“Nature imperfette. Umano, subumano e animale nel pensiero di Alberto Magno” di Stefano Perfetti

Prof. Stefano Perfetti, Lei è autore del libro Nature imperfette. Umano, subumano e animale nel pensiero di Alberto Magno pubblicato da Edizioni ETS: quale importanza riveste, per la storia della filosofia medievale, il pensiero di Alberto Magno?
Nature imperfette. Umano, subumano e animale nel pensiero di Alberto Magno, Stefano PerfettiAlberto Magno è uno dei più grandi e versatili pensatori del XIII secolo. Tedesco, di famiglia aristocratica, studiò a Padova ed entrò nell’ordine domenicano. Insegnò nei conventi di varie città europee, poi all’università di Parigi dal 1244 al 1248 (dove ebbe come allievo anche Tommaso d’Aquino), successivamente nello Studio Generale domenicano di Colonia da lui fondato. Ebbe incarichi importanti nel suo ordine religioso e fu anche vescovo di Regensburg. Ha scritto su tantissimi temi (non per nulla è detto doctor universalis), temi che vanno dalla teologia, all’etica, alla filosofia della natura, alla biologia, alla psicologia, all’esegesi biblica …

Quasi un intellettuale rinascimentale…
Direi piuttosto che Alberto è un intellettuale del XIII secolo, un secolo di rinnovamento sociale, politico, economico e culturale, in cui nelle città avvenivano scambi non solo di merci, ma anche di libri e di idee. In questa epoca arrivano nell’Occidente latino traduzioni dall’arabo e dal greco di testi di filosofia, medicina, teologia, scienze. Inoltre nascono le università nelle principali città, con una grande mobilità europea di giovani in formazione. Questo rinnovamento era percepito da tutti. Pensi che professori e allievi, in certe occasioni, tenevano dibattiti pubblici ai quali assisteva la popolazione. Ma il XIII secolo, con la diffusione di idee presso il ceto urbano e borghese, fu anche un’epoca di dissenso religioso e di eresie. Ora, tra i compiti costitutivi dell’ordine domenicano rientravano la predicazione, l’insegnamento e la lotta contro l’eresia. Siccome spesso l’eresia si nutriva di idee filosofiche, andava combattuta anche su questo campo. Ecco perché Alberto approfondiva le discipline filosofiche e le insegnava ai suoi confratelli in formazione. Va inteso in questo quadro di dialogo tra teologia, filosofia e scienze anche l’interesse del nostro autore per i fenomeni del mondo naturale, testimoniato da opere come i suoi trattati sugli animali (il De animalibus), sulle piante (il De vegetabilibus) e sui minerali (il De mineralibus).

E qui veniamo al Suo libro, che esamina il pensiero di Alberto Magno mettendo a confronto sfera umana e sfera animale, analogie e differenze tra dinamiche del comportamento, dell’organizzazione sociale…
Negli ultimi anni, per ragioni di ricerca e di insegnamento, ho letto quotidianamente molte opere di Alberto Magno. Sono edizioni per specialisti, libri voluminosi, solo col testo latino, in un gergo molto tecnico, eppure … quante volte si incontrano pagine sorprendenti, in cui Alberto aggancia la sua riflessione teorica ad esempi concreti. Ad esempio, discute le strategie di vita associata in diverse specie animali, la differenza tra i versi degli animali e il linguaggio umano, le reazioni istintuali di fronte al pericolo, strategie di caccia e predazione, casi di automedicazione animale. Sono analisi troppo belle per rimanere a disposizione solo degli specialisti. Così mi è venuta la voglia di condividerle.

Il progetto iniziale era, essenzialmente, di tradurre queste pagine, renderle in un italiano asciutto e contemporaneo, così da far sentire la voce di Alberto Magno non solo ai medievisti ma a chiunque si interessi di filosofia e di storia della scienza e della cultura. Insomma, leggere Alberto come si leggono le traduzioni di Platone, di Kant o di Darwin. Questa idea originaria è mantenuta nella sezione centrale del libro, che offre la traduzione di tredici testi da opere di Alberto Magno. All’inizio pensavo di aggiungere solo, in coda a ogni brano, delle postille esplicative. Avevo in mente il modello di Alessandro Baricco nell’edizione da lui commentata del saggio Il narratore di Walter Beniamin (Einaudi, 2011). Poi, però, ho preferito lasciare in purezza le pagine tradotte, dando però al lettore tutti gli strumenti per leggerle e gustarle da solo. Così sono nati il mio saggio introduttivo e quello finale scritto da Amalia Cerrito, una giovane studiosa, mia collaboratrice.

Siamo abituati a pensare al Medioevo come all’epoca dei bestiari e degli animali simbolici. Invece leggendo sia il Suo saggio sia i passi di Alberto che riporta, mi hanno colpito certe osservazioni dirette del comportamento animale…
Alberto vive da protagonista l’epoca che ha riscoperto la scienza naturale greca di Aristotele e gli sviluppi dovuti all’evoluzione della medicina e a grandi filosofi-scienziati del mondo islamico, come Avicenna. Il suo mondo culturale non è fatto di bestiari ma di trattati scientifici di filosofia naturale, centrati su questioni come la fisiologia dei fluidi corporei, i processi embriologici o il rapporto organo/funzione. Il suo progetto è integrare le discipline scientifiche, fornirne una versione aggiornata (ad esempio facendo dialogare la fisiologia di Aristotele con quella di Galeno e degli autori arabi) e metterla a disposizione della formazione dei domenicani.

Per quanto poi riguarda le osservazioni dirette del comportamento animale, è vero, Alberto in questo è straordinario. Fa spesso appello a sue esperienze, a fenomeni che ha osservato da ragazzo in Germania o anche in seguito. Ad esempio, c’è un punto in cui dice: «gli storni, quando sono attaccati da un falco, si raggruppano in formazione di volo e lo respingono col vento prodotto dall’azione comune delle loro ali. Se poi il falco plana sotto di loro, lo allontanano bersagliandolo con le loro feci, così non può più avvicinarsi». In questa capacità di osservazione del mondo esterno è molto moderno (e molto diverso, poniamo, dal suo allievo Tommaso d’Aquino).

I titoli dei paragrafi del Suo saggio fanno pensare a tematiche di attualità anche nel dibattito filosofico e scientifico contemporaneo. Ad esempio: Tra etologia e dimensione politica; Istinto, astrazione e plasticità comportamentale; La mente dei bambini: analogia o identità in evoluzione?; La comunicazione: suoni, versi, linguaggio. Ma davvero un autore del XIII secolo si poneva questi problemi?
Nel saggio ho cercato un equilibrio tra contestualizzazione e teoria. Per un verso, si tratta di collocare Alberto Magno nella sua epoca, considerando le fonti che aveva a disposizione, gli interlocutori a cui si rivolgeva, i generi letterari in uso allora e il suo progetto culturale. Per un altro verso, però, ho tentato di fare il punto sulle sue idee esprimendole anche nel nostro linguaggio contemporaneo. Quanto alla modernità dei contenuti, direi che le parti descrittive del discorso di Alberto sono funzionali a una comparazione tra specie animali e tra animali e umani su aspetti come il comportamento sociale, le abilità cognitive e comunicative, l’abilità di apprendimento e la plasticità, cioè la capacità di modificare le proprie strategie. Nelle molte pagine etologiche Alberto esamina i comportamenti sociali organizzati di diverse specie animali. Ci sono passaggi bellissimi sull’organizzazione sociale delle api, quelle che abbiamo citato sul volo degli storni e sulle strategie collettive in risposta all’attacco di altri uccelli predatori. Alle descrizioni si affiancano analisi concettuali, che collegano filosofia morale e filosofia naturale, e confronti tra le dinamiche della vita associata animale e quella umana. Questi aspetti possono essere compresi e interpretati anche in termini contemporanei, come io faccio in alcune parti del saggio introduttivo.

Bisogna però stare attenti a non cadere in anacronismi a non attualizzare il pensiero di Alberto più del dovuto. Anzi, è importante preservare la sua provocatoria inattualità, il suo essere espressione di un altro tempo e di altri presupposti. Quando Alberto parla di ‘istinto naturale’ degli animali dobbiamo resistere alla tentazione di leggerlo in senso post-darwiniano, come un comportamento irriflessivo attivato da un impulso interno all’individuo e volto all’autoconservazione. Nel latino classico e medievale instinctus (dal verbo instinguo, “immettere”) faceva pensare a uno stimolo trasmesso da Dio attraverso la natura. Quindi anche nella complessità dei comportamenti dei viventi non umani vediamo le tracce di una intelligenza, non degli operatori terminali, però, ma del progettista originario, Dio, la cui eterna provvidenza, attraverso le cause seconde della natura, arriva all’interno di tutti i processi biologici e fisici.

Insomma, gli animali agiscono in modo efficiente ma inconsapevole…
Sì. Come dice spesso il nostro autore, citando in realtà Giovanni Damasceno, “gli animali più che agenti sono agiti”. Alberto Magno però ha un notevole fair play intellettuale. Dà molto spazio alle posizioni dei filoanimalisti, che ricostruisce nei dettagli. Poi, però, è implacabile e mostra per quali ragioni preferisca la propria visione più gerarchica e differenziata. I filoanimalisti diranno che si possono osservare comportamenti efficienti degli animali sul piano delle attività sociali (nella predazione, nella difesa, nelle cure parentali), sul piano delle tecniche (come nella costruzione di nidi o di ragnatele). Si osservano anche casi di automedicazione, come quando la donnola morsa dal serpente utilizza certe foglie come antidoto. Il punto, però, è che l’animale non umano agisce sempre sotto l’impulso di uno stimolo particolare, che, come un trigger ne attiva la reazione istintuale, ma non è in grado di collegare ambiti diversi dell’esperienza. È efficiente in un ambito, ma non sa ricavare le strutture formali della sua azione per applicarle in altri ambiti simili o anche diversi. Qualcosa di simile vale anche per le prestazioni fisiche. Non è difficile trovare animali più forti, più veloci o con una vista più acuta della nostra, ma, si chiede Alberto, è migliore una vista che vede più lontano o quella che offre i propri dati all’elaborazione mentale di facoltà superiori? Insomma, nonostante la sua attenzione comparativa verso il mondo animale, Alberto non è un animalista ante litteram. Il criterio di fondo è che l’unico vivente perfetto è l’uomo, le altre specie sono tutte imperfette, difettive.

Questo, dunque, è il senso del titolo “nature imperfette”?
Sì, è il senso del titolo. Nature imperfette, non perché incompiute, ma perché esprimono livelli di realtà inferiori rispetto alla perfezione dell’animale-uomo. Nel clima culturale di oggi, con i movimenti di cancel culture, sono posizioni irritanti e per molti, forse, inaccettabili. Io penso, però, che sia importante accettare la provocazione. Anche chi vuole proporre un pensiero fluido, multi-dimensionale, pluralistico o, addirittura, nichilistico, deve saper difendere il proprio pluralismo o nichilismo dopo aver conosciuto bene altre forme di pensiero strutturato, architettonico e gerarchico. Il pensiero medievale, di qualsiasi autore, è un pensiero forte, con un modello netto della struttura di fondo della realtà, intesa come una piramide di livelli che scendono dalla Causa Prima, ordinati in una gerarchia che va dal più perfetto al meno perfetto. L’universo, per come lo vedeva Alberto (non così lontano da come lo vedeva Dante) è un insieme armonioso di gradi diversi di perfezione. Oggi la cultura contemporanea insiste sull’eguaglianza e le pari opportunità, sul pluralismo di visioni del mondo equivalenti. La cultura medievale, invece, si fondava serenamente sul riconoscimento della diseguaglianza. Non intesa come sopraffazione, beninteso, ma come riconoscimento di una diseguaglianza naturale, di una differenza strutturale di compiti e funzioni. Questo è già vero tra esseri umani. A maggior ragione tra la nostra specie e le specie animali. In questo quadro anche l’imperfezione di animali ed ominidi è misurata sulla perfezione del vivente perfetto, cioè l’essere umano. Le natura imperfette sono quelle lontane, di alcuni gradi di perfezione, dalla natura umana.

Il discorso più ambiguo e affascinante di Alberto è quello sui ‘pigmei’, ai quali sono dedicate molte pagine. L’antropologia odierna ha ripreso questo antico termine greco per designare gruppi etnici delle foreste tropicali dell’Africa equatoriale e di altre parti del mondo. In Alberto questo termine non identificava popolazioni realmente conosciute ma si ricollegava ad una miriade di informazioni contrastanti presenti in letteratura. La riflessione su questi ipotetici ominidi serve ad Alberto per definire concettualmente il ‘subumano’, il quasi-umano, un ominide antropomorfo ma limitato nelle operazioni tecniche, sociali e linguistico-concettuali. È un discorso sul filo del rasoio e il rischio di subumanizzare popolazioni realmente esistenti è dietro l’angolo. Ma qui non dico altro. Lo lascio alla considerazione ponderata dei lettori.

L’idea della superiorità umana rispetto agli altri animali è una forma di specismo, posizione poco popolare oggi…
Autori contemporanei legati al movimento di liberazione animale, come Peter Singer o Tom Regan, usano termine ‘specismo’ (che richiama razzismo e sessismo) per indicare le discriminazioni umane che negano i diritti animali e legittimano ideologicamente trattamenti crudeli o irrispettosi. Non mi sembra, però, che questa etichetta si possa applicare alle posizioni di Alberto. Nella sua ottica noi umani siamo superiori ad ogni altro animale non perché ci troviamo staticamente ad un livello più alto nella scala naturae, ma perché siamo capaci di connettere tutti gli aspetti della nostra esperienza e trascendere gli ambiti particolari dell’esperienza. Grazie all’astrazione concettuale e al linguaggio che ne permette comunicazione e condivisione, l’uomo è in grado di superare punti di vista e interessi particolari, elaborare valori etici e sociali, modificare se stesso e il proprio stile di vita, cercare di comprendere la realtà scientificamente, per un piacere della conoscenza che prescinde dai bisogni immediati. Nel far questo l’essere umano si autotrascende, cioè risale la struttura della realtà e, almeno in parte, comprende il piano provvidenziale di Dio. Nell’ottica di Alberto, la realizzazione del potenziale umano nella conoscenza e nell’indagine razionale coopera col fine religioso di risalire la piramide della realtà per avvicinarsi a Dio.

È un pensiero molto “inattuale”…
Sì, inattuale perché è fuori dei canoni prevalenti oggi. Ma è un pensiero profondamente coerente e suggerisce un modo integrato di guardare alla natura e ai nostri compiti umani di autotrascendenza. Alberto Magno ci offre un’osservazione comparata del mondo umano e di quello animale, rivela straordinarie capacità descrittive, ma il suo non è uno sguardo proiettivo e ingenuamente simpatetico. Anzi è uno sguardo molto concettualizzato e molto distanziante. Il confronto con un pensiero forte e gerarchico come quello di Alberto può disturbarci, ma è anche una provocazione per il nostro pensiero. Le sue idee ci danno del filo da torcere, perché legate a prospettive profondamente diverse da quelle di oggi e questo è uno stimolo per il nostro lavoro filosofico. Rende meno naturali le nostre prospettive odierne e ci obbliga a difenderle di fronte alle posizioni radicalmente altre di un gigante del pensiero.

Alla dott.ssa Amalia Cerrito, autrice del saggio conclusivo, su “Alberto Magno e la logica del vivente”, chiedo se le prospettive biologiche di questo teologo del XIII possano parlare ancora agli scienziati di oggi oppure se il suo contributo possa aiutarci a guardare con occhi diversi la natura.
È innegabile la genialità di certe intuizioni di Alberto Magno circa le dinamiche che governano la natura. Non dobbiamo però cedere alla tentazione di una lettura anacronistica delle sue pagine e pensarlo come un biologo moderno o un precursore. È vero che la Chiesa cattolica lo venera come santo patrono degli studiosi di scienze naturali (la liturgia lo festeggia il 15 novembre). Ma la sua indagine sulla natura condivide ben poco con l’epistemologia della scienza contemporanea. Per fare qualche esempio: Alberto non impiega l’esperimento scientifico per validare le sue teorie e non fa nemmeno un puntuale e sistematico ricorso all’esperienza e all’osservazione controllata per formulare nuove ipotesi.

Le sue riflessioni sulla natura vanno inquadrate, piuttosto, in una cornice teologica: sin dalla creazione Dio ha stabilito la logica e l’esecuzione di ogni fenomeno naturale, dai meccanismi di sopravvivenza delle piante alla complessa vita associata di animali e umani. Per Alberto ogni essere vivente realizza in maniera più o meno perfetta quella che ho definito la logica del vivente (prendendo in prestito un’espressione del grande biologo contemporaneo François Jacob), quel fine naturale universale stabilito dalla divina Provvidenza volto all’autoconservazione sia individuale che della specie.

Il fatto che Alberto studi la natura a partire da questa prospettiva teologica non significa che rinunci a indagarne le dinamiche fisiche anche nelle sue manifestazioni più nascoste. Alberto è, infatti, tra i pochissimi pensatori medievali ad occuparsi in maniera sistematica della vita occulta delle piante, in quanto espressione del piano provvidenziale di Dio. L’aver stabilito una logica del vivente universalmente condivisa, spinge Alberto a interpretare certe dinamiche di fisiologia vegetale come meccanismi di difesa e di autoconservazione, fino ad allora esclusivamente prerogativa animale. Un’intuizione vera, come dimostrano gli studi più recenti di neurobiologia vegetale, che non proviene dall’osservazione. A differenza di quanto accade oggi, nell’orizzonte culturale di Alberto Magno i confini tra filosofia, biologia e teologia non sono così netti e decisi. Anzi, è proprio l’intreccio di tensioni teoriche provenienti dai più diversi ambiti disciplinari che da vita a quella ricchezza senza pari a cui il lettore si trova di fronte leggendo le pagine di Alberto.

Stefano Perfetti insegna Storia della filosofia medievale all’Università di Pisa. Si occupa in particolare della filosofia della natura nel medioevo, della tradizione aristotelica tardomedievale e rinascimentale, della filosofia della religione e del pensiero ebraico contemporaneo. Con ETS ha pubblicato anche Animali pensati nella filosofia tra medioevo e prima età moderna (2012).

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