“Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI” di Georg Gänswein, con Saverio Gaeta

Nient'altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Georg Gänswein, Saverio GaetaNient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI
di Georg Gänswein, con Saverio Gaeta
Piemme

«L’idea originaria di Benedetto era di comunicare la rinuncia a conclusione dell’udienza alla Curia romana per gli auguri natalizi, fissata quell’anno per il 21 dicembre, indicando come data conclusiva del pontificato il 25 gennaio 2013, festa della conversione di san Paolo. Quando me lo disse, a metà ottobre, replicai: «Santo Padre, mi permetta di dirlo, se farà così, quest’anno non si festeggerà il Natale, né in Vaticano né altrove. Sarà come un manto di ghiaccio su un giardino in fioritura». […] Perciò, ragionando insieme con il cardinale Bertone, ci trovammo d’accordo sul fatto che riguardo alla rinuncia, pur avendo compiuto il possibile, non eravamo più in grado di fargli cambiare opinione, mentre almeno sulla data dell’annuncio fummo concordi nel perorare uno spostamento all’anno seguente.

Benedetto comprese le nostre motivazioni e alla fine scelse l’11 febbraio, giorno festivo in Vaticano per l’anniversario dei Patti lateranensi fra l’Italia e la Santa Sede, nel quale era già previsto un Concistoro cosiddetto “bianco”, per l’annuncio di alcune canonizzazioni (mentre il Concistoro “rosso” è quello per la creazione dei nuovi cardinali). […]

Il tempo liturgico era propizio, poiché dopo due giorni c’era il Mercoledì delle ceneri e in questa ricorrenza poté celebrare l’ultima Messa pubblica […]. Quindi, dal 15 al 23 febbraio, si sarebbero tenuti gli esercizi spirituali di Quaresima per la Curia romana, che consentivano un “cuscinetto”, un “tempo di digestione”, sia all’interno sia all’esterno. Il predicatore sarebbe stato il cardinale Gianfranco Ravasi, cosicché si decise di informare anche lui per tempo, in modo da consentirgli la preparazione di meditazioni adeguate alla circostanza.

Nell’ultima settimana prima della rinuncia, Benedetto informò i componenti della Casa pontificia. Il 5 febbraio ricevette il secondo segretario don Xuereb, che in un’intervista ha ricordato così quel momento: «Papa Benedetto mi invita ad accomodarmi nel suo studio e mi annuncia la grande decisione della sua rinuncia. A me, lì per lì, quasi veniva spontaneo di chiedergli: “Ma perché non ci pensa un po’?”. Ma poi mi sono trattenuto poiché ero convinto che aveva pregato a lungo». Nel medesimo giorno, in un momento separato, lo disse anche a suor Birgit, mentre alle Memores parlò il 7 febbraio: per ciascuna fu ovviamente un momento di grande commozione.

Fra i pochi altri a essere messi a conoscenza, oltre ovviamente al fratello Georg, ci furono monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, e padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede. Ambedue ricevettero la notizia dal cardinale Bertone, in modo da essere preparati il primo a guidare la cerimonia del Concistoro e il secondo ad affrontare il prevedibile assalto dei giornalisti.

Naturalmente, venne ufficialmente informato il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio: il Pontefice lo incontrò a quattr’occhi l’8 febbraio e gli diede personalmente la notizia. Contrariamente a quello che qualche giornalista ha ipotizzato, il testo che il decano pronunciò nella sala Clementina, come risposta alla dichiarazione della rinuncia, non era stato concordato con Benedetto (né tanto meno scritto direttamente dal Papa) […].

Benedetto aveva cominciato a fine gennaio a stendere la bozza del testo che avrebbe letto in Concistoro. La sua decisione di scrivere in latino fu ovvia, poiché da sempre è questa la lingua dei documenti ufficiali della Chiesa cattolica. La formula della rinuncia venne ultimata dal Papa il 7 febbraio. Portai personalmente il foglio nell’appartamento del cardinale Bertone, dove lo leggemmo insieme con monsignor Giampiero Gloder, coordinatore in Segreteria di Stato della redazione finale dei testi pontifici. Vennero suggerite piccole correzioni ortografiche e qualche precisazione giuridica, cosicché il testo definitivo fu pronto per domenica 10 febbraio, quando si provvide anche alle traduzioni in italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese e polacco. […]

Una precisa determinazione di Benedetto fu quella di porre un intervallo di separazione fra il giorno dell’annuncio e la data di conclusione del pontificato, poiché reputava essenziale che i cardinali potessero avere un tempo di pausa e di preparazione […]. Inoltre doveva esserci la possibilità di rendere noto il motu proprio Normas nonnullas, su alcune modifiche alle regole della costituzione apostolica Universi dominici gregis relative all’elezione del Romano Pontefice […], una cosa impossibile da fare in precedenza, poiché avrebbe dato troppo nell’occhio.

Al risveglio dell’11 febbraio 2013, dopo una notte un po’ agitata per la tensione, mi resi conto che stavo per vivere un evento che sarebbe rimasto nella storia. Ma sin dal primo incontro con Benedetto XVI, in cappella per la preparazione alla Messa, potei notare che lui era invece estremamente calmo. […] Anche se non mi parlò mai di esplicite illuminazioni soprannaturali, come visioni o locuzioni interiori (del resto fu sempre molto cauto in materia di rivelazioni private), in questo specifico caso espresse costantemente la certezza morale che – riflettendo, pregando e soffrendo – aveva raggiunto la convinzione di dover rinunciare per mancanza delle forze. […]

L’appuntamento era per le 11 e si cominciò in perfetto orario. Il Concistoro era stato convocato, secondo prassi, per il cosiddetto “voto” su alcune cause di canonizzazione. Nella procedura per la proclamazione dei nuovi santi è infatti prevista un’ultima tappa, quando il Pontefice conferma il parere positivo dei cardinali e dei vescovi riguardo alla santità di un beato e annuncia la data in cui presiederà la cerimonia. La circostanza, sebbene relativamente rapida, è comunque un evento solenne, in quanto con il decreto di canonizzazione il Pontefice si esprime ex cathedra, cioè esercita la propria infallibilità, secondo la definizione del Concilio Vaticano I.

I protagonisti di quella mattinata erano Antonio Primaldo e circa ottocento compagni testimoni della fede cristiana, martirizzati a Otranto nell’agosto del 1480 durante un’incursione degli Ottomani sulle coste pugliesi […]. La data della celebrazione sul sagrato della Basilica vaticana per la loro iscrizione nell’Albo dei santi venne fissata per domenica 12 maggio 2013. Dopo questo annuncio, Benedetto avrebbe dovuto alzarsi, pronunciare la formula della benedizione e andare via.

Invece, come avevo riservatamente preannunciato al cerimoniere Guido Marini, porsi al Papa un altro foglio. Era un testo in latino che l’acustica degli ampi spazi rendeva di non facile comprensione, ma, nell’arco di meno di tre minuti, risuonarono alcune parole dal chiarissimo significato, che causarono un sempre più crescente stupore nei presenti: «decisionem magni momenti» («una decisione di grande importanza»), «ingravescente aetate» («per l’età avanzata», rievocando il titolo del motu proprio con cui Paolo VI, nel 1970, aveva emanato alcune norme connesse all’età dei cardinali), «incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum» («la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato»), «declaro me renuntiare» («dichiaro di rinunciare»), «Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem» («il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice»). […]

In questo modo, Benedetto adempì esattamente quanto stabilito dal Codice di Diritto canonico (can. 332 §2): «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti». Ovviamente, per rispondere a chi tuttora sostiene che non c’è riscontro formale di quell’atto, sul foglio vennero apposte la data e la firma autografe del Papa e la sua dichiarazione fu verbalizzata da un protonotario apostolico, che redasse il rogito del Concistoro, custodito nell’apposito archivio a perpetua memoria.

Con voce a tratti rotta per l’emozione, il cardinale Sodano lesse una risposta nella quale si alternarono passaggi nel contempo drammatici e lirici, riuscendo, a mio parere, a trasmettere i sentimenti che aleggiavano nella sala, misti di gratitudine e di preoccupazione, ed esprimendo anche la consapevolezza che non si poteva mettere in discussione una convinta decisione del Papa: «Come un fulmine a ciel sereno, ha risuonato in quest’aula il suo commosso messaggio. L’abbiamo ascoltato con senso di smarrimento, quasi del tutto increduli. […] A nome di questo cenacolo apostolico, il Collegio cardinalizio, a nome di questi suoi cari collaboratori, permetta che le dica che le siamo più che mai vicini, come lo siamo stati in questi luminosi otto anni del suo pontificato. […] Quel giorno ella ha detto il suo “sì” e ha iniziato il suo luminoso pontificato nel solco della continuità coi suoi 265 (sic, in realtà 264, N.d.A.) predecessori sulla Cattedra di Pietro, nel corso di duemila anni di storia, dall’apostolo Pietro, l’umile pescatore di Galilea, fino ai grandi Papi del secolo scorso, da san Pio X al beato Giovanni Paolo II. […] In questo mese ci saranno tante occasioni ancora di sentire la sua voce paterna. La sua missione però continuerà. Ella ha detto che ci sarà sempre vicino con la sua testimonianza e con la sua preghiera. Certo, le stelle nel cielo continuano sempre a brillare e così brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato».

Pochi minuti più tardi, alle 11.46, Giovanna Chirri, la vaticanista dell’agenzia giornalistica italiana Ansa che aveva assistito in Sala stampa all’evento attraverso il circuito televisivo interno, lanciò per prima la notizia che subito fece il giro del mondo: «+++ FLASH +++ PAPA LASCIA PONTIFICATO DAL 28/2 +++ FLASH +++». Da quel momento fui subissato da una quantità incredibile di telefonate, messaggi e mail […].

Comunque, per noi la giornata proseguì in una surreale routine: tutto procedeva secondo consuetudine, ma come se l’atmosfera si fosse improvvisamente rarefatta. Dopo il Concistoro siamo usciti verso la sala dei Sediari e dietro di noi è stata chiusa la porta, poi con l’ascensore Sisto V siamo saliti nell’appartamento pontificio e qui ho aiutato il Papa a togliere la stola, la mozzetta, il rocchetto e la croce pettorale. Quindi sono tornato alla mia scrivania, ma la testa era altrove e neanche con don Alfred ho commentato qualcosa.

Subito è arrivata l’ora del pranzo, durante il quale ha regnato il silenzio. Dopo una breve passeggiata sul terrazzo, il riposino pomeridiano e alle 16 il Rosario alla grotta di Lourdes nei Giardini vaticani. Il lavoro per sistemare la corrispondenza mi ha impegnato fino alla cena, mentre il Papa nel suo studio esaminava documenti e rifletteva sui discorsi per gli appuntamenti dei giorni successivi. Dopo cena, il Tg1 ha ovviamente dedicato ampio spazio alla notizia, ma neanche in questo caso Benedetto ha espresso qualche osservazione. L’unico con cui ha parlato quel giorno penso sia stato il fratello, nella consueta telefonata serale, ma per quanto ne so non ha avuto ulteriori contatti, né telefonici né di persona.»

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