
Ci sono perplessità dal punto di vista costituzionale, per come si è gestita l’epidemia. Il modello nei fatti adottato si è basato un significativo potere del governo, mediante Dpcm, autorizzati in via generale da decreti-legge.
Sono così stati fortemente limitati gran parte dei diritti fondamentali dei cittadini, a partire dalla libertà personale e di circolazione e soggiorno, in nome dell’interesse collettivo alla salute.
Peraltro, le limitazioni hanno assunto un quadro composito, per i numerosi interventi non solo del governo centrale, ma anche di regioni e comuni, mentre il Parlamento non è riuscito a svolgere il proprio ruolo di garante della sovranità popolare e del dibattito pluralistico, anche nella applicazione delle riserve di legge.
Nel complesso, possiamo dire che il paese ha anche risposto bene all’emergenza, ma non sono stati rispettati i canoni costituzionali.
Attraverso la decretazione d’urgenza stati fortemente limitati gran parte dei diritti fondamentali dei cittadini, a partire dalla libertà personale e di circolazione e soggiorno: quali perplessità solleva ciò dal punto di vista costituzionale?
Sappiamo bene che la nostra Costituzione pone quale principale garanzia della tutela dei diritti la riserva di legge.
Come ben detto dalla Corte costituzionale, «la riconduzione ad unità delle sparse, frammentarie disposizioni giuridiche, la certezza che soltanto attraverso il superamento delle varie, numerose fonti, sostanziali e formali, dell’Antico Regime, si potesse raggiungere, insieme, la massima garanzia della riacquistata libertà individuale ed il massimo ordinato vivere sociale condussero a ravvisare nella legge, nella legge dello Stato, quale unita organica dell’intero popolo sovrano, il nuovo principio costitutivo, il nuovo fondamento del diritto» (Corte cost., sent. n. 487 del 1989).
La riserva di legge non rappresenta quindi un formalismo, ma la garanzia che tutte le decisioni più importanti vengano prese dall’organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal Parlamento.
Nei fatti le decisioni fondamentali sono state assunte con atti del governo e quindi in elusione delle garanzie parlamentari.
Il Parlamento non è riuscito a svolgere il proprio ruolo di garante della sovranità popolare e del dibattito pluralistico, anche nell’applicazione delle riserve di legge: quali anomalie ha prodotto l’uso di una fonte anomala come il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri?
I Dpcm sono atti amministrativi che trovano origine nella riforma della Presidenza del Consiglio operata con la legge n. 400 del 1988 e nella normativa di protezione civile. Ora, l’art. 25 del D.lg.s n. 1 del 2018, prevede l’adozione di decreti “da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”.
Nei mesi di marzo e aprile, i Dpcm hanno significativamente limitato i principali diritti civili (la libertà personale la libertà di circolazione e soggiorno, la libertà di riunione, la libertà religiosa, di istruzione, di accesso alla giustizia e così via).
Per quanto i decreti-legge n. 6 e n. 19 del 2020 abbiano rinviato ai Dpcm per le misure applicative, si è trattato di una delega “in bianco”, non pienamente compatibile con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia di ordinanze contingibili ed urgenti (sent. n. 307 del 1983) e comunque con i principi della Repubblica parlamentare.
Sono stati numerosi i provvedimenti emanati da Regioni e Comuni, in un vero e proprio profluvio di ordinanze contraddittorie e intrecciate: come ha pesato l’assenza di un potere centrale di indirizzo e coordinamento rispetto agli enti locali?
Nella gestione dell’emergenza è vistosamente mancato un potere centrale di indirizzo e coordinamento rispetto agli enti locali, lasciando il cittadino allo sbando di un profluvio di ordinanze contraddittorie e intrecciate.
In poche settimane abbiamo avuto centinaia di ordinanze regionali e migliaia di ordinanza comunali, che non si sono limitate a emanare misure di adattamento locale nella gestione dell’emergenza, ma hanno creato complicati nodi normativi, sovrapponendosi e stratificandosi. Ovviamente noi cittadini siamo stati le prime vittime di tale confusione.
La nostra Carta costituzionale non contempla un vero e proprio statuto costituzionale dell’emergenza: con quali altre modalità si sarebbe potuto intervenite?
Pur mancando in Italia un vero e proprio statuto costituzionale dell’emergenza, a ben vedere l’impianto della Carte repubblicana comunque fornisce le soluzioni adeguate per casi del genere, in quella visione “presbite” già prefigurata da Calamandrei.
Si sarebbe potuto attuare l’art. 78 Cost. con una lettura estensiva della nozione di guerra e la attribuzione dei poteri necessari al Governo. O, quanto meno, intervenire con decreti-legge, in pieno rispetto all’impianto costituzionale. Aver limitato diritti e libertà con una fonte anomala come il Dpcm, comunque rappresenta un vulnus dell’assetto costituzionale, anche perché ha eliminato il controllo del Presidente della Repubblica in sede di emanazione e la conversione da parte del Parlamento.
Alfonso Celotto è professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università “Roma Tre”