
Fino al 2008 le concessioni per matrimonio erano più numerose di quelle per residenza. Nell’ultimo decennio queste ultime si sono accresciute sensibilmente fino a toccare il massimo nel periodo 2015-2016, seguite in questa crescita dalle acquisizioni per trasferimento del diritto dai genitori ai figli minorenni, che sono diventate la seconda modalità più frequente di accesso alla cittadinanza italiana. Le acquisizioni per elezione, pur essendo cresciute nel tempo, restano meno frequenti delle altre modalità. Ciò dipende dalla numerosità delle generazioni di nati stranieri che raggiungono la maggiore età che nei prossimi anni saranno più numerose che in passato a seguito della crescita del numero delle nascite di stranieri nel corso del primo decennio di questo secolo. Va però sottolineato che le acquisizioni per elezione non potranno probabilmente aumentare di molto visto che i ragazzi nati in Italia da coppie di stranieri diventano più di frequente italiani prima di raggiungere la maggiore età, per trasferimento del diritto dai genitori che hanno acquisito il passaporto italiano per naturalizzazione ordinaria.
Quali sono determinanti e conseguenze dell’acquisizione della cittadinanza nel nostro Paese?
Diversi sono i fattori che concorrono nel determinare l’accesso alla cittadinanza italiana da parte degli immigrati stranieri e dei loro discendenti. Senza dubbio conta la legislazione italiana abbastanza restrittiva, più favorevole a concedere la cittadinanza alle persone con ascendenti italiani (ius sanguinis), anche residenti all’estero, piuttosto che a quelle nate nel paese o che vi risiedono da lungo tempo (ius soli). Due esempi che rimandano a quanto già richiamato. Per la cosiddetta naturalizzazione ordinaria diversi paesi europei richiedono una durata della residenza inferiore ai 10 anni che sono invece previsti in Italia per i cittadini dei paesi terzi. I figli degli stranieri nati sul territorio italiano devono attendere il 18esimo anno di età per accedere alla cittadinanza per elezione, in altri paesi si diventa cittadini alla nascita o in un tempo meno lungo. A differenziare la situazione tra le varie comunità presenti in Italia ci sono poi le normative adottate dai paesi di origine degli stranieri. Mentre l’Italia consente alle persone la possibilità di avere la doppia cittadinanza, opzione prevista originariamente per essere inclusivi rispetto agli emigrati italiani e ai loro discendenti residenti all’estero, non tutti i paesi di origine degli immigrati consentono tale opzione. Naturalmente, nei casi in cui è prevista la possibilità di avere più di una cittadinanza diventare italiani risulta un’opportunità in più, rispetto al caso in cui bisogna obbligatoriamente scegliere tra il passaporto del paese di origine e quello di destinazione. Nel libro sono proposti al riguardo alcuni esempi significativi in base alle normative dei paesi di origine. La possibilità di accedere alla cittadinanza può essere percepita come un’opportunità, come la realizzazione (di una tappa importante) del processo di integrazione, oppure come il riconoscimento formale di un’appartenenza di fatto alla cultura e alla società italiana. Per quanto soggettiva, la percezione cambia nel passaggio dalla prima alla seconda generazione, con i figli degli immigrati che soprattutto se nati in Italia più spesso si sentono italiani, anche quando formalmente non lo sono. Per loro ottenere la cittadinanza italiana può equivalere ad un riconoscimento identitario.
L’acquisizione della cittadinanza consente ai nuovi cittadini di godere degli stessi diritti politici di tutti gli altri italiani, rientrando nell’elettorato attivo e passivo nelle elezioni politiche, nonché in quelle amministrative regionali e locali. Ma i vantaggi riguardano anche tutti quegli altri ambiti della vita di tutti i giorni in cui gli stranieri, in particolare quelli dei paesi terzi, sono esclusi o hanno delle limitazioni (ad esempio, l’accesso ai concorsi pubblici). L’acquisizione della cittadinanza è per molte persone il raggiungimento di un traguardo o il riconoscimento dell’appartenenza alla comunità nazionale.
Quanti sono e quali caratteristiche hanno i nuovi cittadini?
All’ inizio del 2020 i nuovi cittadini residenti in Italia sono oltre un milione e mezzo, con una crescita significativa nell’ultimo decennio. Infatti, al censimento del 2011 non raggiungevano le 700 mila persone e a quello precedente (del 2001) erano meno di 300 mila. Ampio è il ventaglio delle nazionalità di origine come osservato anche tra gli stranieri. Le persone di origine albanese e marocchina sono le più numerose, seguite da romeni, brasiliani, indiani, argentini, peruviani, tunisini, francesi e macedoni. Sono necessarie queste prime 10 cittadinanze di origine per arrivare alla metà dei nuovi cittadini, segnale di come si tratti di un universo estremamente articolato, addirittura più di quello degli stranieri. Tale situazione è probabilmente legata al fatto che il collettivo si compone non solo degli immigrati stranieri e dei loro figli, ma anche di quella parte dei congiunti e dei discendenti degli emigrati italiana all’estero che stabilitisi nel paese ne hanno chiesto la cittadinanza (per discendenza), come si può intuire dall’elenco delle nazionalità di origine. Va inoltre sottolineato come alcuni gruppi particolarmente importanti tra gli stranieri perdano rilevanza nella graduatoria per cittadinanza di origine dei nuovi cittadini, per varie ragioni tra le quali non secondario sembra essere il minore interesse all’acquisizione del passaporto italiano oppure i maggiori vincoli imposti dalla normativa del paese di origine. Con riguardo alle caratteristiche demografiche i nuovi cittadini nel 56% dei casi sono di sesso femminile, l’età media è di meno di 40 anni (36,5 per gli uomini e 41,7 per le donne) con una quota di under 20 che sfiora il 22% e di over 60 che non arriva al 15%. Si tratta pertanto di una struttura per età intermedia tra quella degli stranieri e quella degli italiani dalla nascita. Ma come descritto nel volume le caratteristiche demografiche cambiano molto in base al passaporto di origine e alle modalità di acquisizione della cittadinanza.
Quali sono le principali caratteristiche e i fattori per l’accesso alla cittadinanza?
Dalle analisi proposte nel volume è emerso che, nonostante le differenze nei percorsi che portano alla cittadinanza, ci sono alcune caratteristiche individuali e del modello migratorio che influenzano significativamente la propensione a diventare italiani. La cittadinanza di origine – anche a parità di altre caratteristiche come età, titolo di studio, sesso, apertura o meno rispetto alla doppia cittadinanza ecc. – ha una fortissima influenza sulla propensione ad acquisire la cittadinanza. Si tratta di un effetto ben noto in letteratura. Non va dimenticato che la cittadinanza sintetizza le caratteristiche del modello migratorio, all’interno del quale l’acquisizione stessa si iscrive perfettamente. I risultati delle analisi condotte mostrano ai due estremi opposti gli indiani con la maggiore e i cinesi con la minore propensione a diventare italiani. Come era immaginabile, gli stranieri dei paesi terzi hanno una maggiore spinta ad acquisire la cittadinanza rispetto ai comunitari, così come le persone originarie dei paesi che riconoscono la doppia cittadinanza più di quelle che vengono da paesi nei quali questa opzione non è riconosciuta.
Sono le donne e i più giovani a mostrare una maggiore inclinazione a diventare italiani rispetto agli uomini e alle persone di 45 anni o più. Anche per l’Italia sono confermati alcuni risultati già emersi dalla letteratura riferita ad altri paesi di accoglimento: un titolo di studio più elevato si associa a una propensione maggiore ad acquisire la cittadinanza, così come il fatto di avere un’occupazione. Con riguardo alle condizioni familiari, chi vive in coppia e, in particolare, in coppia con figli ha un’inclinazione maggiore a prendere la cittadinanza.
Risiedere nelle regioni settentrionali, in particolare nel Nord-Est, rende più frequente l’acquisizione del passaporto italiano rispetto a risiedere nel Mezzogiorno. Ma è tra i residenti nel Centro Italia che la propensione è più bassa. Nel testo si ricorda difatti che nel Mezzogiorno assumono un peso non trascurabile le acquisizioni per discendenza che costituiscono un percorso quasi certo per le persone di alcune specifiche cittadinanze di origine. Infatti, per chi ha almeno un genitore nato in Italia la propensione ad acquisire la cittadinanza è davvero molto elevata. Inoltre, la stabilità della presenza, intesa sia come continuità della residenza in Italia sia come radicamento sul territorio senza spostamenti interni, contribuisce ad aumentare la propensione ad acquisire la cittadinanza.
Che relazione esiste tra il fenomeno dei matrimoni misti nel nostro Paese e la cittadinanza?
È stato già ricordato come in passato le concessioni per matrimonio fossero prevalenti rispetto alle altre modalità di acquisizione della cittadinanza italiana. L’introduzione nel 2009 di vincoli più stringenti, con l’estensione della durata minima della residenza in Italia da sei mesi a due anni prima di poter richiedere la cittadinanza da parte del partner straniero, andava nella direzione di contenere i cosiddetti matrimoni di comodo (o fittizi) stipulati al fine di accedere al passaporto italiano. Ma non va dimenticato che matrimonio e acquisizione della cittadinanza sono spesso tappe importanti dei progetti di vita delle persone e delle coppie. Anche se negli ultimi anni meno rilevati di altre modalità di accesso alla cittadinanza, le acquisizioni per matrimonio sono rimaste numerose: circa 195 mila negli ultimi dieci anni (2011-2020).
Per affrontare in modo più analitico la relazione tra matrimoni misti e cittadinanza, vanno preliminarmente richiamate alcune delle importanti novità che hanno riguardato i matrimoni in Italia. Dal 2004 al 2019 quelli con almeno un residente straniero sono passati da meno dell’11% a quasi il 17% del totale. In circa l’80% dei casi hanno riguardato coppie miste, cioè costituite da uno sposo di cittadinanza italiana e un altro di cittadinanza straniera. Combinando l’informazione sulla cittadinanza alla nascita con quella al momento dell’evento è stato possibile nel volume osservare interessanti cambiamenti: tra il 2012 e il 2019 si è ridotta la quota degli sposi entrambi italiani dalla nascita (dall’85,6 all’80,6%), a favore dei matrimoni con quantomeno un partner straniero o di origine straniera. Limitando l’attenzione a questi ultimi casi, è stato possibile segnalare come sia diminuito il peso dei matrimoni tra sposi entrambi stranieri (dal 19,2 al 17%) e quello dei matrimoni tra uno sposo italiano dalla nascita e uno straniero (dall’68,6 al 61,7%), a favore delle coppie con entrambi i partner italiani per acquisizione (dallo 0,3 all’1%), quelle con italiano acquisito e straniero (dal 2,5 al 7,5%) e, infine, quelle con italiano dalla nascita e italiano acquisito (dal 9,4 al 12,8%). Segnali evidenti della maggiore varietà delle situazioni e dei percorsi di inclusione.
Nel libro è stato possibile analizzare quanti cittadini stranieri negli anni successivi al matrimonio hanno acquisito la cittadinanza: a otto anni dal matrimonio il 28,3% degli stranieri e il 63,2% delle straniere che si sono sposati/e nel 2011 (sia con italiani sia con altri stranieri) sono diventati/e italiani/e, con una forte differenziazione per genere. Più in dettaglio, i cittadini stranieri, a otto anni dal matrimonio, se in coppia con un’italiana dalla nascita nel 44,5% dei casi hanno acquisito la cittadinanza, quota che sale al 90% se sposati con una cittadina italiana per acquisizione. Le cittadine straniere, se in coppia con un cittadino italiano per acquisizione, divengono italiane praticamente nella totalità dei casi; comunque la quota di nuove italiane risulta elevata anche se sono in coppia con italiani dalla nascita. Appare inoltre interessante notare come il 17,8% dei cittadini stranieri e il 16,1% delle cittadine straniere che si sono sposati/e con stranieri/e abbiano, a distanza di otto anni, acquisito la cittadinanza italiana, a conferma del fatto che, rispetto al passato, si stanno oramai consolidando altri motivi di acquisizione alternativi a quello del matrimonio che prima risultava essere quello prevalente. Tutto questo ci ha portati a segnalare come, soprattutto dalla metà del primo decennio di questo secolo, si siano concretizzati numerosi percorsi individuali e familiari di stabilizzazione, integrazione e naturalizzazione.
Cosa determina la propensione a emigrare di stranieri e nuovi italiani?
Le scelte migratorie variano in base alle caratteristiche individuali e familiari e rispondono a una molteplicità di fattori economici, sociali e culturali, soggettivi e di contesto, che modellandosi sulle aspettative vanno a generare complessi progetti di mobilità territoriale. La letteratura sul tema è vastissima e diverse sono le teorie proposte per un fenomeno così sfaccettato e multiforme. Nel volume l’attenzione è posta su un caso specifico: la propensione a lasciare l’Italia da parte dei residenti al censimento del 2011 distinti in italiani per acquisizione, stranieri che hanno acquisito la cittadinanza negli anni successivi al censimento e stranieri che fino all’inizio del 2020 non sono diventati italiani. I maggiorenni appartenenti a questi gruppi di popolazione vengono osservati in una finestra temporale di poco più di otto anni (dalla data del censimento alla fine del 2019). In generale, è confermata dai risultati dell’analisi l’importanza delle caratteristiche demografiche, delle condizioni economica e familiare, nonché dell’origine e della pregressa esperienza migratoria. L’acquisizione della cittadinanza appare un indicatore di stabilità sul territorio: chi aveva già ottenuto la cittadinanza italiana al momento del censimento mostra una propensione all’emigrazione nettamente inferiore rispetto a chi è rimasto straniero. Anche quelli che hanno acquisito la cittadinanza dopo il censimento hanno una minore inclinazione a emigrare rispetto agli stranieri, ma una propensione maggiore rispetto a quelli che sono diventati italiani prima della rilevazione censuaria. Quest’ultimo aspetto ha suggerito nel testo le seguenti considerazioni: “(…) l’acquisizione di cittadinanza, in un contesto come quello europeo in cui è garantita la libertà di movimento ai titolari di passaporto di uno degli Stati dell’Ue, sta assumendo un significato diverso, più ampio che in passato, e (…) le migrazioni internazionali hanno spesso un carattere meno definitivo di quanto si voglia credere. Una seconda migrazione non si può considerare esclusivamente come la conclusione di un’esperienza fallimentare, ma può essere vista come una seconda o ulteriore fase di un processo complesso, in un contesto in cui si diffondono anche le cosiddette migrazioni circolari e in cui la cittadinanza di un paese europeo diviene il «passaporto» per altre destinazioni, in progetti migratori sempre più fluidi, che si adattano a situazioni di crisi e a mercati del lavoro in continua trasformazione.” (p. 129).
Quali prospettive per la cittadinanza in Italia?
Diversi sono stati i progetti di riforma della normativa sulla cittadinanza proposti in questi anni. Nessuno è riuscito finora a raccogliere il consenso necessario per completare l’iter parlamentare e diventare legge dello Stato. Tutte le proposte, in alcuni casi anche con differenze rilevanti, erano comunque orientate nella direzione di rendere meno lungo il tempo necessario agli stranieri per accedere alla cittadinanza, soprattutto ai figli degli immigrati e in particolare a quelli nati sul territorio nazionale, dando (maggiore) peso allo ius soli e allo ius culturae. Nel quarto capitolo del volume vengono valutati gli effetti dell’eventuale entrata in vigore di alcuni dei disegni di legge proposti sul numero aggiuntivo di nuovi cittadini.
Volendo restare su una dimensione utilitaristica si potrebbero fare le seguenti considerazioni. Su scala italiana, l’eventuale riforma della normativa in una direzione meno restrittiva rispetto a quella in vigore va vista non solo nella prospettiva di includere persone che sono nate e/o vivono da tempo nel paese, ma anche con l’idea che le persone hanno sempre più spesso appartenenze multiple che costituiscono un capitale sociale prezioso non solo per i singoli e le loro famiglie ma anche per le diverse società all’interno delle quali si muovono. Nonostante la pandemia, in un mondo sempre più interconnesso riconoscere l’appartenenza a persone che sono diventate parte integrante e costitutiva della società potrà voler dire accendere connessioni con altre realtà del pianeta capaci di produrre occasioni di progresso. Su scala europea l’adozione di una cornice di riferimento comune all’interno della quale ridefinire le normative dei singoli Stati con riguardo alla cittadinanza e al suo accesso appare senza dubbio auspicabile, anche alla luce del legame tra la cittadinanza nazionale, quella europea e la libera circolazione tra Stati membri dell’Ue.
Volendo formulare una proposta esplicita, nel libro è stata suggerita l’opportunità di ridurre in modo generalizzato la durata minima della residenza necessaria per poter usufruire delle diverse modalità di acquisizione della cittadinanza. Riprendendo le parole del testo: “(…) si propone la regola dei cinque anni, già adottata da diversi paesi europei, per tutte le opzioni di accesso alla cittadinanza italiana che non prevedano già soluzioni più favorevoli: per la naturalizzazione ordinaria; per il conferimento alla nascita ai neonati i cui genitori, pur non essendo italiani, risiedono in Italia da almeno cinque anni; per il conferimento su richiesta di uno dei genitori ai minorenni, nati in Italia o nati all’estero, che risiedono comunque da almeno cinque anni ininterrottamente sul territorio italiano. Questa proposta non esclude naturalmente la possibilità di accesso per elezione al compimento della maggiore età per i nati in Italia che non abbiano ancora il passaporto italiano, ma richiede una residenza ininterrotta nel paese negli ultimi cinque anni. Tale soluzione garantirebbe agli immigrati adulti di diventare italiani in un tempo effettivo ragionevole, cioè non troppo lungo, ma comunque spesso prossimo ai dieci anni se si tiene conto (anche) del periodo di permanenza nel paese precedente l’iscrizione anagrafica e di quello successivo alla maturazione del requisito temporale prima della concessione della cittadinanza. Per i nativi con genitori stranieri, in questo modo si aprirebbe la possibilità di essere accolti già nella scuola dell’obbligo direttamente come italiani, mentre per quelli arrivati da bambini, preadolescenti o adolescenti si applicherebbe di fatto lo ius culturae senza scaricare sui giovani e le loro famiglie le possibili difficoltà di accoglienza del nostro sistema scolastico. In pratica, non sarebbe necessario aver frequentato la scuola per cinque anni e/o aver conseguito il titolo di studio corrispondente al completamento di un ciclo formativo.” (pp. 152-153).
Salvatore Strozza, ordinario di Demografia dell’Univ. di Napoli Federico II, coordina il Master in Gestione delle migrazioni e dei processi di accoglienza e inclusione ed è Presidente della Società Italiana di Economia Demografia e Statistica (SIEDS). Ha scritto oltre 250 articoli su migrazioni internazionali e stranieri in Italia. Volumi recenti: Migration from the Newly Independent States. 25 Years After the Collapse of the USSR (co-curatori Denisenko e Light; Springer, 2020) e Nuovi cittadini. Diventare italiani nell’era della globalizzazione (coautori Conti e Tucci; Il Mulino, 2021).