
a cura di Maria Teresa Guerrini, Vincenzo Lagioia, Simona Negruzzo
FrancoAngeli
«Di donna e di donne, di femminile e di maschile, di potere e subordinazione, di allegoria e di immagini, di erotismo e di rappresentazioni, di antico e di moderno, di movimenti femministi e contemporaneità, di tutto questo si è parlato nel Convegno Internazionale: Nel solco di Teodora. Pratiche, modelli e rappresentazioni del potere femminile dall’antico al contemporaneo, svoltosi a Ravenna nei giorni 12-14 ottobre 2017 […].
Studiosi di diverse università italiane ed europee, nella suggestiva cornice della Biblioteca Classense, si sono trovati a discutere, a confrontarsi e aggiornarsi su temi antichi e nuovi quotidianamente riproposti dall’attualità. Lo spazio del femminile, i suoi confini voluti, definiti e imposti, richiamano logiche costanti, che sono quelle del potere, dei suoi equilibri, ma anche delle sue sconfitte. La donna appare così vincitrice e perdente, consegnata alla storia, che si manifesta nel suo ruolo centrale di conservatrice di una memoria che ammonisce di non dimenticare.
Nel titolo del convegno, il richiamo all’imperatrice Teodora, icona ravennate resa immortale, circondata dalla sue dame, nello splendore dei mosaici del VI secolo d.C. in San Vitale, ha stimolato i relatori a superare lo stereotipato cliché dell’apparenza estetica, primario attributo del genere femminino. Già lo storico bizantino Procopio di Cesarea, in un celebre passaggio della sua Storia segreta, non mancò di rievocare come la bellezza, talento naturale della giovane basilissa, non fosse solo elemento di seduzione e di piacere. La sua attitudine al governo e la sua capacità di gestione del potere, che la portarono a costituire una quasi diarchia con il consorte Giustiniano, divennero emblema, modello e immagine per le celebri donne che, in questo solco, avrebbero percorso le strade della storia.
Gli interventi raccolti in questo volume contribuiscono a tracciare una sorta di “genealogia del potere al femminile”, compito a cui si è ultimamente dedicata, andando a ritroso e partendo dalla Penelope di omerica memoria, anche l’accademica inglese Mary Beard, in un agile e fortunato bestseller. Per quest’ultima, ripercorrendo l’esercizio dell’autorità e la presa di parola in pubblico delle donne in un mondo che, storicamente, ha relegato il genere femminile ad altri compiti, l’esempio di Elisabetta I Tudor spicca e si pone come uno snodo imprescindibile, sebbene le virtù di governo da lei esercitate, la fortezza e la giustizia in primis, vengano trasmesse alle successive generazioni con marcati tratti maschili. «So di aver il corpo di una donna debole e fragile, ma ho il cuore e lo stomaco di un re, quello del re d’Inghilterra»: nel discorso pronunciato a Tilbury il 19 agosto 1588, per motivare l’esercito in vista dello scontro con l’armata spagnola, Elisabetta scelse volutamente di adottare un registro virile, sia perché il contesto militare e l’occasione lo richiedevano, sia perché la leadership delle donne, percepita abitualmente al di fuori di qualsiasi potere, subiva in ogni campo un confronto e si orientava secondo i parametri del modello maschile. In quel prendere la parola pubblicamente, Beard intravede l’avvisaglia di una diversa modalità di declinare il potere femminile secondo formule proprie, di riconoscere la competenza delle donne, svincolandole dalla subordinazione e dall’autorevolezza degli uomini.
Le considerazioni illustrate dalla Beard, se da una parte ci mostrano l’attualità del dibattito in atto tra gli storici su queste tematiche, dall’altra evidenziano un’interpretazione che, come si vedrà nei vari saggi che seguono, si affianca ad analoghe riflessioni o le contrasta sulla base della qualità delle fonti, della diversità dei contesti storici e geografici, e della collocazione culturale degli studiosi stessi.
Cesarina Casanova, cui queste pagine sono dedicate in considerazione del suo importante contributo alla storia di genere, non ha mancato di evidenziare nelle sue ricerche quanto oggi, intorno a questi argomenti, sia giunto il tempo di rilanciare la sfida storiografica propria di un approccio così complesso: un avanzamento che può scaturire solo da un dibattito svincolato dalle risacche.
Ecco allora che, dal concorso di tanti studiosi intervenuti al convegno ravennate, si è potuto abbozzare, secondo l’auspicio di Cesarina Casanova, un bilancio e una nuova formulazione del tema della sovranità femminile in grado di ridefinirlo nel tempo lungo, nelle sue specificità di genere, nelle circostanze che l’hanno resa possibile e in quelle che l’hanno condannata all’oblio e all’irrisione. Tracciare una prospettiva di ricerca nel lungo periodo che tenga insieme anche tradizioni culturali diverse è ancora difficile e si presta a critiche per le inevitabili banalità nelle quali incorre chi si avventura su terreni non suoi per cercare di allargare le prospettive. Tuttavia è un rischio che vale la pena di affrontare per aprire una strada che non si limiti a considerare destini e vocazioni femminili nell’orizzonte circoscritto di un settore disciplinare, del tempo breve o di singoli casi nazionali.
Partendo da Teodora, abbiamo fatta nostra l’indicazione di Cesarina Casanova, per riflettere sulle donne e sul loro ruolo all’interno della società e della storia, per comprenderne i contesti, scoprirne i numerosi risvolti e seguirne le parabole discendenti e ascendenti in un intreccio di relazioni non facili da sbrogliare. Giorgio Ravegnani, nella recente biografia Teodora. La cortigiana che regnò sul trono di Bisanzio, si soffermava proprio su questo intreccio, definendo l’imperatrice «una donna non comune con all’attivo una carriera singolare che dal nulla la condusse a sedersi sul trono dello Stato più potente dell’epoca. […] Teodora fu donna del suo tempo e del suo stato sociale: incolta, rozza e arrivata al trono quasi per caso, non poté fare altro che preservarlo con i mezzi che aveva a disposizione», e, ponendosi la domanda alla quale ogni storico sa di non poter ottenere risposta, concludeva: «Com’era la vera Teodora? Dare una risposta è pressoché impossibile, anzi forse inutile».
Inutile è farsi domande che sappiamo essere mal poste. Ma utile per lo storico è riflettere continuamente sulle tracce che l’uomo lascia nel suo passaggio nel tempo, e in questo studio, complesso e ricco di spunti, le tracce sono tracce di donne.»