“Numeri” di Umberto Bottazzini

Prof. Umberto Bottazzini, Lei è autore del libro Numeri pubblicato dal Mulino: da dove vengono e cosa sono i numeri?
Numeri Umberto Bottazzini“I numeri ce li ha dati il buon Dio, tutto il resto è opera dell’uomo”, disse una volta Leopold Kronecker, grande matematico della seconda metà dell’Ottocento, con una battuta diventata celebre. In un certo senso, al di là delle sue intenzioni, e delle conoscenze dell’epoca, c’è un fondo di verità nelle parole di Kronecker. Come hanno rivelato esperimenti con neonati, infatti, gli esseri umani sono dotati dalla nascita della capacità di stimare piccole numerosità, fino a 3 o forse 4. Si tratta del frutto di una storia evolutiva di milioni di anni. In realtà, non solo gli esseri umani ma anche gli individui di molte altre specie animali – pulcini, ratti, scimpanzé, macachi e così via – sono dotati di analoghe capacità. Rispetto ad essi, tuttavia, solo gli individui della specie umana sono dotati della capacità di generare la successione dei numeri 1, 2, 3, … attraverso un procedimento iterativo (aggiungere un’unità) che appare fuori dalla portata di specie non umane. In una parola, potremmo dire che i numeri ci vengono dalla nostra storia evolutiva. Ma questa non è la risposta alla seconda domanda: cosa sono i numeri? Tutti pensiamo di averne una chiara idea, eppure risposte soddisfacenti alla domanda hanno cominciato ad essere date dai matematici solo verso la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, con lo sviluppo dei sistemi assiomatici come per es. quelli del matematico e logico Giuseppe Peano, che ne caratterizzano le proprietà fondamentali, dandone per così dire una definizione implicita.

Come rappresentano i numeri le culture antiche ed extraeuropee?
Oggi siamo familiari con le cifre arabe, in realtà di origine indiana ma così chiamate perché portate in Occidente dagli arabi. E poi adottate dai maestri d’abaco medioevali, come Leonardo Pisano, che nel suo Liber abaci (1202) le chiama “le figure degli Indi”. Naturalmente, siamo familiari anche con le cifre romane. Ma nelle culture più antiche i modi di rappresentare i numeri erano assai diversi. I popoli che nell’antichità hanno abitato il vicino Oriente, come i Sumeri e i Babilonesi o, nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, gli Egizi o i Greci, rappresentavano i numeri con propri simboli. Presso i Babilonesi per esempio era in uso un sistema additivo (non posizionale) sessagesimale ancora oggi adottato nel computo del tempo. Gli Egizi usavano simboli geroglifici, i Greci invece si servivano delle lettere dell’alfabeto mentre nella scuola di Pitagora i numeri erano rappresentati da punti, a formare figure – numeri ‘figurati’ come i numeri triangolari disposti su triangoli equilateri, i quadrati, i cubi, i numeri pentagonali, … e così via. Una caratteristica peculiare di tutti questi sistemi è l’assenza di un simbolo per lo zero, che fa la sua comparsa nel sistema decimale (posizionale) apparso in India nel V o VI secolo d.C. e, nell’America latina, nel sistema vigesimale dei Maya.

Qual è la storia dei numeri?
Come racconto nel mio libro, la storia dei numeri è la storia di una parte fondamentale della matematica. Attraverso la loro storia si può seguire lo sviluppo della matematica nei diversi periodi, dalla più remota antichità fino ai giorni nostri. Uno sviluppo che ha avuto un andamento disuguale nelle diverse parti del mondo, in Cina e in India e in Occidente. E non mancano le sorprese. È interessante, e forse sorprendente, scoprire per esempio che negli Elementi di Euclide, che per duemila anni hanno rappresentato il modello di rigore matematico, i numeri sono rappresentati da figure geometriche, da segmenti, quadrati, etc. di modo che teoremi e risultati relativi a proprietà dei numeri, anche assai sofisticate, sono enunciati in termini geometrici. Come per esempio teoremi sui numeri irrazionali e i numeri perfetti.

Come si manifesta la perfezione nei numeri?
Secondo Platone, sono le proporzioni a realizzare i legami tra i numeri (e non solo) nel modo più perfetto e, negli Elementi di Euclide, la teoria delle proporzioni consente di dar conto dei numeri irrazionali, la cui scoperta tanto scandalo aveva destato nella scuola dei Pitagorici. E poi naturalmente la perfezione si manifesta nei numeri perfetti, cioè i numeri che sono somma dei loro divisori propri (compresa l’unità) come per esempio 6 = 3+2+1. A dire di sant’Agostino, 6 è perfetto perché Dio ha compiuto tutte le sue opere in 6 giorni (o anche, Dio ha compiuto tutte le sue opere in sei giorni perché 6 è un numero perfetto). Lasciando a sant’Agostino le esegesi bibliche, i numeri perfetti (pari) sono caratterizzati da un bel teorema di Euclide. A tutt’oggi è ancora una questione aperta se esistano numeri perfetti dispari, anche se si tende a pensare che non ne esistano. E neppure si sa se i numeri perfetti pari siano infiniti o no.

Come si classificano i numeri?
I numeri naturali, 1, 2, 3, … sono in un certo senso i mattoni con cui è costruito l’intero edificio dei numeri. In generale, si può dire che le estensioni operate a partire dai numeri naturali con la creazione di nuovi sistemi numerici rispondono all’esigenza di poter effettuare operazioni non altrimenti possibili in un dato dominio numerico. Se ci si limita ai numeri naturali, la sottrazione non è sempre possibile. Lo diventa se si ‘estende’ il dominio dei numeri naturali con l’introduzione dello 0 e dei numeri interi negativi. Negli interi relativi così ottenuti la divisione (per un numero diverso da 0) non è sempre possibile, ma lo diventa nel campo dei numeri razionali che comprende i numeri interi e le usuali frazioni. In maniera analoga si può pensare di “estendere” il campo dei numeri razionali con l’introduzione dei numeri irrazionali ottenendo i numeri reali. E si può pensare di continuare questo procedimento di “estensione” o creazione di nuovi domini numerici considerando le radici quadrate di numeri negativi, ossia i numeri immaginari, anche se non è stato certo questo il modo in cui quei numeri sono stati introdotti dai matematici italiani del Cinquecento. E a partire dai numeri immaginari, o meglio dai numeri complessi come dicono i matematici, sono stati creati sistemi numerici con due o più unità immaginarie, come i quaternioni di Hamilton o gli ottetti di Cayley.

Cosa sono i numeri immaginari?
Come ho detto, i numeri immaginari sono radici quadrate di numeri negativi. Più precisamente, l’unità immaginaria i è definita come i = √-1. Tuttavia, occorre sottolineare con forza che non è stato certo un desiderio di generalità a portare alla creazione di quei numeri. Nelle mani di Rafael Bombelli, che li introdusse nella sua Algebra (1572) vincendo la sua propria riluttanza, quei nuovi numeri erano il risultato di un’operazione necessaria, che consentiva di spiegare come mai in certi casi le equazioni cubiche avessero tre radici reali anche se la formula risolutiva di Tartaglia e Cardano portava alla considerazione di quantità “sofistiche” come le radici quadrate di numeri negativi. Per molto tempo i numeri immaginari hanno conservato uno status ambiguo, anfibi tra l’essere e il non-essere per usare le parole di Leibniz. Solo nell’Ottocento, con la loro rappresentazione come punti nel piano (di Argand-Gauss) i numeri complessi hanno ottenuto un diritto di cittadinanza stabile in matematica.

I numeri possono descrivere l’infinito?
L’infinito è un concetto che si affaccia continuamente in matematica, a cominciare dalla successione dei numeri naturali 1, 2, 3, … dove i puntini stanno ad indicare che si può continuare la successione indefinitamente. Ma, come ha detto una volta il grande matematico David Hilbert, senza opportune precauzioni l’infinito non è ammissibile neppure in matematica. Alla fine dell’Ottocento Georg Cantor ha esteso il concetto di numero con la sua grandiosa teoria dei numeri (ordinali e cardinali) transfiniti, che hanno rivelato ai matematici una straordinaria gerarchia di infiniti e hanno aperto la via alla considerazione di numeri infinitamente grandi come i numeri iperreali o i numeri surreali. Numeri che, come i transfiniti di Cantor, permettono di “descrivere l’infinito” in un senso matematico ben preciso.

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