
Come si esprime, nel pensiero di Friedrich Nietzsche, la tensione tra ontologia della vita e pensiero della storicità?
L’ontologia della vita di Nietzsche nasce ancipite: la «vita» – nella sua massima dignità concettuale da attingere e tener ferma – ora viene intesa come vita originaria che sta dietro tutti i fenomeni, ora come concetto biologico, come vita del vivente organico e, nella sua espressione più alta, come vita dell’uomo. A seconda della prevalenza di quella o di questa polarità, nella mediazione tra esse che nel pensiero nietzscheano in virtù della cosa stessa si produce, abbiamo in Nietzsche ora una metafisica della vita, dove l’arte e un pensiero misticamente orientato ne rappresentano l’organo conoscitivo, ora una riflessione sulle condizioni di possibilità della vita vivente come individua, e massimamente della vita umana: il prevalere di questa polarità si configura come immediatamente fondazione, elaborazione di una teoria della storicità – i processi di ‘storicizzazione’ della vita, l’emergere di una “coscienza storica” non essendo un’“aggiunta” al vivente uomo, ma condizioni di possibilità dell’esistenza umana, che come tale nasce vita storica.
Ora, l’oscillazione tra queste polarità nel ‘sistema’ Nietzsche è talmente costitutiva del suo organizzarsi da darsi piuttosto sincronicamente che diacronicamente. Anzi solo la sincronia di quest’oscillazione come tensione immanente al pensiero di Nietzsche può, a nostro avviso, spiegare il suo polarizzarsi diacronico, che ora spinge in primo piano un’intuizione metafisica della vita, ora una riflessione sulle condizioni generali di possibilità della vita individua, massimamente come vita storica. E giusto quindi sottolineare con Eugen Fink che, di fronte alla «metafisica dell’artista» del primo Nietzsche «preso da un punto di vista esteriore, il secondo periodo di Nietzsche è un completo capovolgimento del primo». Rispetto alla Nascita della tragedia e alla sua metafisica dell’arte, l’«illuminismo» nietzscheano di Umano, troppo umano appare proprio la negazione di ogni «in sé» dietro i fenomeni, l’avvio di quella «distruzione del platonismo» come sdoppiamento idealistico del mondo, che Nietzsche rivendicherà come un suo proprio compito epocale: se nella Nascita della tragedia l’uomo era solo un medio – come artista dionisiaco – dello spettacolo che offriva a se stesso, tramite il regno dei fenomeni, l’Uno originario, «la posizione illuminista della problematica nietzscheana [pone] l’uomo esplicitamente al centro; tutti gli interrogativi si raccolgono in certo modo in lui; il pensiero di Nietzsche diventa un’antropologia». Ora, giusta l’analisi di Fink, questo ‘capovolgimento’ non è niente di puramente esteriore, ma un ‘contromovimento’ cosciente del pensiero di Nietzsche5; tuttavia, non lo si capisce appieno se lo si registra solo sul piano diacronico, sul quale per altro si dà con Così parlò Zarathustra «una nuova ‘ottica dell’arte’»6, come si esprime lo stesso Fink, e quindi almeno in parte un ambiguo ritorno alla polarità metafisica giovanile dell’ontologia della vita nietzscheana. Tanto la diacronia di queste oscillazioni in ordine ad un’ottica della vita, che se pur unifica tutto Nietzsche invero anche lo diversifica, giacché in quest’ottica più lenti vengono usate, tanto il fatto che l’accertamento filologico scova sempre sullo sfondo tracce consistenti dell’altra polarità, di un’altra lente, quando non la posizione direttamente contraria (è la croce di ogni filologia ‘lineare’ di Nietzsche), sono pienamente spiegabili solo nella puntuale verifica che questa oscillazione nasce, come tensione polare, ‘sincronica’, e come tale si mantiene durante tutto l’arco della speculazione nietzscheana, fino al suo precipitato nel Così parlò Zarathustra, dove la polarità intenzionalmente perseguita – l’ottica della vita individuale come estrema intensificazione di una volontà che dice «Io» – si urta senza più possibilità di mediazione, e si sprofonda, nella polarità opposta che l’asserto concettuale di fatto realizza: l’eterno ritorno del ciclo dell’essere come ciclo di una vita che eternamente ritorna su di sé, nell’illusione (nietzscheana) che questo ritorno su di sé della vita significa il ritorno del transeunte passaggio del Sé che pensa questo “pensiero abissale”.
In che modo, in Così parlo Zarathustra, assistiamo all’autosuperamento del nichilismo?
Vi assistiamo proprio nel modo che accennavo: e cioè ipotizzando l’annullamento in qualche modo della freccia irreversibile del tempo che segna il destino di ogni forma di vita determinata, della vita individuale come tale, quale che sia: dai primi livelli dell’organico al “vertice” del concetto biologico di vita nell’uomo. Pensando una temporalità ciclica, alla greca, come eterno generarsi del ciclo della natura, che però in qualche modo salvi la contingenza assoluta – messa allo scoperto dalla freccia lineare del tempo – di ogni individualità determinata, la sottragga cioè al suo essere votata al destino di nulla-essere da cui emerge e cui alla fine ritorna. E questo ovviamente nell’interesse esistenziale dell’individualità che scopre questo destino, la contingenza consapevole umana. Sarebbe possibile un’altra lettura, morale, della “decisione dell’eterno ritorno”, ed è stata proposta: e cioè l’accettazione della propria finitezza senza “spirito di vendetta” metafisico, il “grande sì” alla vita nonostante tutto, nonostante la propria scoperta contingenza. Ma a mio avviso è un tentativo di “normalizzare” la pretesa metafisica dell’ “oltrepassamento del nichilismo” di Nietzsche, di dare una base ontologica a quest’oltrepassamento. Tant’è che alle spalle di Così parlò Zarathustra c’è una messe di testi, leggibili nei frammenti postumi, dove si vede lo sforzo di Nietzsche di argomentare in termini scientifico-positivi la sua tesi dell’eterno ritorno dell’identico come struttura circolare del tempo che si tira dietro in avanti, raggiungendolo di nuovo, tutto il suo passato; anche quel “punto”, noi, che vede il passato passare. Un titanismo ontologico che nella storia degli effetti di Nietzsche prenderà piuttosto la strada del titanismo della tecnica che vorrà prendersi sulle spalle il divenire del mondo. Aprendo la strada della lettura del Superuomo come annuncio dell’epoca della tecnica, che, visto che “Dio è morto”, sarà essa a salvarci dalla nostra labilità ontologica.
Eugenio Mazzarella (Università Federico II) è tra i maggiori interpreti di Heidegger e Nietzsche. I suoi studi hanno proposto un complessivo ripensamento della filosofia e dell’antropologia della tecnica. Tra i suoi lavori recenti: L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet, 2017); Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri (Neri Pozza, 2019; tr. tedesca Ergon, 2020); Perché i poeti. La parola necessaria (Neri Pozza, 2020); Tecnica e metafisica. Saggio su Heidegger (Carocci, 2021; 1ª Guida, 1981); Europa Cristianesimo Geopolitica. Il ruolo geopolitico dello “spazio” cristiano, Mimesis, Milano-Udine 2022.