizzazione, Bologna, il Mulino, 2018; Forme d’impresa Il Mulino, 2020; Occidente, Bologna, Il Mulino, 2020.

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