“Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà” di Marco Ventura

Prof. Marco Ventura, Lei è autore del libro Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà edito dal Mulino: quale ruolo mantengono le religioni nel mondo attuale?
Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà, Marco VenturaIl libro si occupa del triplice ruolo delle religioni nella costruzione della pace, dello sviluppo e del futuro. Ricorro in proposito alla metafora delle mani di Dio e ne individuo tre, una per ruolo. La mano armata è la mano delle religioni per la pace, la mano invisibile è la mano delle religioni per lo sviluppo e la mano aperta è la mano delle religioni per il futuro. Detto questo, è importante dire che se le religioni si candidano per questi tre ruoli sul piano della storia è perché esse svolgono altri tre ruoli sul piano dell’esistenza delle persone e delle comunità. Al triplice ruolo storico rispetto a pace, sviluppo e futuro corrisponde così un triplice ruolo esistenziale delle religioni rispetto a identità, fede e pratica. Le religioni danno anzitutto identità: anche a prescindere dalla nostra effettiva adesione a un credo, a una dottrina, a una pratica, soprattutto ora che siamo interconnessi su scala globale, ci diciamo musulmani, cristiani, hindu per tracciare una linea tra il noi e il voi, per aggrapparci a qualcosa di netto, semplice, e al contempo di sufficientemente indeterminato per contenere le nostre variazioni e le nostre preferenze. Infatti questo ruolo della religione è tanto più importante quanto più consente di coagulare intorno all’identità religiosa altre identità per noi preziose: siamo cristiani e italiani, siamo musulmani e arabi, siamo hindu e indiani; e ancora, siamo musulmani e sfruttati, siamo protestanti e imprenditori, siamo ebrei e perseguitati, siamo cristiani e anti-comunisti. Il secondo ruolo esistenziale delle religioni riguarda la fede. Anche senza appartenere a questa o a quella tradizione o comunità, troviamo nella religione un senso, un sentimento, una visione, una speranza, una relazione profonda con l’altro e con l’Altro. In questo secondo ruolo la religione come fede ci spinge oltre il visibile, oltre noi stessi, oltre ogni limite, verso l’altrove, verso il futuro. Anche in questo caso la fede offertaci dalla religione ci attrae per le sue definizioni, le sue certezze, le sue verità, ma anche perché misteriosa, ineffabile, infinitamente plastica. C’è poi un terzo ruolo. La religione offre anche pratica, per molti soprattutto pratica. La pratica della religione è strutturazione della condotta, stile di vita. Pensiamo al salat, le cinque preghiere giornaliere dei musulmani, oppure allo yoga e alla meditazione, o ancora alle abitudini alimentari e alle celebrazioni liturgiche o alla scansione del tempo attraverso i periodi e i giorni di festa. La pratica può anche prendere la forma della socializzazione, delle reti di solidarietà, della carità, del potere politico ed economico, e anche della lotta, dell’antagonismo e del conflitto. Questi tre ruoli esistenziali della religione contemporanea – identità, fede, pratica – possono coesistere o possono essere disgiunti, possono essere vissuti insieme come parte di un tutto, oppure possono essere sperimentati in modo confuso e volatile. In un modo o nell’altro è su di essi che si costruisce l’ambizione delle religioni a giocare i tre ruoli storici cui corrispondono le tre mani di Dio con riguardo alla pace, allo sviluppo e al futuro.

Quale evoluzione stanno subendo le diverse fedi di fronte alle sfide della società contemporanea?
Nel libro mi interrogo sugli effetti delle grandi sfide di oggi che convenzionalmente riuniamo sotto l’etichetta dello sviluppo sostenibile globale, dall’emergenza climatica, ambientale ed energetica a quella sanitaria e alimentare, dalla povertà alle ingiustizie e ai conflitti. È a questa sfida che corrispondono da un lato i tre ruoli esistenziali di cui ho parlato sopra – che possono essere riformulati come risposte alle domande fondamentali chi siamo (l’identità), in cosa crediamo (la fede) e come viviamo (la pratica) – e dall’altro lato i tre ruoli storici (le tre mani nella metafora del libro) della costruzione della pace, dello sviluppo e del futuro. In quanto onnicomprensiva, inglobante, la sfida dello sviluppo sostenibile sollecita quei ruoli. Avviene in proposito un recupero del passato, nel quale vengono ritrovate e reinventate le radici tanto dei tre ruoli esistenziali quanto dei tre ruoli storici. Perciò in superficie percepiamo le cose in termini di persistente salienza della religione, come nella domanda precedente dove mi si chiede non quale ruolo «hanno», ma quale ruolo «mantengono» le religioni, sottintendendosi e sottolineandosi una qualche continuità tra l’oggi e lo ieri. L’approccio si spiega con l’influenza del paradigma della secolarizzazione che in vari modi da più di un secolo ha assoggettato la riflessione sul religioso allo schema del suo declino e oggi, evidentemente fallita la previsione (per taluni l’auspicio) della morte di Dio, allo schema della resistenza del religioso. Ora, proprio la mobilitazione per lo sviluppo sostenibile sta progressivamente mandando in soffitta quel paradigma, quello schema. La religione non ci interessa per quanto ne sarebbe rimasto (cosa si sarebbe «mantenuto») dal passato, ma per quanto essa ci può dare verso il futuro. Ho scelto l’espressione «il mondo che verrà» nel sottotitolo proprio per indicare questo ri-orientamento dello sguardo, dal passato al futuro. Ci interessa la religione del mondo che verrà perché da essa dipende il nostro futuro. Attenzione, questo non significa che non ci interessi più la storia delle religioni. Al contrario essa ci interessa più che mai, come combustibile verso il domani, come reinvenzione nel passato della religione che ci serve nel futuro, magari proprio di una religione aperta ad un serio e plurale scavo storico-critico. Lo sviluppo sostenibile induce il mutamento di paradigma. Ecco allora i due termini chiave usati in questa domanda: quale «evoluzione» le religioni «subiscono». Si tratta infatti di una «evoluzione», di una profonda trasformazione, di un mutamento al cui centro sta la possibilità e la responsabilità delle religioni di costruire pace, sviluppo e futuro. E si tratta anche di una «evoluzione» «subìta», nella misura in cui essa si produce per reazione a un nuovo contesto. Tuttavia questa prospettiva non è tutto. Il processo non è unidirezionale. Se le religioni cambiano per effetto della mobilitazione per lo sviluppo sostenibile, esse sono anche attrici, e di più, esse sono causa del nuovo contesto e della mobilitazione. Analogamente, se ad esse la comunità internazionale chiede di contribuire, esse stesse si candidano a contribuire, se ad esse si chiede di contare, esse stesse vogliono contare. Le due fasi attiva e passiva, l’«evoluzione subìta» e il cambiamento scelto, la chiamata a contare e la pretesa di contare sono dunque tanto distinte quanto inscindibili.

Quali caratteristiche dovrebbe assumere la «super-religione» da Lei preconizzata?
Ho appena parlato del paradigma della secolarizzazione che la sfida contemporanea rende obsoleto. Un altro paradigma è in via di superamento. Si tratta del paradigma di un mondo diviso in religioni. Se le religioni sono convocate per costruire lo sviluppo sostenibile, se esse stesse si candidano in tal senso, nessuna è autosufficiente, nessuna è in grado di farcela senza le altre. Come recita la frase della quarta di copertina del libro, «è tale la dimensione delle sfide, che nessuna Chiesa, nessuna religione, può rispondervi da sola». La deduzione è supportata dall’osservazione che si vanno sviluppando su scala diversa e in modi diversi iniziative e istanze di cooperazione tra religioni. Giacché tale cooperazione è volta a superare i limiti di ogni singola religione, giacché tale superamento è necessario per produrre il potere superiore di cui l’umanità ha bisogno per fronteggiare la super-sfida dello sviluppo sostenibile, chiamo super-religione il risultato di questo sforzo, di questo processo. Con ciò voglio dire non, naturalmente, che stanno scomparendo cristiani e musulmani, ma che dalla necessità di lavorare gli uni con gli altri stanno nascendo un nuovo cristianesimo e un nuovo islam che sono parte di qualcosa di più, di qualcosa di super(iore), che possiamo considerare una religione più grande, per l’appunto una super-religione. Se questa è la prima, più evidente ed intuitiva caratteristica della super-religione che vediamo all’opera nelle varie forme di collaborazione interreligiosa, è parte integrante e non minore della super-religione anche la caratteristica opposta e cioè quella conflittuale, anti-collaborativa, prodotta dagli irrigidimenti identitari, dalle contrapposizioni anche violente che il processo medesimo innesca e che a loro volta rafforzano la necessità del processo. Sicché la super-religione è caratterizzata non solo dalla cooperazione interreligiosa, ma anche dall’opposizione e dall’ostilità ad essa, e dalla ulteriore domanda di cooperazione che essa alimenta. Su questa osservazione e su questo ragionamento fondo la mia previsione. Per riprendere la parola usata nella domanda, se «preconizzo» la super-religione non è perché rivelo una verità misteriosamente rivelatasi, non è perché mi ritengo autorizzato a profetizzare, e neppure perché invoco uno sviluppo religioso a me caro, ma perché intravvedo, riconosco e inventario tracce e indizi, e poi provo a sistematizzarli, a metterli in ordine e in forma, a interpretarli. In quanto mi pare risultare da questo lavoro, in quanto mi sembra una efficace formula linguistica per designare ciò che vedo e per invitare a riflettere in proposito, «preconizzo» la super-religione.

Marco Ventura è professore ordinario di Diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università di Siena e membro del panel di esperti sulla libertà religiosa dell’OSCE. Dirige il Centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Tra i suoi libri: From Your Gods to Our Gods (Cascade Books, 2014) e Creduli e credenti. Il declino di Stato e Chiesa come questione di fede (Einaudi, 2014).

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