Nexum. Struttura e funzione di un vincolo giuridico” di Isabella Zambotto

Nexum. Struttura e funzione di un vincolo giuridico, Isabella ZambottoDott.ssa Isabella Zambotto, Lei è autrice del libro Nexum. Struttura e funzione di un vincolo giuridico, pubblicato dalle Edizioni Scientifiche Italiane: quali questioni solleva l’interpretazione delle fonti romane in merito a tale istituto?
L’interpretazione delle fonti romane in merito al nexum solleva una pluralità di questioni, che ho cercato di sviluppare nei diversi capitoli del mio libro.

Mi riferisco innanzitutto alla possibilità di collocare l’istituto nell’alta arcaicità, in specie nel regno di Servio Tullio, suggerita da alcuni frammenti delle Antiquitates Romanae di Dionigi di Alicarnasso, sui quali mi soffermerò in seguito.

In taluni passi dell’Ab Urbe condita di Tito Livio, poi, sembra esservi traccia dell’esistenza di un modus agendi relativo ai nexi, ossia di un procedimento più snello rispetto alle legis actiones, in esito al quale i debitori avrebbero perso la loro libertà fattuale, divenendo assoggettati presso i loro creditori. Si tratta di un dato contrastante con l’idea secondo cui il nectere, l’essere materialmente legato, sarebbe stato contestuale alla conclusione del nexum. Optare per l’una o per l’altra ricostruzione significa attribuire una diversa struttura al vincolo materiale sul corpo del debitore: nell’un caso eventuale, nell’altro immediato.

Far luce su queste testimonianze è stato fondamentale per rileggere Tab. 6.1, dedicata al nexum, sulla cui interpretazione tornerò nel corso dell’intervista.

Un affresco delle caratteristiche dell’istituto è offerto dalla fonte regina, contenuta nel de lingua Latina di Varrone (Varro ling. 7.105). Il nexus è liber serviens, ossia un uomo libero che presta il proprio lavoro presso il creditore, fino a quando non interverrà la nexi liberatio: va chiarito, quindi, se e in quale periodo storico fosse o meno ammessa la valorizzazione economica delle opere (Abarbeitung) e la funzione satisfattiva delle stesse. Altrettanto significativa è la diatriba tra Manio Manilio e Quinto Mucio Scevola, una delle più antiche ipotesi di ius controversum, sorta in ordine alla definizione di nexum. Nell’esame del passo, da un lato, mi sono interrogata sui motivi della rilettura del negozio giuridico nell’alveo dell’obligatio, ritenendo imprescindibile impostare un confronto con i dati relativi alla possibile esistenza del modus agendi; dall’altro, ho tracciato un collegamento tra la definizione maniliana e alcuni passi ciceroniani.

Un’ulteriore questione concerne il ruolo svolto dalla fides nel rapporto tra creditore e nexus, la cui ricostruzione ha natura congetturale. Si può pensare a un dovere creditorio di liberare l’assoggettato che avesse restituito quanto dovuto, una volta ammessa la funzione satisfattiva del lavoro; nonché di astensione dall’esercizio della manus iniectio e dal porre in essere condotte violente o riprovevoli nei confronti del debitore. Difficile è dire quali fossero le sanzioni previste in caso di violazione di detta fides: un punto fermo, tuttavia, sembra essere la possibilità per il nexus di plorare la Quiritium fides, ossia di invocare solennemente il popolo romano affinché adottasse in assemblea gli opportuni provvedimenti legislativi, come testimoniano gli episodi liviani.

Infine, particolare attenzione merita la portata della lex Poetelia Papiria, che segnò una svolta epocale nella storia del pensiero giuridico romano, soprattutto per quanto concerne l’idea di obbligazione, come avrò modo di approfondire nel prosieguo del colloquio.

Come si è sviluppata la riflessione sul nexum nella letteratura romanistica tedesca tra il XIX e l’inizio del XX secolo e nella successiva letteratura giuridica italiana?
Il nexum fu un istituto di estremo interesse per i romanisti tedeschi, soprattutto per quelli afferenti alla corrente pandettistica: le loro opere, assai numerose, rappresentano ancora oggi un patrimonio irrinunciabile e imprescindibile di cultura giuridica europea. Nel volume mi sono occupata di offrire una panoramica analitica e critica delle ricostruzioni dell’istituto prospettate dagli studiosi tedeschi e italiani: mi sia concesso di rimettere alla curiosità del lettore l’approfondimento del pensiero del singolo autore. In questa sede, per quanto concerne l’esperienza tedesca, preferisco concentrarmi sulle due idee principali, alle quali sono riconducibili, con le dovute differenziazioni e specificazioni, le posizioni dottrinali successive. Al tempo stesso, desidero mettere in luce le motivazioni sottese a tali elaborazioni concettuali.

Il primo filone di pensiero è quello riconducibile alla monografia di Huschke, Über das Recht des nexum und das alte Römische Schuldrecht. Eine rechtshistorische Untersuchung, il quale concepisce il nexum come gestum per aes et libram (Libralakt) avente funzione di mutuo (Darlehensgeld), fonte di un vincolo materiale immediato sul corpo del debitore. Al tempo stesso, tuttavia, tale qualifica in chiave di obbligazione sfuma di fronte alla (ritenuta) pronuncia delle parole damnas esto da parte del creditore durante la conclusione del negozio giuridico: lo schema della damnatio, infatti, era riconducibile allo schema dell’onere e avrebbe altresì determinato l’assoggettamento del nexus alla manus iniectio sin dal compimento del Libralakt, considerato un atto pro iudicato (Damnationstheorie). Una simile concezione si contrapponeva allo sforzo ricostruttivo della Pandettistica, volto a spogliare l’antica obligatio del carattere personale e materiale, allo scopo di cucirle addosso – con raffinate tessiture concettuali recenziori – l’abito della patrimonialità. Per questo motivo, non è da escludere che le critiche mosse alla tesi huschkiana fossero anche animate da ragioni ideologiche, come ha messo in luce autorevole dottrina italiana degli anni Settanta del Novecento.

Il secondo filone di pensiero, in contrapposizione al primo, fa capo a Mitteis, che sviluppa e arricchisce alcune obiezioni già sollevate da Savigny, Puchta, Scheurl e Brinz. Egli relega la teoria di Huschke «in das Reich der Fabel», ossia nel regno delle favole, sia per l’impossibilità di verificare la presenza delle parole damnas esto nel formulario del nexum, sia per l’assenza dell’istituto tra gli atti pro iudicato, riportati tassativamente da Gai 4.21-25. Dal canto suo, Mitteis propone una configurazione bifasica del nexum. Dapprima, si sarebbe concluso un primo nexum Darlehengeld, fonte dell’obbligo restitutorio del mutuatario, nei cui confronti il mutuante avrebbe potuto azionare la legis actio sacramenti in personam in ipotesi di inadempimento, così da ottenere un titolo esecutivo; successivamente, mediante un secondo nexum, il debitore si sarebbe auto-pignorato al creditore, cd. Selbstverpfändung: in ciò si rinviene l’eco della ricostruzione di Niebuhr.

Con riguardo alla romanistica italiana, a cavaliere tra il XIX e il XX secolo si assiste innanzitutto alla ricezione e alla critica delle idee d’Oltralpe. Limitandomi ad alcuni cenni, richiamo il contrasto, ricavabile soprattutto dai manuali istituzionali dei Maestri dell’epoca, tra Carle e Bertolini, da una parte, sostenitori di Huschke, e Bonfante e Perozzi, dall’altra parte, più vicini all’impostazione di Mitteis, ricalcata anche nella monografia di Marchi dedicata alle obbligazioni e al saggio di Pacchioni sul nexum.

Nel panorama del Novecento, magistrali sono le ricerche condotte da Betti, in particolar modo ne L’obbligazione romana e il problema della sua genesi, in cui si mettono in luce le due ‘anime’ del nexum: da un lato, fonte di obbligazione, dall’altro, negozio giuridico teso ad assicurare, mediante il lavoro, la graduale restituzione del denaro ricevuto in prestito.

Per tornare alla dimensione europea del dibattito, tra gli studi più significativi, mi piace ricordare la configurazione dell’istituto propugnata da Kaser in termini di Haftungsgeschäft, ossia di antico ‘negozio di responsabilità’ derivante da atti leciti, manifestazione della primazia della Haftung nel concetto originario di obbligazione. Su di essa si innesta la voce Obbligazioni nell’Enciclopedia del Diritto a firma di Talamanca, che mette a fuoco e discute le questioni aperte sul tema. Singolare la concezione in chiave di mancipatio fundi di Behrends, secondo cui il nexum si sarebbe concretizzato nella misura e nella tracciatura dei confini dei fondi, quali attività preparatorie nell’ambito del rituale della mancipatio e delle nuncupationes. Assai celebre, inoltre, la categoria giuridica ‘rapporto-forma di dipendenza’, ‘status di assoggettamento’ ideata da Serrao per descrivere la condizione del nexus.

Le ricerche sulla valorizzazione economica del lavoro dei nexi sono inaugurate da De Martino, sviluppate da Peppe e riprese da Corbino; per la lex Poetelia Papiria, invece, imprescindibile l’opera monografica di Biscardi.

Infine, tra gli studi degli ultimi decenni, segnalo quelli di Santoro, Cardilli e Pelloso per le loro riflessioni concernenti l’individuazione delle peculiari caratteristiche dello schema del nectere rispetto all’attiguo concetto di obbligazione, nonché quello di Stolfi per il commento della definizione muciana di Varro ling. 7.105, nel contesto della ricostruzione dei frammenti escerpiti dalle opere di Quinto Mucio Scevola.

Quali informazioni ci offre, sui nexi, Dionigi di Alicarnasso?
È interessante notare innanzitutto che il filo conduttore dei frammenti delle Antiquitates Romanae di Dionigi di Alicarnasso in cui ritengo esservi un verosimile riferimento ai nexi è rappresentato dal tema della libertà (eleuthería).

La prima traccia dei nexi si trova nel discorso del re Servio, il quale sancisce il divieto di concludere un mutuo dando in garanzia i corpi (dei cittadini, polítai in Dion. Hal. 4.9.6) liberi (medéna daneízein epí sómasin eleuthérois in Dion. Hal. 4.9.7). Se, come è noto, lo status libertatis è presupposto indefettibile dell’essere civis Romanus, come peraltro rivela la stessa etimologia di libertas e di eleuthería (non a caso, la comune radice *leud si rinviene oggi nel lemma tedesco Leute, che indica la gente), la menomazione della libertà del debitore, assoggettato presso il proprio creditore nel momento in cui non restituisce quanto dovuto, è giocoforza circoscritta al profilo fattuale. Da un punto di vista letterale, mi ha colpito la corrispondenza dell’espressione alla terminologia aristotelica impiegata per descrivere le forme di dipendenza dell’Atene soloniana (Arist. Ath. Pol. 6.1 e 9.1: daneízein epí sómasin). Ho così impostato un confronto tra i modelli dell’assoggettamento ateniesi e i nexi, al termine del quale mi sono persuasa del consapevole utilizzo dell’aggettivo eleútheroi da parte di Dionigi di Alicarnasso, quale elemento differenziale dei nexi rispetto agli assoggettati ateniesi, che mai vengono indicati come tali. Mi è parso quindi di poter scorgere una sotterranea identità di architetture giuridiche, rese con un lessico simile nelle diverse opere in argomento: va ricordata la corrispondenza tra Dion. Hal. 4.9.7 e la celebre immagine del nexus quale uomo libero che ‘serve’ (Varro ling. 7.105). Si potrebbe quindi congetturare che i due autori attingessero a un repertorio comune di fonti; in quest’ottica, il frammento dionisiano restituisce un fatto latino riportato in greco.

L’idea di una libertà strettamente connessa all’appartenenza alla comunità è rimarcata anche dall’episodio della congiura dei Tarquini, i cui responsabili inviano in città degli adescatori di debitori assoggettati ma pur sempre parte del popolo, anelanti alla libertà (Dion. Hal. 5.53.2).

Infine, è possibile cogliere un riferimento all’integrità dello status libertatis nei racconti delle rivolte dei debitori contro la chiamata alla leva: come è noto, il ius al dilectus presuppone la libertas ed è precluso agli addicti, altra figura di assoggettati (Dion. Hal. 5.63.1; 5.64.2).

Quanto sinora detto mi ha permesso di collocare cronologicamente il nexum nell’alta arcaicità.

Dionigi di Alicarnasso, inoltre, insiste sull’indigenza dei nexi, definendoli poveri in un racconto riferibile al V sec. a.C. (pénetes in Dion. Hal. 6.29.1), il che lascia intendere che il nexum, in un momento di profonda crisi economica, fosse lo strumento giuridico prediletto da coloro che nulla avevano se non la forza lavoro per avere accesso al credito.

Com’era disciplinato, nel regime decemvirale, il nexum?
Come noto, il regime decemvirale del nexum è riportato in Tab. 6.1, cum nexum faciet mancipiumque, uti lingua nuncupassit, ita ius esto, che tradurrò dopo aver affrontato alcune questioni preliminari.

Per alcuni autori nexum e mancipium sarebbero sinonimi; tuttavia, ritengo più convincente aderire all’impostazione che distingue le due figure. A favore dell’ipotesi disgiuntiva militano sia la posizione del verbo faciet, che spezza e separa i due negozi, sia il fatto che la lingua latina dell’epoca non era così sviluppata da conoscere addirittura dei sinonimi per descrivere i concetti giuridici. Fondamentale, inoltre, la voce festina nexum aes, che scinde la pecunia obbligata mediante il nexum dall’aes utilizzato nell’ambito della mancipatio.

A questo punto, due sono le ipotesi di traduzione. Se ci si focalizza sull’atto, si può rendere la previsione nei seguenti termini: ‘quando si compie un nexum o una mancipatio, quanto pronunciato solennemente ha valore di ius’. Senonché, non mi sembra assurdo scorgere un possibile richiamo ai soggetti che sarebbero divenuti rispettivamente nexus e persona in causa mancipii. In questo caso, la traduzione suonerebbe ‘quando qualcuno sia reso nexus o persona in causa mancipii, quanto pronunciato solennemente ha valore di ius’: facere, infatti, può essere anche riferito alle persone, secondo l’interpretazione della definizione muciana di Varro ling. 7.105 che a me pare più probabile.

In questo rituale, la pronuncia delle parole solenni avrebbe ‘cristallizzato’ il rapporto giuridico tra debitore e creditore, per dir così certificandone l’esistenza. Se si ritiene plausibile, come io credo, l’esistenza di un modus agendi relativo ai nexi, ricavabile da alcuni frammenti liviani (Liv. 2.23.1-8, 2.27.8-10), il provvedimento verbale conclusivo (decretum) si sarebbe limitato ad accertare la conclusione del negozio giuridico e della mancata restituzione del denaro ricevuto in prestito, per poi sancire il materiale assoggettamento del debitore.

Si può quindi riconoscere al creditore una ‘sfera di potere’ sul nexus, che sfugge alle tradizionali categorie dogmatiche. Non vi è dubbio che la posizione del debitore sia caratterizzata da un importante elemento fattuale, ossia l’aggressione del suo corpus; al tempo stesso, non va però dimenticato che la materializzazione del nectere, nel senso di essere effettivamente ligatus, è l’esito di un modus agendi, il quale – seppur a livello embrionale – attrae l’intero paradigma nell’orbita del diritto, più specificamente in quello dei prototipi del modello di obligatio. Nella prospettiva del creditore, la sfera di potere si traduce in una posizione di vantaggio: egli avrebbe ottenuto – senza esperire la manus iniectio, al termine di un procedimento sommario – un assoggettamento del debitore de facto analogo a quello dell’addictus, ma con la netta esclusione delle conseguenze più terribili, quali la perdita della vita. Sarebbe poi stato, con ogni probabilità, obbligato a non esperire la procedura esecutiva tradizionale, così mitigando in larga misura la conflittualità del rapporto, nonché ad astenersi da condotte violente e riprovevoli nei confronti del debitore, il quale avrebbe potuto, come dicevo, invocare la Quiritium fides; infine, avrebbe vantato un diritto patrimoniale sulle operae del nexus. In questo si sostanzia la natura fiduciaria dell’istituto, definito da Livio come vinculum fidei: la fides, in altre parole, è un tratto peculiare del nectere rispetto al mero potere fattuale e allo schema dell’obbligazione.

Cosa stabilì la lex Poetelia Papiria e quale nuovo modello di nexum viene riportato nelle fonti successive?
La lex Poetelia Papiria rappresenta un momento di svolta per il pensiero giuridico romano e per la storia di Roma stessa, tant’è che Livio la definisce come un aliud initium libertatis, un ‘altro inizio di libertà’.

Innanzitutto, la lex mitigò le condizioni dei debitori assoggettati, vietando la loro detenzione in ceppi e la loro incarcerazione, ferma restando la permanenza di simili trattamenti per alcune categorie di assoggettati, come gli autori degli illeciti, divenuti nexi volontariamente in quanto privi di sostanze per risarcire i danni derivanti dalle loro condotte. Al contempo, fu introdotta la possibilità di liberare coloro che avrebbero giurato, di fronte al pretore, di consegnare l’intero patrimonio, previa stima, ai loro creditori.

Per quanto concerne lo sviluppo storico del nexum, la lex ebbe portata modificativa e non abrogativa dell’istituto. Il vincolo sopravvisse mutando il proprio oggetto, dal corpo al patrimonio del debitore, divenendo così un archetipo di pignus conventum o hypotheca ante litteram, come attestano alcuni frammenti successivi di Ulpiano e di Papiniano, conservati nel Digesto.

Il provvedimento legislativo, inoltre, fu una tappa fondamentale per l’elaborazione dell’idea di obbligazione come vincolo giuridico, ideale ed eventuale, in ordine al fenomeno del prestito. Come è noto, fu la lex Silia (III sec. a.C.) a riconoscere tutela giuridica al mutuo, grazie all’introduzione della legis actio per condictionem. Non è da escludere, però, che già in un momento precedente si stesse forgiando la concezione di un prestito azionabile, nella cui struttura la sola datio informale sarebbe stata origine dell’obbligo restitutorio in capo al mutuatario: in questo modo, il mutuo avrebbe abbandonato la veste formale della sponsio o del nexum.

Isabella Zambotto ha conseguito il titolo di dottoressa di ricerca presso l’Università di Roma ‘Tor Vergata’. È assegnista in Diritto romano nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona.

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