“Neuropsicologia della lettura” di Davide Crepaldi

Prof. Davide Crepaldi, Lei è autore del libro Neuropsicologia della lettura edito da Carocci: perché si può definire la lettura un “miracolo”?
Neuropsicologia della lettura, Davide CrepaldiLa lettura è un’invenzione piuttosto recente nella storia della nostra specie. Risale infatti a circa 5500 anni fa, il che può sembrare un lasso di tempo lunghissimo, ma in verità è molto breve rispetto ai tempi necessari perché il cervello sviluppi strutture dedicate secondo i canoni darwiniani, attraverso cioè mutazioni genetiche casuali e il vantaggio in termini di sopravvivenza garantito dalla lettura. Nei fatti, il tasso di alfabetizzazione era intorno al 12% nel 1820, e ancora fermo al 42% nel 1960; chiaramente la lettura è diventata un reale fattore dirimente per la sopravvivenza nelle società moderne soltanto negli ultimi 20-30 anni. E ancora oggi, la grande maggioranza delle lingue naturali attestate non ha una controparte scritta, e il tasso di alfabetizzazione è ben al di sotto del 50% in molte parti del mondo.

Insomma, il cervello non ha strutture specifiche dedicate al linguaggio scritto evolute biologicamente; scrivere e leggere sono invenzioni culturali, non fatti biologici. Eppure, quasi tutti gli uomini e le donne che ricevono un’adeguata educazione diventano degli ottimi lettori. Anzi, dei lettori straordinari: ad esempio, sappiamo identificare circa 20 lettere in meno di 200 millisecondi, e senza alcuno sforzo attentivo, e leggiamo circa 250 parole al minuto in media.

Il segreto dietro questa performance incredibile sembra essere una forma di “riciclaggio” neurale: quando impariamo a leggere, il nostro cervello ricicla strutture che l’evoluzione biologica ci ha dato per elaborare stimoli visivi come gli oggetti e i volti, e le ri-focalizza per diventare degli efficientissimi computer per l’identificazione di lettere e parole.

Quali meccanismi mette in atto il nostro cervello quando incontra una parola scritta?
Quando il nostro occhio incontra lettere e parole, si attivano almeno tre diversi “percorsi” di elaborazione nel nostro cervello. Il primo serve a identificare le lettere e le loro combinazioni come elementi noti, che possono potenzialmente portare un significato. L’informazione elaborata a questo stadio è di tipo puramente visivo: a questo livello non si comprende il significato della parola, la si riconosce solo come oggetto familiare, come qualcosa che abbiamo già visto e che ha senso (similmente a quanto qualche volta succede con una seconda lingua, quando riconosciamo una parola come esistente, ma non abbiamo idea di cosa significhi). Il secondo stadio accede invece al significato, connette cioè la parola a tutto quell’insieme di ricordi, conoscenze ed emozioni che caratterizzano l’oggetto o l’azione cui la parola si riferisce. Infine, la parola scritta viene tradotta in fonemi, i suoni linguistici che compongono la stessa parola nel linguaggio orale.

Questi tre flussi di informazione sono strettamente connessi, ma anche funzionalmente indipendenti. Ad esempio, a seguito di una lesione cerebrale possono essere danneggiati in modo selettivo, lasciando allo sfortunato paziente la capacità di riconoscere visivamente le parole, ma senza saper accedere al loro significato. O nella dislessia evolutiva, le difficoltà possono essere specificamente connesse a uno soltanto di questi tre aspetti.

Quali differenze esistono tra la lettura su carta e quella su schermo?
Dal punto di vista puramente cognitivo, cambia davvero poco: i processi che abbiamo descritto nella domanda precedente agiscono su un tipo di informazione astratta, che è già stata resa dal cervello indipendente dalla sua origine fisica. Tuttavia, il formato di provenienza delle parole che leggiamo influenza tutta una serie di altri aspetti cognitivi che sono strettamente connessi alla lettura. La memoria, ad esempio: uno dei modi più efficaci in cui ricordiamo il materiale che abbiamo letto è “ancorandolo” visivamente al suo contesto, ricordandoci dunque che quell’informazione l’abbiamo letta “in alto a destra”, piuttosto che “a fianco di quella data figura”, o ancora, “intorno a metà del libro”. Questi ancoraggi di memoria sono molto più stabili in formato cartaceo, dove il contesto non può cambiare.

Detto questo, la ricerca sul confronto tra lettura a schermo e lettura su carta è solo agli inizi, ed è molto difficile —impossibile, forse— stabilire con certezza gli effetti del diverso medium sulle funzioni cognitive connesse alla lettura.

Che cos’è la dislessia?
La dislessia è una difficoltà nell’apprendimento della lettura e della scrittura che si manifesta specificamente in questi ambiti, lasciando dunque del tutto intatte le altre capacità cognitive (anche se a volte può manifestarsi insieme ad altri disturbi specifici dell’apprendimento, ad esempio nel campo della matematica). La sua origine neurale e cognitiva è ancora in gran parte sconosciuta, ed è però certamente molto complessa e multi-componenziale: non è pensabile che una semplice e ben identificabile modifica cerebrale e cognitiva possa generare l’estrema varietà del quadro dislessico. Infatti, la dislessia si manifesta in moltissimi modi diversi e, nonostante il criterio diagnostico sia spesso unico (in italiano, ad esempio, si fa riferimento esclusivo alla velocità di lettura), è assolutamente fondamentale caratterizzarla adeguatamente dal punto di vista cognitivo per dare il giusto supporto ai bimbi con difficoltà di lettura.

Inoltre, è sempre bene tenere a mente che la dislessia è, di fatto, definita statisticamente stabilendo una soglia (relativamente arbitraria) su una scala di punteggi che è naturalmente continua. Se la soglia è 10, ad esempio, Margherita potrebbe non avere una diagnosi con un punteggio di 11, mentre Gigi potrebbe riceverla con un punteggio di 9. C’è una differenza sostanziale e qualitativa tra Margherita e Gigi? Ovviamente no, ed è bene tenerlo sempre a mente, soprattutto dal punto di vista della necessità del supporto educativo.

Quale futuro per la lettura nel mondo digitale?
Non credo che la rivoluzione digitale avrà effetti particolarmente rilevanti, di per sé, sui processi neurali e cognitivi che caratterizzano la lettura. Certamente però il mondo digitale ha ulteriormente aumentato l’importanza del linguaggio scritto: i social media, ad esempio, si basano fortemente su questo mezzo. Insomma, essere buoni lettori è ancora più importante oggi rispetto a 20 anni fa, e probabilmente sarà ancora più importante tra 20 anni. Bisogna che la società faccia sempre più attenzione all’insegnamento di questo importantissima chiave per il “mondo dei grandi”, che già avviene in modo piuttosto efficace. Forse ancora più importante sarà “oliare” un po’ i meccanismi di supporto a chi tra i nostri piccoli fa più fatica: in questo campo, mi pare, abbiamo ancora grandi margini di miglioramento, attraverso una diffusione maggiore di diagnosi cognitivamente precise, una migliore consapevolezza della sofisticata macchina neurale-cognitiva che supporta la lettura da parte di tutti, insegnanti e genitori in primis, e di una migliore alleanza educativa tra tutti gli attori coinvolti.

Davide Crepaldi, nato nel 1979 nel milanese, ha ottenuto il suo dottorato di ricerca in Psicologia, Linguistica e Neuroscienze Cognitive all’Università di Milano Bicocca nel 2008. Ha fatto ricerca a Londra (Royal Holloway University) e Sydney (Macquarie University), per poi tornare a Milano Bicocca e aprire il proprio laboratorio grazie a un finanziamento del MIUR. Dal 2015 è Professore Associato in Neuroscienze Cognitive presso la SISSA a Trieste, dove dirige il laboratorio di lettura, linguaggio e apprendimento. La sua ricerca fonde psicologia sperimentale, neuroscienze, linguistica e modellistica computazionale per studiare i processi neurali e cognitivi che legano l’apprendimento implicito di regolarità statistiche alla lettura e al linguaggio. È autore di più di 35 pubblicazioni su riviste internazionali, e ha saputo attrarre oltre 3 milioni di Euro di finanziamento per la ricerca da 6 diverse istituzioni, in 3 diversi paesi. È Deputy Editor presso il British Journal of Psychology, e fa parte del comitato editoriale di oltre 30 riviste scientifiche internazionali nonché revisore di progetti ricerca in 7 diversi paesi, per agenzie di finanziamento tra le quali spiccano la National Science Foundation negli Stati Uniti e lo European Research Council.

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