“Nello spazio del lutto. Melanconia, violenza, tenerezza” di Laura Ambrosiano

Dott.ssa Laura Ambrosiano, Lei è autrice del libro Nello spazio del lutto. Melanconia, violenza, tenerezza, edito da Mimesis: in cosa consiste il lavoro del lutto e quale importanza riveste per la crescita psichica?
Nello spazio del lutto. Melanconia, violenza, tenerezza, Laura AmbrosianoLa mia ipotesi di partenza è che lo sviluppo dell’individuo, come dei gruppi, consista in un lento, delicato, talora penoso, cammino per affrontare la “realtà così com’è”, con le realizzazioni che ci consente, e con i suoi aspetti duri che non si lasciano modificare a piacere, con le delusioni che incontriamo e che ci lasciano perplessi e fragili. La realtà, al di là di tutte le opzioni filosofiche che l’umanità ha approntato, è in realtà vitamorte, presenzemancanze, piaceredolore.

In questo libro mi occupo del lutto inteso come il “lavoro” psichico necessario ad elaborare, digerire e modulare le esperienze di perdita e di mancanza, il contatto con i limiti, con i disagi dell’esistenza, con la nostra umana fragilità.

In questi tremendi anni di pandemia, evidentemente, il confronto con queste dimensioni è particolarmente drammatico ma la capacità di elaborazione intima e personale delle esperienze è comunque parte della crescita psichica ed emotiva di ciascun individuo e di ciascun gruppo.

Il lavoro del lutto, quando affrontato, libera energie per sviluppare un pensiero e uno stile personale, per soggettivarsi tollerando le differenze, e amare.

Quando penso al lutto non penso solo a eventi dolorosi, ma anche alla possibilità di accorgersi e di accogliere la propria “interna ambivalenza”, le spinte all’odio, alla sopraffazione, al dominio, alla violenza che attraversano ciascuno di noi. Questo è certo un passaggio doloroso, ma allarga la mente, porta oltre le mentalità ristrette e le visioni stereotipate e semplificanti della realtà così diffuse.

In che modo esso può oscillare tra depressione melanconica e ricerca violenta e rabbiosa di un capro espiatorio?
Può capitare che l’individuo non sia disposto ad affrontare questo intimo lavoro, che non provi nemmeno a sviluppare le risorse per incontrare la complessità delle cose, che preferisca rincantucciarsi nella mentalità prevalente del suo gruppo di appartenenza con le sue “verità” consolidate, preferisca eludere la ricerca e l’elaborazione della sua esperienza. Questa elusione comporta uno stallo melanconico, o, in alternativa, degli agiti violenti.

Lo stallo melanconico letteralmente significa bloccarsi dinanzi al contatto con la realtà, raccogliersi, per così dire, intorno alle cose perdute e macerarsi in una nostalgia di illusoria completezza, vagheggiare una diversa realtà in cui le cose penose non esistono, ma si vive in una piena corrispondenza tra desideri e reale. Ci si blocca come dinanzi ad un ostacolo che si teme di non riuscire ad affrontare. Proprio questo può scatenare reazioni violente per “rompere” con una dimensione indesiderata delle cose, che sia una pandemia, il rifiuto da parte di una donna, o la difficoltà a districarsi dall’angoscia.

Che ruolo svolge l’articolazione dinamica tra lutto e melanconia?
Non possiamo fare delle distinzioni nette tra il lavoro del lutto e la melanconia, per ciascuno di noi questi funzionamenti si avvicendano, convivono, o strutturano conflitti interni, per cui, accanto a risorse di lavoro, momenti di stallo melanconico fanno parte di ciascuno di noi in diverse circostanze.

Quello che importa è che il varco, il passaggio, tra l’una e l’altra situazione emotiva sia aperto. Certo quanto più si è fatto lavoro sul lutto tanto più facile sarà ritrovare la strada, quando necessario.

Su questi aspetti va ricordato il ruolo importante dei caregiver, delle figure di accudimento primario. Infatti queste possono trasmettere, attraverso le modalità di allevamento, la necessità di costruire mezzi psichici per elaborare il dolore, o meno. Molti studiosi hanno sostenuto che, in questi nostri anni, stiamo trasmettendo alle giovani generazioni l’idea che il dolore e l’angoscia non debbano esistere, che non facciano parte dell’esistenza, e, quindi, che non ci sia alcun bisogno di affinare le risorse emotiva capaci di modularli (nel libro seguo, a diversi livelli, tre situazioni cliniche per cogliere i passaggi trans-generazionali dei funzionamenti psichici). Questo spesso comporta che, dinanzi all’angoscia, alla perdita e al dolore, gli individui si sentano inermi, spaesati e incapaci di modulare l’impatto con le esperienze. Di qui possono scatenarsi comportamenti violenti.

In quali condizioni l’articolazione mobile tra lutto e melanconia può diventare uno stallo?
Come dicevo più sopra il lavoro del lutto riguarda anche la progressiva scoperta da parte dell’individuo di aspetti di sé ambivalenti, carichi di aggressività, di sadismo e di violenza. Accogliere questi aspetti significa avvertire di avere i mezzi necessari a “trasformarli”, non ad eliminarli, si tratta comunque di elementi importanti per la crescita psichica, ma occorre modularli in modo da poterli esprimere in modi accettabili e personali. Quando la fiducia in questa possibilità manca, si può verificare uno stallo, letteralmente uno stare impiantati dinanzi a queste spinte, pieni di perplessità e di un senso di impotenza. Questo stallo inibisce i percorsi di soggettivazione ed esaspera le tensioni sadomasochiste e una rabbia violenta.

Che ruolo può svolgere, in tale processo, l’attività lavorativa?
L’attività lavorativa è una buona esperienza quando poggia e arricchisce i mezzi psichici per affrontare la realtà, quando essa stessa è una strada per allargare la mente e dare spazio alla curiosità verso il mondo, verso la diversità e verso le risorse per “lavorare con”. In definitiva il lavoro, quando emerge da energie per sublimare, è esso stesso uno strumento di crescita, dà piacere e un senso, per quanto limitato, di aging, di poter “fare qualcosa” per trasformare la realtà. Quando il lavoro, al contrario, è assunto come un adempimento, o come un rifugio anti-ansia e anti-paura, allora può procrastinare lo stallo e lasciare inalterato lo smarrimento perso e cupo del singolo, come dei gruppi.

In che modo, dallo spazio del lutto, può emergere la tenerezza?
La tenerezza è il frutto di un lavoro psichico avviato per mettersi in grado di tollerare i limiti e le mancanze, per potersi riconciliare con la “vita così com’è”. Immaginiamo, infatti, che sia necessario un lungo percorso per accettare che quella “complementarietà”, che da piccoli bambini ci aspettiamo di trovare nel contatto con il mondo, non possa essere che parziale, episodica, una felice eventualità gratuita, non garantita, e mai assoluta. La tenerezza è un segnale della possibilità di godersi la sintonia con gli altri, ma di godersi anche le differenze e le mancate sintonie. Tollerare le differenze tra noi e le mancate realizzazioni delle proprie aspettative è l’antitesi del razzismo nelle sue varie forme, del radicamento in visioni semplificate dell’esistenza, in modelli ideologici della vita “parziali” e onnipotenti anche quando condivisi dal gruppo di riferimento.

Laura Ambrosiano, psicologa e psicoanalista, è socio ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalytic Association. È Segretario Scientifico del Centro Milanese di Psicoanalisi “Cesare Musatti”. Insegna in istituti di formazione per psicoterapeuti.

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