
Spesso per un’azienda il nome è una voce del bilancio, e il suo valore cresce con l’accrescersi di investimenti, mercati, produzione, notorietà. Grandi acquisizioni internazionali riguardano il solo nome del brand, non le strutture collegate, come le sedi, i reparti produttivi, la logistica; si vende, si scambia, si commercia il nome e il suo diritto d’uso.
Il nome è quindi un asset per l’azienda, ha un valore simbolico e commerciale, è la sua storia. È per questo che è difficile pensare di cambiare il nome di un brand. Il logo viene modificato spesso e facilmente; nel caso dei prodotti vediamo cambiare confezioni e materiali ogni 5/10 anni; cambiano i colori istituzionali e gli aspetti formali, ma il nome è così inscindibile dall’identità di un brand che è difficile possa cambiare. Anche noi come persone non riusciamo ad immaginarci con un nome diverso da quello che portiamo dalla nascita.
Quali ingredienti servono per trovare il nome giusto?
Bisogna avere qualcosa da dire: individuare un messaggio forte, distintivo, che possibilmente non sia già espresso dai nomi dei concorrenti, e che non sia banale. Che la nuova linea di deodoranti da lanciare sia di qualità, sicura, efficace ed anche gradevole, è la base ed è ovvio. Se si vuole che il prodotto sia vincente e convincente, con il nome bisogna esprimere un valore nuovo, credibile, appetibile. Quindi tutti gli studi di mercato volti ad individuare i posizionamenti e i valori già espressi dai concorrenti sono importanti e aiutano a scovare una zona franca, nuova, inedita.
Si parte dall’alfabeto: lettere che sono suoni, che si combinano con altre lettere, creando altri suoni. Quindi si trova un ritmo, ed uno stile. Se si vuole dare un tono elegante e di spessore, si attingerà a lingue classiche, al francese, ad una struttura linguistica più complessa. Se invece l’obiettivo è rendere simpatico il prodotto e suggerire praticità, il nome userà suoni vivaci e dinamici, accenti, troncature, la lingua inglese o lo spagnolo. La conoscenza delle lingue moderne e antiche, degli usi e significati delle parole è fondamentale.
Ci vuole una buona fluidità e scioltezza nel forzare la lingua e declinare il messaggio in una o due parole pregnanti, che si fanno notare la prima volta e riconoscere la seconda, la terza e per sempre.
A questo punto serve una competenza giuridica per scandagliare i marchi esistenti nella speranza che non esistano marchi identici o simili a quello prescelto, per la stessa categoria merceologica. E qui tra gli ingredienti gioca anche un po’ la fortuna, perché il numero dei marchi depositati è tendente ad infinito, ed ogni anno in tutto il mondo vengono registrati circa 11 milioni di nuovi marchi.
Quali buone pratiche possono guidare verso la scelta finale?
Ci vuole una buona compresenza e complementarietà di materia grigia creativa e razionale. All’inizio della ricerca prevale il lavoro più razionale e logico: raccogliere informazioni, comprendere, scandagliare, decidere. Poi via libera al flusso creativo e alla divergenza: pensiero immaginativo, associativo, analogico, figurativo, metaforico. Ad esempio se cerchiamo il nome per un nuovo parco divertimenti acquatico, possiamo fermarci ad un piano immediato e descrittivo con il nome AcquaFun. Possiamo spingerci a un livello associativo con Sballo Oceanico, oppure entrare in un piano analogico con Amnios, o metaforico e figurativo con Liquid Paradise.
Il vantaggio è di attraversarli tutti e poi scegliere i risultati che meglio rappresentano l’immagine che vogliamo dare. Lavorare sulla quantità e su piani differenti dà lo slancio giusto per individuare e scegliere poi la strada migliore.
Scopriremo anche che i primi nomi che abbiamo partorito sono i meno interessanti perché più ovvi e convenzionali: quelli buoni arrivano dopo un po’ che ci si lavora.
Fare brain storming, usare mappe mentali dei concetti che vogliamo esprimere, esplorare il Web, farsi ispirare da immagini e dai tanti dizionari di sinonimi e thesaurus che esistono on line o cartacei, sono aiuti fondamentali per la nostra funzione creativa.
Come si articola una strategia nominale per un’azienda o un brand?
Una strategia nominale fatta bene aiuta il brand a farsi conoscere e riconoscere, e si costruisce su un territorio espressivo definito e uno stile particolare. I nomi di biscotti e merende Mulino Bianco sono immediatamente riconoscibili perché parlano in modo semplice di un mondo di natura e usano un linguaggio molto definito: Primizie, Macine, Molinetti, Spighe, Galletti. Anche Apple ha creato un suo modo unico di distinguere i prodotti attraverso il nome: una [I] minuscola che precede il nome generico dell’oggetto: iPhone, iPad, iPod. E lo stesso vale per tante case automobilistiche che hanno una strategia di naming chiara e compatta, che ha anche il pregio di facilitare l’individuazione dei nomi delle nuove proposte che man mano vengono lanciate. Anche il verbal branding partecipa alla completezza della strategia nominale: il modo in cui una marca parla di sé deve essere coerente con lo stile che pervade anche i nomi che si è data.
Quali sono le maggiori difficoltà nella scelta del nome per un’azienda o un brand?
Siccome il nome si sceglie una volta e poi rimane quello per tutta la vita del brand, è naturale che sia un momento difficile e delicato, soprattutto se coinvolge più persone, influenzate inevitabilmente dalla propria sensibilità e soggettività.
I momenti più critici sono quando tante teste decidono, e soprattutto quando le suddette teste non partecipano al processo dall’inizio, orientando la ricerca in modo organico. In aziende molto piramidali, spesso a scegliere il nome è una persona che sa poco del progetto, del mercato, del target: usa l’istinto e il gusto personale, dedicando pochi minuti ad un processo che magari ha alle spalle settimane di lavoro, ricerca, incontri, condivisioni, verifiche legali e con il consumatore.
A volte manca il coraggio di fare una scelta forte: all’inizio della ricerca si è convinti di volere un nome distintivo, nuovo, anche un po’ “sovversivo” ma poi è rassicurante scegliere un nome più “standard”, convenzionale, che non si faccia notare troppo. Ed è un peccato soprattutto quando il prodotto è realmente innovativo e ha qualcosa di originale da dire.
Un’altra grande difficoltà che sta a monte di tutto, è la sottovalutazione di cui soffre il naming anche in contesti aziendali molto raffinati. Si pensa che non sia importante, che il nome sia una parola che tutti possono individuare, che non serva tanto studio, analisi, pensiero e investimento economico, oltre che di tempo. Ed allora si parte troppo tardi, si saltano step fondamentali e alla fine si lavora male. E poi, purtroppo vale ancora il detto che “l’erba del vicino…” e quindi il nome del concorrente è favoloso, ineguagliabile, “l’avessimo trovato noi!”. Ma è un criterio sbagliato, che ostacola la scelta e la libertà.
In cosa consiste il metodo PAPSA?
Il metodo PAPSA è un percorso in tappe che aiuta a seguire una linearità nella ricerca del nome dando spazi e tempi giusti, e mettendo la parola fine ad un processo che spesso rischia di essere senza fine. Il nome Papsa è un acronimo: ogni lettera è l’inziale di una tappa: questo metodo e il suo nome sono stati formulati da Hubert Jaoui, un ricercatore francese esperto di creatività e innovazione con cui ho lavorato a lungo. Avendo sperimentato la validità di questo percorso per l’innovazione, ho deciso di adattarlo al naming.
La tappa della Percezione è dedicata a comprendere gli obiettivi di comunicazione del nome, il posizionamento, i suoi valori e la politica di marca, il target e il mercato di riferimento. È importante lavorare insieme con il cliente in questa prima fase, attraverso workshop di esplorazione e proiezione del posizionamento e dell’immagine di marca.
Nella tappa dell’Analisi si strutturano tutte le possibili aree espressive e le direttrici da percorrere per attribuire al nome una ricchezza evocativa che si esprime attraverso la semantica, la fonetica, la struttura, la morfologia, e lo stile.
Si apre quindi la tappa della Produzione creativa che porta a tantissimi nomi utilizzando gli strumenti che favoriscono il flusso creativo e l’impiego di logiche analogiche, associative, proiettive. Gruppi creativi di name storming, laboratori linguistici per approfondire e sviluppare parole e radici interessanti, ricerche semantiche.
Quando abbiamo un buon numero di nomi (qualche centinaio), è necessario filtrare si entra quindi nella tappa delle Selezione: dopo la divergenza creativa entra in atto la convergenza finalizzata. I criteri di selezione soddisfano gli obiettivi di marketing e di comunicazione, l’internazionalità del nome e la sua difendibilità come marchio. Name test con focus group e interviste aiutano a scegliere il nome più efficace all’interno di una rosa ristretta di nomi finalisti.
Nella fase finale di Applicazione si intreccia il nome alla marca; si studia il verbal branding alla luce del territorio nominale ed espressivo del brand e si pensa al name storytelling e quindi a come comunicare il nome in azienda e presso il target esterno. Si porta avanti lo studio di un eventuale playoff o brand line, l’identificazione del nome di dominio e dei nomi degli spazi social che a volte non coincidono esattamente con il nome scelto, o perché non sono disponibili o per altre ragioni di comunicazione. Contemporaneamente ha inizio la procedura per il deposito e la registrazione del nome come marchio.
Quali accortezze richiede la scelta di un nome internazionale?
Bisogna rassegnarsi al fatto che difficilmente un nome comunica nello stesso modo sui vari mercati internazionali: una parola italiana che ha un significato in italiano, difficilmente sarà compresa da un tedesco che ignora la nostra lingua, o sarà ben pronunciata da un francese. A meno di non utilizzare una lingua molto nota come l’inglese o termini che hanno la loro radice nel latino o nel greco e sono quindi riconoscibili in tante culture occidentali, il nome in alcuni mercati sarà solo un suono.
Quindi bisogna evitare i costrutti molto caratteristici e difficili da leggere come alcune consonanti doppie dell’italiano, gli accenti del francese, lettere ancora difficili come [J] o [Y] per l’italiano.
Se poi il nome atterrerà anche sui mercati asiatici, allora la cosa si fa ancora più complessa, e quasi sicuramente darà vita a un nome in lingua locale, traslitterando i suoni, oppure adattando il significato agli ideogrammi disponibili.
Il fatto di usare in alcuni stati un nome diverso dall’originale può capitare anche in alcuni paesi occidentali in cui il nome scelto non può funzionare, o perché difficile da pronunciare, o perché ha un significato sgradevole e suscita associazioni negative, oppure perché semplicemente in quel paese il marchio è già usato da altre aziende.
Può capitare che anche se il nome crea problemi di pronuncia o associazioni non funzionali in una specifica lingua locale, si decida comunque di adottarlo, orientando però la comunicazione ed altre leve di marketing per coprire il problema: lo spot pubblicitario insisterà sulla corretta pronuncia o sui valori forti, in modo da neutralizzare le sconvenienze. L’importante è essere consapevoli dei limiti del nome e costruire una buona strategia di branding.
Quale ruolo svolge il web in una strategia di naming e architettura di marca?
Il Web ha un ruolo fondamentale per fare le ricerche preliminari su come si muove il settore in termini di naming, posizionamento e verbal branding. Nella prima tappa della ricerca bisogna scoprire quali sono le tendenze più diffuse, e che nomi circolano in Internet e sui social, per capire come si posizionano i concorrenti e che immagine danno di sé attraverso il nome. Al termine della ricerca del nome, quando si è scelto il nome definitivo o una rosa ristretta di 5/6 nomi, è importante verificare con i motori di ricerca che cosa emerge in corrispondenza di ciascun nome e fare riflessioni su quanto e come è sfruttato in generale, e se quello è confondibile con il nostro nome.
Il nome di dominio è un altro elemento che aiuta a costruire identità: l’ideale è che sia disponibile tal quale, ma è un’eventualità molto rara se si cerca un .com. Spesso per avere un dominio corrispondente al nome bisogna accettare dei compromessi: un’estensione particolare, un dominio leggermente diverso dal nome, o un’offerta economica per acquistarlo.
Il sito è lo specchio del brand, per cui deve seguire un’architettura e avere uno stile che sia coerente con la personalità del brand, dando visibilità al nome e declinando i valori di cui esso è portavoce.
Il nome è sempre il perno di tutto. È di marmo perché deve essere solido e sopravvivere a tutti gli eventi che negli anni caricheranno il brand, ma deve essere morbido per poter accogliere sfumature di senso, valori, obiettivi di comunicazione che evolvono con la crescita e la maturazione del brand.
Linda Liguori studia e inventa nomi da più di 20 anni. Collabora come consulente con aziende italiane e internazionali di ogni settore, per creare e verificare nomi di prodotti, servizi, attività e aziende, e per impostare strategie di naming e verbal branding. Fa parte di una rete internazionale di società ed esperti di naming, ed ha pubblicato il libro Brand Name Stories per Lupetti Editori di comunicazione, saggi e articoli sul brand naming. Sta ora lavorando ad un libro che raccoglie le sue riflessioni sui nomi di marca, condivise nel blog www.lindaliguori.it