“‘Nefaria secta’. Sulla normativa imperiale “de Iudaeis” (IV-VI secolo)” di Mariateresa Amabile

Prof.ssa Mariateresa Amabile, Lei è autrice dei due volumi ‘Nefaria secta’. Sulla normativa imperiale “de Iudaeis” (IV-VI secolo), il primo edito da Jovene, il secondo da Giappichelli: a quando si può far risalire l’origine del fenomeno storico dell’antigiudaismo?
Nefaria secta. Sulla normativa imperiale "de Iudaeis" (IV-VI secolo), Mariateresa AmabileCon riferimento al mondo antico, sono esistiti diversi momenti di comparsa ed evoluzione di molteplici forme di antigiudaismo. Non si può, naturalmente, indicare una data precisa per ciascuno di questi momenti, è però possibile individuare i contesti storici e formulare delle ipotesi sulla base delle fonti in nostro possesso. Queste ultime sono sia fonti giuridiche (come le leggi degli imperatori romani sul giudaismo), fonti letterarie (in particolare di autori ellenistici e latini) fonti teologiche (gli scritti polemici dei Padri della Chiesa a proposito degli ebrei).

Con il termine antigiudaismo non definiamo l’avversione legata alla ’razza’ ebraica, ma piuttosto l’insieme dei pregiudizi contro il popolo ebraico, mutato di tempo in tempo sulla base dei diversi contesti storici, geografici, politici, religiosi.

Con riferimento all’antigiudaismo precristiano è possibile distinguere, a nostro avviso, almeno due momenti: l’incontro di Israele con la Grecia ellenistica e quello con Roma.

Nel primo caso, il contatto tra il regno di Giuda e la dinastia ellenistica dei seleucidi, avvenuto all’incirca nel IV sec. a.C. determinò una progressiva ellenizzazione dei territori della diaspora ebraica di parte ellenica, determinando la quasi totale scomparsa della lingua ebraica. Il difficile rapporto delle comunità giudaiche di ambiente alessandrino con la cultura ellenistica è documentato, tra l’altro, nell’opera “Contro Apione” di Flavio Giuseppe, storico e testimone diretto del conflitto del 66-70 tra Roma e Israele. Il “Contro Apione” raccoglie e confuta una nutrita serie di pregiudizi e accuse nei confronti degli israeliti, tra le quali il periodico rapimento di un greco al fine di ucciderlo e mangiarne le viscere, il compimento di sacrifici umani, la congiura mortale contro l’umanità intera. Questo genere di pregiudizi si ritrova analogamente, ma in forma, talvolta, più lieve, negli scritti di autori latini quali Tacito, Ovidio, Orazio, Cicerone, dove gli israeliti sono spesso fatti oggetto di scherno per alcune usanze (ad esempio, la circoncisione), per l’attaccamento alla comunità di appartenenza (definita, talvolta, come turba –una massa compatta e molto unita-) e specialmente per la singolarità del credo monoteistico. Le affermazioni, i pregiudizi e anche l’atteggiamento di disprezzo o superiorità contenuti in questi scritti sono tuttavia molto lontani dall’avversione religiosa che costituirà uno dei prodotti dell’opera di separazione del nascente cristianesimo dalla ‘’Santa radice’’ del giudaismo e che avrà inizio, formalmente, con l’assunzione del cristianesimo a religione di Stato con l’editto di Tessalonica del 380 d.C., ma che di fatto era già presente in età costantiniana.

Che rapporto esisteva tra religione cristiana ed ebraismo all’interno della normativa imperiale?
Con la svolta confessionale dell’Impero romano, l’antigiudaismo delle origini prende progressivamente nuove forme: abiurando gli dei Roma prende l’antico monoteismo giudaico e lo trasforma, complice il contributo degli scritti polemici dei Padri della Chiesa, in qualcosa di diverso. È il novus Israel, il cristianesimo imperante, che prende le distanze dal vetus Israel, il giudaismo. Superata una prima fase di ‘sincretismo’ con il cristianesimo delle origini, l’ebraismo smette di essere considerato, con le celebri parole contenute nella “Lettera ai Romani” di Paolo di Tarso, ‘’Santa radice’’ (nelle quali, com’è noto, è compreso un profondo riconoscimento e rispetto per le radici giudaiche del cristianesimo) per diventare una setta (poi definita ‘nefaria’, ossia mortifera, scellerata) legata in maniera cieca ed ossessiva a leggi vetuste e implacabili, per esempio, quella che, sulla base di Genesi 17, 9-14, stabilisce l’obbligo di circoncisione per tutti i maschi nati all’interno delle comunità giudaiche (sostituita, nel cristianesimo, da una simbolica “circoncisione del cuore”). Ma è soprattutto l’accusa di deicidio, ossia, quella di aver dato la morte al figlio di Dio a gravare sugli ebrei, e a costituire, da un punto di vista esterno al giudaismo, parte dell’identità ebraica.

Questa accusa, insieme ad altre, costituisce parte integrante della predicazione dei Padri della Chiesa sul giudaismo: numerosi sono i trattati adversus Iudaeos impegnati nell’aspra polemica contro l’ostinazione, l’errore, la sordità degli ebrei, che non comprendono i propri sbagli, ma anzi perseverano negli stessi.

A partire dal IV secolo d.C., dalla conversione al cristianesimo di Costantino il Grande, sorge poco a poco un ‘diritto romano sugli ebrei’, ossia un vero e proprio corpus normativo de iudaicis rebus messo in piedi dagli imperatori cristiani, i quali, avendo eletto la religione cristiana fede prediletta dall’Impero, mutuarono la polemica teologica antigiudaica. Con Costantino il cristianesimo acquisisce l’invincibile strumento del diritto, basato sulla coercizione e sull’imposizione della sanzione per combattere l’ebraismo su vari fronti. Le leggi imperiali riguardano numerosi campi del giudaismo e del diritto ebraico, disciplinando di fatto gran parte del vivere quotidiano delle comunità giudaiche. Tali costituzioni possono essere raggruppate in tre ordini: 1) leggi protettive (sono la minoranza, tendono ad evitare gli attacchi alle sedi e alle persone degli ebrei, in genere per motivi di ordine pubblico); 2) leggi intrusive o di controllo (tendono a ‘invadere il campo’ inserendosi nella regolamentazione di una specifica materia modificandone alcuni aspetti sostanziali. Leggi di questo tipo sono sovente originate da un accadimento specifico o talvolta il casus belli è preparato ad hoc o volutamente ‘esagerato’ per introdurre una disciplina diversa, limitante o apertamente punitiva; 3) leggi repressive: sono verosimilmente la maggioranza, scagliano gravi accuse contro gli ebrei per aver fatto qualcosa, in genere, per aver dato seguito alle proprie usanze o consuetudini cultuali (per esempio, la circoncisione) e minacciano sanzioni gravissime per il perpetuarsi di tali comportamenti, come la condanna a morte e la confisca dei beni. Di solito tali leggi presentano un ampio preambolo nel quale si dà conto delle mostruosità poste in essere, della necessità di provvedere con un intervento imperiale, dei tentativi pregressi di porre un argine ad esse e soprattutto delle potenti motivazioni religiose alla base della loro emanazione.

Il rapporto tra ebraismo e cristianesimo nell’ambito delle leggi de Iudaeis si traduce molte volte, nello scontro tra l’ideologia dominante, il verus e novus Israel, contro il falsus e vetus Israel: una battaglia impari, essendo la prima corazzata dalla forza della coercizione del diritto. C’è anche da aggiungere che le leggi imperiali non vollero mai la scomparsa del giudaismo: la lotta ingaggiata dagli imperatori romani non è in tal senso tentativo di distruzione ma una sorta di ghettizzazione ante litteram dell’ebraismo.

Cosa stabiliva la legislazione de Iudaeis in materia di conversioni e apostasia, oneri curiali e matrimoni?
Per facilitare l’analisi della normativa romana sugli ebrei è sembrato opportuno procedere ad una suddivisione del complesso corpus in diverse macro aree, ciascuna dedicata ad una specifica materia: all’interno di ognuna, le leggi sono analizzate secondo un criterio cronologico che permette l’osservazione dell’evolversi del problema nel tempo.

Nel primo volume di Nefaria Secta si sono prese in esame le leggi relative al problema delle conversioni, degli oneri curiali e dei matrimoni. Il primo tema è forse uno dei più importanti e significativi e rappresenta il tentativo dell’Impero di favorire le conversioni al cristianesimo da parte degli israeliti e scoraggiare in ogni modo il processo contrario, ossia il passaggio dal cristianesimo al giudaismo, o un ritorno ad esso. Tali processi sono incoraggiati o scoraggiati in vario modo, prevedendo premi e agevolazioni in materia ereditaria per coloro che avessero scelto di passare al cristianesimo (giungendo finanche a non considerare il crimine del parricidio in rapporto alle aspettative ereditarie di coloro che avessero scelto il cristianesimo); al contrario, coloro che ponevano in essere il crimine di apostasia al giudaismo andavano vessati con ogni mezzo, con la perdita, tra l’altro della capacità di disporre del proprio patrimonio.

Il problema dell’adempimento degli oneri curiali da parte degli ebrei può sembrare un tema secondario rispetto al precedente, ma così non è e ciò è dimostrato non soltanto dalle numerose leggi dedicate al tema, ma anche dai contenuti delle stesse, di fatto estremamente vessatori e punitivi nei confronti dei giudei. Basti pensare che le leggi imperiali avevano decretato il necessario adempimento di tutti gli oneri curiali, compresi quelli considerati più penosi, degradanti, con l’unica eccezione di quelli che determinassero l’acquisizione di onori e dignità pubbliche. Significativo che l’ufficio di carcerieri fosse interdetto agli ebrei, nel timore che il prigioniero cristiano dovesse patire un ‘doppio carcere’ dovuto al presunto odio del guardiano giudeo.

In rapporto alla normativa matrimoniale essa è volta ad interdire i matrimoni misti, tra ebrei e cristiani, per evitare che donne cristiane venissero ‘contaminate’ con il morbo giudaico e costrette alla conversione. Accanto a queste leggi se ne trovano altre che sanzionano il matrimonio tra ebrei secondo le usanze giudaiche, o il peculiare rito del levirato, secondo il quale, alla morte di un uomo deceduto senza eredi, la moglie di questi sarebbe diventata automaticamente moglie del fratello del defunto e i figli generati dalla nuova unione sarebbero stati considerati figli del primo marito. Tali leggi, dai contenuti fortemente invasivi, andarono disattese: in caso contrario avrebbero determinato la scomparsa del giudaismo, cosa che non c’è stata.

Come erano disciplinate, dalle leggi imperiali de Hebraeis, la schiavitù, il patriarcato ebraico nonché la conservazione-trasformazione-distruzione degli edifici di culto ebraici?
Anche questi temi costituiscono ulteriori macro aree individuabili all’interno del mare magnum della legislazione romana sugli ebrei. Le leggi sulla schiavitù, che nel complesso proibiscono e sanzionano il possesso, da parte di ebrei, di schiavi cristiani, si snodano su due binari principali: l’idea inaccettabile che degli uomini massimamente empi, il cui popolo aveva messo a morte Gesù Cristo, potessero avere come assoggettati degli uomini piissimi che avevano invece scelto la via della salvezza propugnata dalla fede e dagli imperatori cristiani. L’assoggettamento, che doveva avvenire, in genere attraverso la circoncisione era in ogni caso vietato, così come era vietata l’apposizione del marchio prodromica all’ingresso nella comunità ebraica, anche in veste di schiavi. Tali disposizioni miravano a impedire anche forme di proselitismo giudaico, invero già ben poco presenti tra gli ebrei.

La storia del Patriarcato giudaico, in rapporto alle leggi romane, è invece quella di un progressivo decadimento: accanto a leggi volte a preservare l’autorità dell’istituzione patriarcale, l’onorabilità del Patriarca e del suo entourage, compaiono disposizioni che sgretolano al contempo le facoltà e la dignitas del Patriarca, accusato di essere uno “spogliatore di popoli giudaici”. Alcune leggi, in particolare, sanciscono il declassamento di Gamaliel nonché il divieto per quest’ultimo di giudicare controversie di cui siano parte cristiani, il divieto di “insozzare col marchio d’infamia giudaico” i seguaci del cristianesimo o di altre religioni e di possedere schiavi; viene inoltre ordinato che siano restituite all’imperatore le somme precedentemente versate dagli ebrei e riscosse ogni anno dagli emissari del Patriarca in favore del Sinedrio e per il sostentamento delle gerarchie religiose ebraiche. Tali somme dovranno per il futuro essere raccolte e destinate alle casse imperiali: un tributo che, come ho avuto modo di spiegare nel libro, sembra diventare, in definitiva, una vera e propria ‘tassa sull’ebraismo’.

Le costituzioni imperiali sugli edifici di culto giudaici disciplinano alcuni specifici aspetti, in particolare, la possibilità da parte degli accoliti di prendersi cura delle sinagoghe con restauri, l’ordine di non costruirne di nuove, oppure l’autorizzazione a distruggerle o a trasformarle in templi cristiani. Accanto a queste norme di tipo repressivo se ne affiancano altre di senso contrario, che mirano a ostacolare gli attacchi e le spoliazioni. Come spesso capita anche in altre occasioni, le leggi imperiali sugli ebrei sono di frequente in antitesi e riflettono le esigenze del mutato contesto storico. Tuttavia, anche le costituzioni sulle sinagoghe descrivono una lunga parabola discendente, all’interno della quale l’utilizzo, la gestione, la conservazione, la costruzione delle sinagoghe viene quasi totalmente sottratta agli ebrei, con il divieto di restaurare quegli edifici che non fossero a rischio di caduta (e di provocare quindi problemi di ordine pubblico), nonché l’ordine di distruggere quelle sinagoghe che si trovassero in luoghi isolati e la cui scomparsa non avrebbe determinato insurrezioni e proteste da parte ebraica. Con Giustiniano si ordinerà la riconversione di tutte le sinagoghe in templi cristiani attraverso le necessarie modifiche strutturali e architettoniche; agli ebrei sarà fatto divieto di riunirsi anche soltanto in grotte, per celebrare i loro riti.

La storia delle leggi romane de Iudaeis descrive, in definitiva, il progressivo inasprirsi dei contrasti tra Impero romano e giudaismo. La particolarità di tale corpus normativo consiste nel suo contenere quell’ambivalenza delle disposizioni che è a sua volta il frutto dell’ambiguo rapporto tra la religione ebraica e il cristianesimo. In nessun caso gli ebrei diventano ‘illegali’ ma le leggi imperiali, come la letteratura patristica, si impegnano a descrivere e a rendere nota la condizione di ‘giudeo’ come quella di irrimediabilmente marchiata dall’accusa di deicidio. Ciò viene messo in atto con lo strumento irresistibile del diritto che ha consentito di tempo in tempo di relegare gli ebrei ai margini della società. Essi dovevano quindi continuare a vivere ma miseramente, nascostamente, testimoniando con la propria vita l’errore compiuto e la verità della nuova rivelazione (come scrisse Sant’Agostino nelle Enarrationes in Psalmos: Per omnes gentes dispersi sunt Iudaei: testes iniquitatis suae et veritatis nostrae).

Mariateresa Amabile è Dottore di ricerca in diritto romano e diritti dell’antichità. È stata assegnista presso l’Università di Salerno dove è attualmente docente a contratto e cultore della materia per gli insegnamenti di diritto romano, diritto pubblico romano e diritti dell’antico Oriente Mediterraneo. Svolge attività di tutorato per la cattedra di Storia e Istituzioni di diritto romano presso l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Ha svolto ricerche sullo spazio della donna nel mondo antico e sulla legislazione imperiale de Iudaeis, pubblicando numerosi articoli e due monografie: Nefaria Secta. Sulla normativa imperiale de Iudaeis (IV-VI secolo) I-II.

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