“Non «servono» i Greci e i Romani” di Luigi Alfinito

Non «servono» i Greci e i Romani, Luigi AlfinitoNon «servono» i Greci e i Romani è la provocatoria affermazione che dà il titolo al pamphlet di Luigi Alfinito, edito da La scuola di Pitagora, subito però argomentata sin dalle primissime righe del testo: «Leggere i Greci e i Romani non serve in termini utilitari. Può concorrere a educare la sensibilità al bello, come la buona musica. Può aiutarci a capire quel che fummo, antropologicamente e linguisticamente, e come siamo diventati diversi».

L’approccio ai classici più fecondo, sia sul piano formativo che epistemologico, è piuttosto quello proposto da Maurizio Bettini, nel suo A che servono i Greci e i Romani, un «approccio antropologico agli antichi», capace di aiutare «una società multiculturale come la nostra a capire culture diverse, anche nella loro dinamica evolutiva», che consiste nel «non volerli attualizzare a tutti i costi, ma di evidenziare la nostra diversità – pur nella continuità».

Per l’Autore, le «ricerche antropologiche più interessanti sull’antichità» sono quelle che, «confrontando credenze manifestatesi in aree geografiche diverse, con nessuna o scarsa possibilità di interscambi, ne enucleano identiche strutture mentali che presiedono alla rappresentazione del mondo». È il caso, ad esempio, del «paradigma del capo (del re o dio) che s’immola per la sua terra e per il suo popolo, a beneficio dei quali effonde anche il sangue e le energie (si pensi a Decio Mure a Roma, a Codro ad Atene, ma anche ai riti primitivi di aree geografiche diverse e indipendenti)» che potrebbe «aver contribuito all’elaborazione della teologia cristologica ed eucaristica del cristianesimo».

La polemica si indirizza poi alle inesattezze di Andrea Marcolongo e del suo La lingua geniale, puntualmente e convincentemente corrette dal Nostro, che precisa: «geniale non fu la lingua greca, assoggettata alle dinamiche di formazione che presiedono a tutte le lingue indoeuropee […] Geniale fu la cultura greca, la letteratura, la ricerca filosofica e scientifica, le forme della vita associata: creazioni fondamentali, anzi fondanti per lo sviluppo della cultura europea.»

Un’«estraniazione ingenua», dunque, quella della Marcolongo, «paragonabile all’estraniazione, fatta dal neo-classicismo sette-ottocentesco, che idealizzava la (presunta) beatitudine del mondo antico e la “perfezione” dell’arte classica».

Alfinito, dopo aver insegnato per quarant’anni latino e greco nei licei, compie «un elogio funebre» degli studi classici e della scuola pubblica che pretende di «darli in pasto alla gente» in base al «sillogismo: se i classici sono la chiave d’accesso al potere e il potere in democrazia appartiene al popolo, ne deriva che nella scuola democratica i classici devono entrare nella formazione del popolo.» Tuttavia, «la scuola, se non vuole essere “di classe”», non deve limitarsi «a dispensare diplomi» ma «obbligare i figli del popolo allo studio serio proprio per fornire strumenti culturali a chi non potrebbe attingerli ad altre fonti, cioè al retroterra familiare.»

«Alcune discipline, poi, richiedono più di altre sacrifici, esercizi noiosi e soprattutto pazienza, prima che ci s’impadronisca degli strumenti tecnici che generano diletto e soddisfazione. Perciò latino e greco non sono per tutti. Come non è per tutti la musica. Bisogna esserci vocati.»

«Forse è più utile leggere e commentare agli alunni i classici direttamente in traduzione, delegando alla Facoltà di lettere classiche la croce e delizia dell’apprendimento linguistico. Latino e greco non servono, come non serve la musica: non servono a raggiungere il potere […] Come patrimonio dell’umanità, andrebbero protetti in una nicchia, perché sviluppano il gusto del bello, della parola, del discorso, ma richiedono un vero e proprio culto, soprattutto una pazienza infinita […] Non si può pretendere di dare queste discipline in pasto a chiunque.»

Conclude dunque l’Autore: «La musica classica, meno esposta del greco e del latino alla pretesa velleitaria di “democratizzazione” ha potuto conservare una più dignitosa sopravvivenza perché affidata a cultori professionisti […] In Italia abbiamo, non meno importante della tradizione classicista, un patrimonio di musica lirica dal quale non ci facciamo scrupolo di escludere chi non dimostra sufficienti attitudini ed applicazione, per preservarne la dignità. Credo che lo stesso trattamento meritino il latino e il greco».

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