
Poi l’ondata neoliberista spazza via tutto. Essa è guidata da un’élite (il libro di Brzezinski, Tra due ere, che esprime bene il passaggio d’epoca, è del 1970) che affida alle imprese multinazionali, alle banche d’affari e a un paese egemone, gli Stati Uniti, la guida del mondo. Si creano così tre grandi linee di frattura nelle nostre società: inclusi/esclusi, cosmopoliti/locali, concentrati/estesi. Il libro ne analizza i contorni, e mostra che queste fratture sono destinate ad approfondirsi se non cambieranno le forze alla guida delle società, in particolare le élite.
Quale nuova triade sociale si è dunque costituita?
L’élite ha preso il posto della precedente classe, la vecchia borghesia nazionale dell’industria e del commercio. È un’élite globalista, finanziaria, selettiva ed esclusiva. Ha interrotto l’ascensore sociale che permetteva ad altri strati di entrarci, coltiva il proprio privilegio e vuole governi che questo privilegio traducano in leggi (rendite finanziarie, ricchezze e successioni, tassazione). I governi sono parte dell’élite, senza differenze sostanziali seguono queste indicazioni. Appartiene all’élite l’alta burocrazia pubblica. In Italia l’élite è anziana, maschile, poco istruita.
Nel mezzo della società non sta più una classe media, che rappresentava il 60% della società per reddito, valori e aspirazioni. Essa è scivolata verso il basso, a causa della globalizzazione neoliberista che pure essa ha sostenuto (con il voto e il consenso). Ha perso reddito, ricchezza e potere: tutto il ceto medio di artigiani e commercianti, il lavoro autonomo, si è impoverito. È entrato a far parte di una galassia che chiamo neoplebe. Nella neoplebe, che ha un deficit di rappresentanza politica e sociale e coltiva un risentimento e una mancanza di alternative, vi è quel che resta della classe operaia che ha subito intensi processi di deindustrializzazione, e un nuovo crescente proletariato dei servizi poveri e dequalificati (in parte immigrati, giovani, non scolarizzati).
Tra i due poli della triade, sta una classe creativa in crescita: sono tutte le professioni e le capacità di lavoro nuovo, espressione di arti, tecniche, innovazioni scientifiche, cultura e settori dei media, imprenditori di piccole imprese tecnologiche e start-up, freelance e lavoratori autonomi di nuova generazione che servono ai saperi avanzati, professioni dell’insegnamento, etc. Una classe ampia ma non ancora consapevole di sé e delle proprie potenzialità.
A quali trasformazioni sociali ha portato l’attuale configurazione globale delle società?
La società si è polarizzata. Per visualizzarla in una immagine semplificata: prima era a forma di una cipolla, adesso è una piramide. La cipolla includeva nel suo mezzo molti strati sociali e ai poli vi erano una più o meno ristretta élite nazionale e un sottoproletariato marginale. Adesso la piramide vede in cima un’élite non più nazionale ma globalizzata (finanza e banche d’affari, big tech, istituzioni globali). In mezzo la classe creativa, anch’essa largamente cosmopolita, che ha molti saperi ma pochi poteri. Alla base (ora vale il 60% delle nostre società) quella che chiamo neoplebe: gli strati in via di scivolamento in Occidente, gli strati poveri trasformati in operai-semischiavi in Oriente. La neoplebe è locale, non ha una proiezione globale: si difende senza successo dalle conseguenze della globalizzazione.
Qual è il quadro sociale attuale del nostro Paese?
In Italia l’élite è ristretta (1% della popolazione lavorativa) anziana (ben il 38% ha più di 54 anni), maschile (73%) e con una presenza di laureati non elevata (59%). Prevale, anche se di poco, l’impiego pubblico. Già queste sommarie informazioni mostrano un quadro critico: invecchiamento e barriere all’accesso, sia di genere che anagrafiche. Le credenziali educative elevate sono assai meno diffuse rispetto a paesi come la Gran Bretagna o la Francia. L’élite è assistita da uno strato di servizio (tecnici, manager) che vale il 10% del totale.
La classe creativa italiana vale il 30% del totale e comprende un insieme di posizioni occupazionali in parte antiche ma profondamente ridefinite nei loro contenuti, prestigio sociale e ricompense, in parte del tutto nuove. Sono occupati non solo nel privato, ma anche significativamente nel settore pubblico (31%). Si dividono tra le professioni tradizionali (medici, architetti, ingegneri…) seppure ridefinite in quadro diverso dal passato in ragione della pervasività dei meccanismi di mercato e degli imperativi della competizione, e le occupazioni maggiormente prodotte e strutturate nella contemporaneità. Per molti aspetti, la classe creativa si differenzia dalle élite: è più giovane, meno maschile, molto più istruita.
In Italia la neoplebe sfiora il 60% del totale della popolazione lavorativa. È soprattutto maschile (62%), con la più elevata concentrazione di stranieri (14%) e senza istruzione (per il 47% con licenza media come massimo titolo di studio). L’articolazione interna segnala alcune differenze rilevanti soprattutto in relazione alle dinamiche di ciò che veniva un tempo definito come “ceto medio-basso” o, petty bourgeoisie.
L’area più corposa e tipica della neoplebe è quella dei mestieri tradizionali. Segue per consistenza la neoplebe impiegatizia a medio-bassa qualificazione, un tempo definita non-produttiva. La neoplebe operaia e impiegatizia senza qualificazione corrisponde al proletariato dei servizi e dell’agricoltura, lo strato più basso. Il successivo, pur piccolo segmento della neoplebe operaia riveste un significato rilevante. Condizionata dalla tecnologia produttiva, potrebbe segnalare la trasformazione del tipo dell’operaio-massa, ma anche di quella dell’operaio specializzato in bilico tra tradizione, erosione fordista e nuova rilevanza nei processi di innovazione di processo.
Infine, il piccolo segmento della piccola impresa tradizionale, già in forte sofferenza nelle dinamiche competitive e a basso valore aggiunto.
Quali conseguenze sociali e politiche avranno le dinamiche tra una élite in storico declino, una massa priva di sapere e dei saperi senza potere?
Questo è il tema più difficile, quello delle previsioni. Il mondo è in crisi, crisi che si susseguono in modo incalzante: 2001 (terrorismo), 2008 (crisi finanziaria), 2020 (pandemia), 2022 (guerra), e con impressionante crescita la crisi climatica Planetaria. Le dinamiche della crisi sono in gran parte affidate a un’élite mondiale irresponsabile di fronte alle grandi sfide, soprattutto quella del cambiamento climatico. Quando un’élite fallisce andrebbe sostituita, ci dovrebbe essere una circolazione (secondo gli autori elitisti come Mosca e Pareto) e un ricambio. Lo ha rivendicato in questi anni in Italia, vox clamans in deserto, Sabino Cassese (cui dobbiamo il recente lavoro sugli Intellettuali). Perché questo avvenga è necessario che la classe creativa, l’unica dotata di saperi e di conoscenze, prenda l’iniziativa e imprima essa una nuova dinamica alla Storia mondiale. Ma essa non è oggi in grado di farlo, perfino di pensare alla storia mondiale con la S maiuscola! in questo senso vi è un regresso impressionante rispetto all’età degli intellettuali del XX secolo (John M. Keynes, Alexandre Kojéve, Carl Schmitt, Walter Benjamin, Theodor W. Adorno, Jürgen Habermas, Simone Weil, Hannah Arendt solo per citare i maggiori) che hanno indicato la direzione e il senso della storia mondiale, la sua filosofia. Senza una classe creativa che capisca il suo ruolo non ci sarà uno sviluppo. Ma solo un regresso. E la neoplebe, anziché essere educata e guidata dalla classe creativa, come dovrebbe avvenire attraverso la creazione di lavori qualificati e di ruoli sociali avanzati, anch’essa regredirà allo stadio di un permanente esercito di riserva, a disposizione di avventure e perfino totalitarismi (pensiamo alla neoplebe americana di Trump, o a quella russa di Putin). In queste dinamiche storiche ciascuno di noi è chiamato a svolgere il proprio ruolo critico, ad avvertire, a guidare, a dirigere l’attenzione. Il principale ostacolo è la stupidità di massa coltivata dal potere, come la ha definita un altro libro in circolazione in questi giorni, quello di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, Supersocietà.
Paolo Perulli, sociologo dell’economia, ha insegnato nelle Università del Piemonte Orientale, Iuav-Venezia, MIT (USA), Paris Sud, Accademia di Mendrisio, Molise. È autore di Visioni di città (Einaudi 2009), Il dio Contratto (Einaudi 2012), Terra mobile (Einaudi 2014), The Urban Contract (Routledge 2017), Il debito sovrano. La fase estrema del capitalismo (La Nave di Teseo 2020), Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo (Il Mulino 2021). Sta preparando un nuovo libro sui creativi.