“Naturalismo francese” di Giuliano Vigini

Naturalismo francese, Giuliano Vigini, riassuntoNaturalismo francese
di Giuliano Vigini
Editrice Bibliografica

«Prima di essere riferito al movimento letterario che assume come principio e modello di rappresentazione narrativa la realtà «sperimentale» delle scienze della natura, il termine «naturalismo» era usato in Inghilterra fin dalla metà del Seicento per indicare la credenza fondata sulla sola ragione umana (naturalism, 1641), mentre fa la sua comparsa in Francia agli inizi del Settecento per designare «l’interpretazione mitologica dei fatti della natura» (La Motte-Houdar, Fables, 1719) e, verso la metà del secolo, il «sistema in cui si attribuisce tutto alla natura come primo principio» (Diderot, Pensées philosophiques, 1746). […]

L’uso di naturalismo nel senso che di lì a poco sarà comunemente attribuito al termine si ha nel 1857, quando il critico d’arte Jules-Antoine Castagnary, nel tratteggiare i caratteri artistici di Courbet, lo definisce un «pittore che tratta la natura con realismo» (Salon de 1857). Questo binomio natura/realismo anticipa il riferimento specifico al naturalismo fatto l’anno dopo da Hippolyte Taine come «scuola letteraria che si propone di dare una rappresentazione realista della natura» e ai naturalisti come «coloro che la praticano in arte» (Essai sur Balzac, 1858). Lo stesso Castagnary, tornando più tardi sull’argomento, coglie la specificità della «scuola naturalista» nella sua concezione dell’arte come «espressione della vita in tutte le sue forme e ai suoi vari livelli», con l’unico obiettivo di «riprodurre la natura al suo più alto grado di potenza e intensità: cioè la verità in equilibrio con la scienza» (Salon de 1863).

Al di là però della formulazione, che può apparire univoca e non dare adito a fraintendimenti, il naturalismo non si presenta come un originale e monolitico sistema dottrinario, ma piuttosto come un mosaico di riflessioni e spunti individuali tendenti gradualmente a comporsi in una loro essenziale unità. Più che il risultato di un’elaborazione sistematica o il luogo d’incontro di teorie convergenti, l’estetica naturalista è in realtà il momento culminante del processo di formazione di un’idea dell’arte in cui si coagulano – come si è già accennato e come si vedrà in dettaglio più avanti – anche non pochi elementi del pensiero filosofico e scientifico del tempo.

L’impulso originario alla maturazione di questa complessa fenomenologia artistica deriva innanzitutto dal clima di quella che è stata chiamata la «bataille réaliste» e che costituisce uno dei momenti più ricchi di fermenti di tutta un’epoca. Si tratta dell’appassionato dibattito che si sviluppa verso la metà degli anni Cinquanta intorno al significato della pittura innovativa di Courbet […] e che dall’arte passa immediatamente alla letteratura, creando una fitta trama di legami e corrispondenze. […]

In questa fase della discussione intorno alla natura e alla portata del realismo, la pubblicazione di un romanzo come Madame Bovary (1857) acquista una forza dirompente. Le riserve e le polemiche con cui molti avevano accolto l’opera non avevano potuto dissuadere altri dall’attribuirle il preciso significato di una svolta nel cammino del romanzo moderno. […] Con Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Goncourt il campo di visuale si restringe nettamente al caso anormale, al fenomeno patologico, in una riproduzione sine glossa tendente a far emergere nient’altro che l’intrinseca verità dei «documenti umani» di cui la loro opera è portatrice. […]

Flaubert è il degno continuatore di Balzac. Madame Bovary è anzi il romanzo-tipo, il modello definitivo del naturalismo. […] Scompare inoltre nel romanzo naturalista – ed è la seconda sua caratteristica – il personaggio eroico, ricondotto a una misura umana, alla realtà fisiologica di un’esistenza comune. La bellezza dell’opera non deriva più da elementi esterni e soggettivi, ma dall’intrinseca verità dei fatti e dei documenti, dall’esatta pittura del vero, dove l’artista lascia parlare le cose, le fa vivere autonomamente, senza sovrapporsi ad esse. La terza caratteristica del romanzo naturalista è difatti questa: lo scrittore «finge di scomparire completamente dietro l’azione che racconta. Egli è il regista nascosto del dramma. Non si mostra mai in fondo a una frase. Non lo si sente né ridere né piangere con i suoi personaggi, così come non si permette di giudicare i loro gesti […]. L’autore non è un moralista, bensì un anatomista che si limita a dire quello che trova nel cadavere umano». […]

Nel suo procedere, il romanzo naturalista è «impersonale». Analogamente all’«impersonalità» flaubertiana, qui l’«impersonalità» è intesa come rifiuto d’ogni giudizio, apriorismo morale e intervento esterno che cerchi in qualche modo di modificare i dati della realtà. Ciò che appartiene al dominio del soggettivo non ha ragion d’essere nella sfera di un’arte esclusivamente fondata – come si è già visto – sulla verità dei «documenti umani». La funzione del romanziere naturalista non è di ricreare le cose, ma di osservarle e presentarle come sono; non è di raccontare storie che siano specchi deformanti dell’invenzione o della poesia, bensì di costruire opere che abbiano la stessa certezza, solidità e applicazione pratica della scienza. In questo ambito, la fisiologia e, ancor più, l’anatomia patologica diventano la struttura portante dell’indagine naturalistica che, attraverso procedimenti di vivisezione e analisi clinica, si sforza il più possibile di penetrare nel tessuto della società e dell’uomo, di indagare le cause dei mali sociali, di esplorare a fondo le miserie e le follie che attraversano le vicende quotidiane della vita.»

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