
La missione napoleonica in Egitto, dunque, segna il passaggio dalla conoscenza indiretta della civiltà egizia all’informazione diretta, dalla cosiddetta pre-egittologia all’egittologia vera e propria. A seguito di Bonaparte, un esercito di soldati armati viene affiancato da un esercito pacifico di scienziati, architetti, ingegneri, disegnatori, botanici, zoologi, astronomi, orientalisti, cartografi: i savants hanno il compito di censire le emergenze artistiche antiche e contemporanee dell’Egitto, studiarne la geografia, la flora e la fauna, descriverne gli usi e i costumi degli abitanti. Questa grandissima messe di uomini dà vita a lavori fondamentali, monumentali, in cui si documentano le cose viste e si racconta un paese per tanti versi ancora sconosciuto.
Dopo di loro, da tutta Europa sciamano cercatori di antichità, avventurieri, viaggiatori, scrittori, fotografi, pittori e archeologi, incuriositi e affascinati da un luogo ricco di meraviglie in gran parte da scoprire: la valle del Nilo diventa la meta dei primi veri studiosi della materia; gli antichi monumenti faraonici, in parte già noti, iniziano finalmente a “parlare”, raccontando la loro storia millenaria; la prima spedizione “egittologica”, quella franco-toscana, è condotta da Champollion e Rosellini nel 1828-’29.
Il secondo grande evento che pone l’Egitto sotto i riflettori del mondo è il taglio del canale di Suez, avviato sotto Sa’id Pascià e completato durante il regno di suo figlio Isma’il nel 1869. L’importanza del Canale di Suez è enorme: grazie a questa nuova rotta marina s’incrementano le relazioni commerciali ed economiche con l’Egitto che diviene il perno dei collegamenti via mare. Questa crescita porta, inoltre, alla costruzione di una moderna rete ferroviaria, di un servizio postale e alla riforma del sistema doganale. Per celebrare l’evento viene commissionata a un italiano un’opera lirica degna della grandezza dell’operazione; l’incarico viene dato a Giuseppe Verdi che compone l’Aida (rappresentata per la prima volta all’Opera del Cairo nel 1871, su libretto di Antonio Ghislanzoni, basata su un soggetto originale dell’archeologo francese Auguste Mariette, commissionata da Isma’il Pascià, Chedivè d’Egitto): da quel momento la presenza degli europei in Egitto diviene massiccia, porta investimenti e innovazioni e condiziona la vita politica e culturale del paese. L’Aida segnerà fortemente anche l’immaginario letterario, tanto da essere ricordata sia nel romanzo Le figlie dei Faraoni di Emilio Salgari che nell’operetta Makarà di Enrico Pea.
Quali eventi segnano la presenza italiana al Cairo e Alessandria tra Otto e Novecento?
Durante la campagna napoleonica del 1799, Bernardino Drovetti, generale dell’esercito, viene scelto da Bonaparte come rappresentante della Francia ad Alessandra, dove risiede fino al 1829. In quel periodo Drovetti stringe rapporti ufficiali e personali col governatore Mohammed Aly, iniziando una collaborazione molto proficua che porta all’introduzione di numerose innovazioni tecniche in Egitto, sia in campo agricolo che in campo burocratico, militare e sanitario. Molti professionisti europei giungono al Cairo e ad Alessandria per realizzare progetti urbanistici e impiantare attività economiche, per gestire l’apparato statale e formare i futuri dirigenti locali. Agli imponenti lavori per lo scavo del canale di Suez partecipano anche le maestranze italiane, con l’impiego di un gran numero di operai provenienti in particolare dal Piemonte, dalla Toscana e dal Veneto. Nell’Ottocento, dunque, rapporti antichi s’incrementano notevolmente: Mohammed Aly si avvale della consulenza di molti professionisti europei, amministratori, ingegneri, idraulici, architetti, urbanisti, che rivoluzionarono gli assetti delle città del Cairo e di Alessandria. Oltre a moltissimi lavoratori italiani, l’Egitto attrae numerosi intellettuali, soprattutto di stampo anarchico, che vi guardano come a un territorio libero, dove poter realizzare i loro ideali di libertà, lontano dal sistema politico sabaudo, dal clericalismo e, successivamente, dalla dittatura fascista. Tra i tanti che partono dall’Italia, una parte consistente è rappresentata dalle donne e dalle ragazze provenienti dal nord-est, che trovano impiego come cameriere, commesse e operaie. È così che il Nord Africa diviene per molti emigranti “l’America dei poveri”, grazie alla vicinanza con le coste italiane.
In che modo le straordinarie esperienze dei viaggiatori italiani in Egitto vengono raccontate in poesie, romanzi e testi teatrali?
Molti autori italiani hanno visitato l’Egitto, vi hanno vissuto per alcuni periodi, vi si sono rifugiati e vi hanno persino avuto i natali. Il mio libro vuole raccontare l’immagine dell’Egitto nella letteratura italiana tra XVIII e XX sec. attraverso le opere di scrittori noti, meno noti, o addirittura dimenticati e di testi reperiti faticosamente nelle biblioteche italiane ed estere, spesso di difficile consultazione, tasselli fondamentali di osservazioni, descrizioni, riflessioni che ci aiutano a capire anche la nostra contemporaneità.
Sfogliando Nella terra di Iside, noi lettori ripercorreremo il viaggio compiuto da Gabriele D’Annunzio con Eleonora Duse il cui struggente ricordo non abbandonerà mai il poeta che ha affrescato, in versi e in prose, un’immagine eroica della terra del Nilo. Visiteremo l’antico Egitto creato a tavolino da Salgari in uno dei suoi più avvincenti romanzi, Le figlie dei Faraoni. Entreremo nella “Baracca rossa” fondata da Enrico Pea “per gli anarchici e gli esuli di tutto il mondo” e ci soffermeremo sulla sua Makarà, l’operetta di argomento egizio in cui lo scrittore toscano critica la controversa politica del tempo. Conosceremo l’Egitto in cui Fausta Cialente visse per vent’anni riferendoci sia ai suoi romanzi, sia alla sua attività di antifascista presso la britannica Radio Cairo. Scopriremo anche l’Egitto delle donne, pioniere e archeologhe, dame e serve, militanti e ribelli, capaci di offrirci la rappresentazione non stereotipata di una terra diversa, di una terra “altra”. Storie esaltanti, come quella di Amalia Nizzoli, sbarcata in Egitto a soli quattordici anni, tra le poche europee a essere entrata in un harem, divenuta il primo direttore donna di uno scavo archeologico, ma anche storie di sofferenza e solitudine, come quelle delle aleksandrinke, le emigrate goriziane in cerca di una vita migliore. E ancora, rileggeremo pagine oggi dimenticate o poco note di scrittori e poeti ai loro tempi molto apprezzati come il piemontese Giuseppe Regaldi e il siciliano Natale Condorelli. Apriremo, inoltre, una finestra sulla Sicilia, una delle terre più vicine all’Egitto, suo naturale contraltare per bellezza e fondamentale importanza geopolitica. Tramite contributi originali, come la narrazione di quell’intraprendente viaggiatore catanese che fu Natale Condorelli, rifletteremo su quale profondo influsso la terra dei faraoni ha da sempre esercitato sull’arte e sui costumi siciliani. Personaggi come il conte di Cagliostro, e storie come Il consiglio d’Egitto, ma anche tradizioni religiose come il sincretismo tra i culti isiaci e quelli agatini, daranno testimonianza di un legame sorprendente e unico. Infine Ungaretti e Marinetti, dissimili in tutto ma uniti dall’amore per la loro terra natale che, da par loro, cantano e raffigurano con toni e significati capaci di esprimerne le diverse poetiche e ideologie, nascono in Egitto e da lì partono per compiere ciascuno la propria rivoluzione culturale. L’Egitto anarchico è una terra che diviene il rifugio, ora concreto (come per Enrico Pea), ora immaginario (come per Leda Rafanelli), di tanti esuli, fuggiaschi, perseguitati o soltanto utopisti in cerca di un “nuova America”, luogo di riscatto e di libertà.
Attraverseremo, sulle ali della parola letteraria, l’antico paese delle piramidi trasformato dalla modernità.
Quali suggestioni evocava l’Egitto in Natale Condorelli ed Emanuele Ciaceri?
Natale Condorelli fu un importante avvocato penalista catanese, distintosi per le sue idee progressiste contro la pena di morte e a favore delle fasce sociali più deboli. Idee libertarie a causa delle quali decise di lasciare Catania e d’intraprendere una serie di lunghi viaggi in Oriente (così la terminologia ottocentesca indicava le zone del Nord Africa e l’Egitto in particolare). Infatti nel volume Oriente, pubblicato nel 1885, Condorelli racconta da fine cronista il suo viaggio in Egitto che compie in piena età colonialista e che dà conto delle grandi crisi economiche e delle politiche imperialistiche. Non è solo, dunque, l’atavico e condiviso “mito dell’Oriente” a spingere Condorelli nelle terre d’Egitto ma è anche il presente, la contemporaneità, le tensioni più o meno sopite della politica internazionale e il bisogno d’interrogarsi sul ruolo dell’Italia in relazione agli altri paesi europei.
Diverso l’approccio all’Egitto di Emanuele Ciaceri, studioso siciliano che intuisce che il culto di sant’Agata, patrona di Catania (la cui festa è la terza più grande al mondo) è modellato su quello di Iside descritto da Apuleio nelle Metamorfosi, e, quindi, oltre a quello religioso, riveste uno straordinario valore antropologico. Come affermato anche dallo storico Tino Vittorio, il culto di Sant’Agata è una risemantizzazione cristiana di una divinità pagana e l’Isidis navigium segnava il passaggio dall’inverno alla stagione propizia alla navigazione. Entrambe le feste, dunque, sono di natura marinara; in entrambe i sacerdoti indossavano una tunica di lino bianco (“sacco” agatino); in entrambe ci si mascherava. Proprio a questa usanza allude Giovanni Verga Giovanni Verga nella novella La coda del diavolo quando descrive l’usanza delle ’ntuppatedde, che consente alle donne di velarsi durante la processione, lasciando visibile solo un occhio, e di andare in giro autonomamente, libere di accompagnarsi, così celate, all’uomo che preferiscono. Infine, il velo di Iside viene sostituito con il velo agatino (“grimpa”). La martire Agata, cui s’era strappato il seno e cui le donne offrono anche oggi mammelle di cera in grazia della guarigione ottenuta, prende così il posto della dea egizia che simboleggiava la forza produttrice della natura e che era considerata come la dispensiera del latte all’umanità nascente, tanto che nella processione di Corinto un ministro del culto portava in mano un vasetto d’oro a forma di mammella e alla presenza del popolo faceva libazioni di latte. Tuttora, durante la festa, i catanesi consumano dei dolci, chiamati “minnuzze di Sant’Agata”: delle cassatelle alla ricotta, ricoperte da una glassa bianca in superficie e sormontate da una ciliegina a guisa di capezzolo, che alludono al martirio della giovane sposa di Cristo.
Cosa rappresentò l’Egitto per Giuseppe Ungaretti e Filippo Tommaso Marinetti?
Filippo Tommaso Marinetti e Giuseppe Ungaretti sono entrambi nati ad Alessandria d’Egitto e sono entrambi autori, dal 1930 al 1931, di una serie di articoli pubblicati sulla “Gazzetta del Popolo”, poi raccolti rispettivamente nei volumi Il fascino dell’Egitto e Quaderno egiziano. Dal raffronto tra le due opere emerge la sorprendente capacità di due autori antitetici di mutare lo spazio geografico in uno spazio letterario dalla densa connotazione memoriale e di creare eloquenti e significativi manifesti della loro poetica.
L’immagine che Ungaretti dà della sua terra natale è quella di una terra poetica, poeticamente narrata. L’Egitto di cui ci parla è immerso in un paesaggio poco geografico e molto letterario; è un luogo mitico, ancestrale, archetipico. È materia lirica di creazione. La stagione egiziana di Ungaretti può essere considerata l’occasione fondante di tutta la successiva mitologia poetica e chiave di lettura dell’intero itinerario ideologico: non c’è una sola fase della sua ricerca poetica lungo l’arco del mezzo secolo e più, non una sola indicazione ideologica, che non sia riconnettibile con la vita, l’esperienza, l’emozione del deserto e della vita ad Alessandria.
Anche per Marinetti l’Egitto è ricordo, nostalgia, sogno, ma diversamente da Ungaretti, in lui non c’è amarezza e acre rimpianto, non c’è un polemico giudizio negativo nei confronti del presente. L’Egitto è, e rimane, un «punto fermo di contemplazione». L’equilibrio e la levità delle pagine, la musicalità e il sontuoso descrittivismo, fanno de Il fascino dell’Egitto un vero e proprio gioiello, uno straordinario esempio di come contaminare reportage poetico e fantasticherie memorialistiche.
Ricercatrice, docente e saggista, Dora Marchese collabora da molti anni con l’Università di Catania dove, dopo la Laurea in Lettere Classiche (indirizzo archeologico), ha conseguito i titoli di Dottore di ricerca prima in Filologia Moderna e poi in Lessicografia e Semantica del Linguaggio letterario europeo. Ha l’Abilitazione Scientifica Nazionale all’insegnamento universitario ed ha collaborato con la prestigiosa Fondazione Verga di Catania (Centro studio su Verga e il verismo), per attività di Ricerca, Formazione e Organizzazione di eventi e congressi. Tra i suoi saggi ricordiamo: L’epica della passione. La Sicilia di Macalda di Scaletta, Lisa Puccini e Gammazita, Carthago, 2018; La poetica del paesaggio nelle «Novelle rusticane» di Giovanni Verga, a cura della Fondazione Verga nella collana «Biblioteca della Fondazione Verga», 2016; Il gusto della letteratura. La dimensione gastronomico-alimentare negli scrittori italiani moderni e contemporanei, Carocci, 2014; Descrizione e percezione. I sensi nella letteratura naturalista e verista, Le Monnier-Mondadori Università, 2011.