Non la definirei. Sarebbe limitante. Io amo leggere, amo incontrare le persone passando attraverso la loro mente. Sono una persona molto introversa e solitaria, per questo i libri mi danno la possibilità di arrivare dove non riesco quando si tratta di socializzare. Mi danno la possibilità di capire come funziona la mente altrui, cosa si nasconde nel cuore di chi mi circonda, di chi venne prima di me, di chi già visse le cose che sto vivendo io. Mi danno la possibilità di conoscere storie e fatti in cui – si spera – non dovrò mai ritrovarmi di persona, per avere una pallida idea di come fare se dovesse succedere. Mi tengono lontana dagli incubi notturni (leggo molto di notte), mi distraggono dai miei problemi. Il mio non è semplice amore per l’oggetto libro o una mania: io ho bisogno di loro per vivere, come l’aria e il pane. Ho bisogno di sapere e di colmare vuoti, vuoti immensi che sento di avere nei confronti di questo mondo in cui farò breve passaggio. E più colmo, più tutto si svuota. È una catena, è una malattia? Forse. Però è un ciclo che non si può spezzare.
Quando è nato il Tuo amore per i libri?
Il mio amore per i libri è sbocciato quando ero bambina. Ci sono vari momenti della mia infanzia in cui ricordo di aver iniziato a provare forte attrazione per questi splendidi amici che trovavo in casa e che potevo sfogliare con curiosità e mistero. Tra i tanti ricordi, il ritrovamento della Commedia di Dante in una edizione a copertina nera rigida, contenente anche le illustrazioni di Dorè. Era una Commedia priva di commento, solo testo. Ma quelle immagini dicevano tutto di una storia che forse non potevo capire per intero, ma che già avevo iniziato ad amare.
Sono seguiti poi i libri di geografia, i libri sui dinosauri, che chiedevo ai miei di comprare ogni volta che ne vedevo uno su una bancarella o in un negozio. A scuola, le insegnanti ci indirizzavano spesso verso la lettura di romanzi per ragazzi o classici. I miei compagni erano sempre annoiati quando si andava a leggere e fare comprensione del testo, mentre io restavo con la mia curiosità per quei libri che avrei voluto leggere da sola e non con l’ausilio guidato e svogliato di una guida stanca. Ho così letto il Barone Rampante di Calvino, erroneamente destinato a lettura giovanile per scuole medie. Quel libro è una bomba a orologeria per una mente ribelle, e così è stato per me. Allo stesso modo, mi appassionai a un secondo libro – di cui, dopo le scuole medie – non ho mai più sentito parlare: Anche i robot hanno un cuore, un simpatico racconto di fantascienza contenente giochi linguistici ad uso di uno studio grammaticale. Riuniva assieme quelle che poi sono diventate due grandi passioni da inseguire: i mondi futuri e la perfezione della mia lingua madre.
La mia passione per i libri ha poi sicuramente trovato sbocco nel momento in cui ho iniziato a ricevere del danaro dai miei genitori. Durante il primo anno di liceo scientifico, un signore era solito aprire la sua bancarella di libri nell’atrio della scuola e fare sconti interessanti – che all’epoca erano sconti veri, non come oggi purtroppo – agli studenti. Così ho iniziato ad acquistare finalmente libri scelti da me. Ricordo il mio primo acquisto, il Caso e la Necessità di Monod. Imperdibile. E questo lungo percorso di letture solitarie – come da nome del mio canale – mi ha infine portata al mio grande amore, Dostoevskij. Era un pomeriggio stanco e buio del quinto anno e la professoressa di filosofia stava spiegando – male – cose di cui non ricordo motivo né senso. Presa dalla noia, sfogliavo il libro distrattamente. A un certo punto l’occhio mi cadde su un dialogo intitolato Il Grande Inquisitore.
Folgorazione. Amore a prima vista. Ma chi l’ha scritto, fammi un po’ vedere. E lì, in alto, il suo nome, che mi aspettava da più di cento anni. Fëdor Dostoevskij, i Fratelli Karamazov. E quella stessa sera, la corsa in centro dal negozio fidato, a comprare quel libro, due volumi all’interno di una scatola nera, trentacinquemila lire. Sentivo di avere tra le mani un brandello di verità su cosa sarei diventata, su cosa avrei fatto: non mi sbagliavo.
Ho sempre amato leggere e letto sin da piccola, è vero. Ma con lui, la lettura è diventata una passione, una ricerca forte e incrollabile. Con lui e grazie a lui, mi sono trovata su un percorso di letture incredibili, visto che a Dostoevskij si ricollega, volontariamente o no, buona parte della letteratura che seguì, non soltanto russa.
Viene prima la passione per la lettura o quella per la scrittura?
Ogni buon scrittore dovrebbe sapere che senza la prima passione, la seconda non ha senso di esistere. Qualcuno mi disse, molto tempo addietro: se vuoi scrivere bene, devi leggere tanto. E non credo di aver avuto consiglio più giusto in tutta la mia vita. Leggere è fondamentale, deve essere il centro del tuo mondo se intendi scrivere. È fondamentale comprendere dalle parole degli altri come funziona la mente umana, in quanti modi si può raccontare una storia, con quante e quali parole, con quanti occhi è possibile guardare la stessa cosa e dire parole completamente diverse. Chi scrive senza leggere sta cercando di farsi amare senza aver amato e non vi è cosa più tossica di questo. Mi capita spesso di leggere, per via del canale, opere di scrittori emergenti. E me ne accorgo subito. Lo capisco in poche righe, quando dietro la loro scrittura non c’è lo straccio di una lettura. Quando manca la radice, il solido tronco, il piede immobile della montagna sotto il muro di parole che hanno tirato su. Se non leggi, scrivere non è per te. Leggere viene prima di ogni altra azione.
Leggere aiuta a formarsi, a tenere sveglia la mente, a costruire e argomentare i discorsi più banali nel modo più efficace. Leggere aiuta a guardare alla realtà noiosa e deludente, aggiungendo sensi, significati, fantasmi invisibili ai più. Aiuta lo scrittore a capire da dove si sta venendo e dove si vuole andare. Ed è semplice accorgersi di questo: basta provare a leggere poche paginette di un libro che amiamo e poi, subito dopo, mettersi a scrivere qualcosa di nostro. Le parole, smosse nella nostra mente dalla lettura precedente, fluiranno sul quel preciso sentiero, sgorgando come da una sorgente inarrestabile. Leggere è il processo numero uno di ristrutturazione del nostro cervello, un elisir di giovinezza e di lestezza intellettuale, un modo di tenere oliata la macchina che ci domina e ci spinge avanti nel quotidiano o durante la notte, quando sogniamo.
Ti capita mai di fare tsundoku, acquistare cioè compulsivamente libri senza però poi trovare il tempo o la voglia di leggerli?
No. In generale, leggo tutto ciò che acquisto e specialmente in questo ultimo periodo, devo farmi bastare il poco che compro perché i costi dei libri e la difficoltà – per me – di reperirne nelle lingue che conosco, stanno diventando grossi problemi. Leggo molto in fretta, per fortuna, quindi il tempo riesco a sfruttarlo bene, anche se poco. Vorrei, invece, comprare molti più libri, questa è la verità, mi basta vederli per avere subito voglia di sfogliarli.
I dati Istat evidenziano come oltre il 60% degli italiani non legga: quali a Tuo avviso le cause e quali le possibili soluzioni?
La mia soluzione parte, naturalmente, dalla scuola e dai suoi errori in merito. Dobbiamo smettere di imporre la lettura come compagna dello studio. Sino a che le due attività saranno presentate come gemelle a ragazzi giovanissimi, nel pieno della loro esistenza e presi dall’eros vitale in attività che non prevedono lo starsene fermi e seduti a testa china sui quaderni, la lettura sarà sempre odiata. Conoscono persone, alcuni amici e conoscenti anche, che mi hanno confessato di aver ripreso a leggere solo da adulti, grazie alla passione infusa dai miei video o da video e conferenze di grandi e abili divulgatori (penso ad Alessandro Barbero su tutti). La mente umana ha fame di storie, di storia, di racconti e a questo ci erano già arrivati gli antichi popoli e non si vede come dovrebbe essere diverso oggi. Siamo sempre esseri umani, anche se ci siamo complicati la vita rispetto a ieri. Il problema è l’associazione con lo studio: la mente umana di un adolescente non è ancora pronta, biologicamente, a piegarsi a comandi e a razionalizzare tempo e spazio in virtù dello studio. Questo non vuol dire che nessun adolescente sia in grado di studiare, altrimenti non ci sarebbero alunni con buon profitto nell’intero mondo! Vuol dire, però, che la mente di un ragazzo giovane, in quella precisa fascia d’età, non è naturalmente spinta all’autodisciplina.
Una farfalla che vola nel giardino sarà sempre più interessante dello studio di un qualsiasi argomento, anche del più interessante per il soggetto. Per questo, imporre lo studio resta importante per la formazione – per quanto ammazzi il più delle volte la creatività nei modi in cui è fatto (opinione, naturalmente, basata sulla mia esperienza) – ma la lettura in questo non deve essere coinvolta mai.
Mai più assegnazione di letture non scelte dallo studente, mai più imposizione di lettura di classici datati che hanno forti motivi storici per essere studiati, ma zero vitalità interna per essere letti con amore. Basta Manzoni e compagnia cantante. Basta. E lo dico da umanista e amante del mondo delle Lettere. Basta. Questi libri non sono fatti per un ragazzo, la scuola dell’obbligo non è il luogo ideale per comprendere queste letture, affrontate tra l’altro a orrendi brandelli insanguinati. La scuola deve affrontare la lettura come piacere, in primis, come comprensione del testo, come arma di forza. Bisogna dissociare l’idea che leggere significhi leggere i Promessi Sposi, e prendo questo romanzo come esempio su tanti che potrei farne di letture imposte a scuola.
Bisogna dissociare, nella mente del giovane, l’idea che la lettura significhi lo studio di libri incomprensibili che non hanno alcuna attinenza col presente. Perché se non si dissocia subito questa idea, ma le si fa scorrere una a fianco all’altra senza grazia, resterà impressa nella mente di un ragazzo l’idea che leggere significhi vivere esperienze noiose e pesanti, così come fu quando si lessero quei libri classici a scuola. I giovani ignorano il piacere della lettura perché pensano che non potranno ritrovarsi in essa. Ma sfido chiunque a ritrovarsi nei Promessi Sposi!
La letteratura italiana è andata avanti. Più studio del Novecento, del Postmoderno – italiano e non – più apertura verso la letteratura straniera che ha influenzato quella italiana. Possibilità di scelta delle letture scolastiche e forte competenza in materia di letture moderne e contemporanee da parte dei professori di Italiano nei licei e negli istituti. Del resto, chi vorrà poi approfondire il proprio amore per la letteratura da un punto di vista storico, se vorrà, potrà proseguire gli studi. Non è necessario che tutti gli studenti conoscano per filo e per segno il senso delle nostre opere classiche. Dimenticheranno tutto. Provate a chiedere a giovani adulti se ricordano il quinto canto della Commedia e perché proprio quei personaggi furono scelti da Dante, o quale fu il ruolo della Monaca di Monza nella storia degli Sposi più tristi del mondo. Chiedete chi sia Laura, che ruolo abbia avuto Angelica nella vita di Orlando, chiedetelo a chi chiama i propri figli con questi nomi pensando sia stata una storia d’amore. Buchi vuoti. Pezzi di memoria cancellata. E non può che essere così, la mente ricorda solo ciò che è importante. Non per tutti questo approccio culturale può essere importante. Così come io, uscendo da scuola, non ho perso nozioni letterarie, ho perso però altre nozioni che, a ben vedere, non avrebbero fatto parte del mio percorso universitario. Ma se volessi recuperarle, so come fare. Perché io leggo. E so come farlo.
Quindi perché eliminare in un colpo di pedanteria, assieme, la memoria culturale di certe letture e l’atto del leggere? Manteniamo la seconda, vivifichiamola. La prima, da adulti, può tornare e può farlo con coscienza.
La mia soluzione prosegue, naturalmente, con quello che ravvedo essere il grande problema dell’Italia lettrice: i costi. I libri costano troppo. Maledizione. Troppo. Ce ne rendiamo conto o no? I libri sono un bene di lusso. Media costi di un libro, sempre secondo i dati di cui sopra, si aggira intorno ai 20-25 euro. MEDIA. Vuol dire che possono costare anche di più. Io sono una lettrice accanita, ma sono povera. Ho perso il lavoro parecchie volte, prima di trasferirmi, e nemmeno adesso la mia vita è diventata più agiata, anzi. Vivo interi periodi in cui non mi è possibile acquistare nulla, tranne quando ci sono forti sconti o spedizioni gratuite all’estero (ormai anche Book Depository, causa Brexit, è uscito dal mio range di possibilità).
Ricordo con rimpianto quando, a stipendio ricevuto, correvo da Feltrinelli a riempirmi lo zaino di libri, passavo lì interi pomeriggi, gli occhi pieni di stelle e di parole. Adesso, non lo faccio più. Adesso che paradossalmente sono più appassionata di prima, ho un canale da gestire e quindi anche più motivi per spaziare con le letture per incontrare i gusti di più lettori. Ma non ho soldi. Me ne vergogno e spesso mi sono sentita dire: i soldi per i libri si trovano, se risparmi sul resto. Ma io non ho nemmeno il resto. E come me, tantissimi altri italiani. Chi ha molto potere d’acquisto forse legge poco, ma legge e non può bastare a riempire le statistiche.
Il tempo per leggere si può trovare, ma non può essere infinito e in un mese oltre un certo numero di libri non si può umanamente andare, specie se si lavora e si ha famiglia. Tutti gli altri rinunciano per via dei costi. Io dubito fortemente che l’italiano medio sia così ignorante come lo si vuol dipingere, ma una cosa è certa: pensa più al pane, che alla cultura, perché è costretto. La vita di un italiano medio è una continua lotta tra burocrazia, risparmio, rabbia e invidia sociale. Per i libri non resta spazio, ma questo non vuol dire che si debba etichettare la gente subito come ignorante o disinteressata. I dati delle statistiche sono numeri e i numeri non raccontano storie. Quello lo fanno i libri e i racconti.
Io non compro libri. Vado in biblioteca quando posso, o compro dall’usato. Io sono tra le persone che non comprano, ma non sono una stupida o una analfabeta. Povertà e mancanza di attrazione per l’area culturale della nostra esistenza non vanno a braccetto a tutti i costi, ma i fatti parlano chiaro: prima la sopravvivenza, poi il resto. Se ne era accorto – in tempi molto più tragici – Stig Dagerman, nel suo libro Autunno Tedesco. Intervistando i tedeschi rimasti in vita dopo la distruzione delle loro città, a Seconda guerra mondiale finita, essi non avevano tempo per leggere, studiare, informarsi, capire che a rovinarli e portarli in quella condizione era stato l’uomo che in fondo loro avevano votato. Non avevano tempo. Dovevano trovare cibo, ripararsi dal freddo nelle loro case bombardate, pensare a un futuro senza lavoro. Criticare il nazismo? No, e perché mai? Quando c’era lui si stava bene. Mangiavo, avevo una casa. Adesso no.
Questi sono i risultati dello scarso potere di acquisto della cultura: un cane che si mangia irrimediabilmente la coda. Ergo, che calino i prezzi dei libri e miracolosamente, io ne sono certa, la lettura tornerà a prendere il sopravvento. Forse non su tutta la popolazione, del resto non la si può e deve imporre a chi ha altre passioni. Ma anche chi oggi non legge, prima o poi, troverà il suo signor libro che gli parla. Anche chi non legge mai, se sarà più facile e leggero avvicinarsi alla lettura, lo farà.
Puoi dare a chi non legge una ragione per farlo?
I libri sono persone. Nascono dalla mente di una persona, dopo lunga gestazione, come fossero figli. Sono quello che resta, nei casi migliori, di una storia umana che nessuno ricorderà. Sono quello che resta della polvere del tempo. Un libro racconta una vita, spesso più di una. Racconta strategie, pensieri, idee, possibilità. Arricchisce la nostra di idee che prima non avevamo, di pensieri che possono esserci utili, di possibilità che potrebbero cambiarci il quotidiano, talvolta la vita.
E siccome i libri sono persone, ci sono sicuramente libri adatti a noi, come lo sono le persone che abbiamo scelto di avere nella nostra vita. Soltanto che invece di scegliere un corpo, scegliamo carta e copertina – o ebook! Possiamo leggere un libro e odiarlo, come odiamo il nostro collega nullafacente. Possiamo leggere e innamorarci follemente, come accadde quella volta al liceo. Possiamo leggere e dialogare, come capita di fare con un amico, con un genitore, con uno sconosciuto sul treno.
Leggere è colmare solitudini o arricchire il proprio parco di conoscenze. Va bene per introversi ed estroversi. Va bene per chiunque. E se la storia non ti piace puoi sempre chiudere il libro e aprirne un altro. Non ti è imposta quella conoscenza, non devi farla per forza, frequentarla per forza, perché lo impone la società o l’ufficio. Leggere è un atto di grande libertà, il primo che ci serve per arrivare agli altri.
È possibile educare alla lettura? Se sì, come?
No. Educare e lettura sono due parole che nella stessa frase non possono convivere. Nel momento in cui cerchi di educare qualcuno a fare qualcosa, stai sicuro che si ribellerà e non lo farà. C’è un solo modo per portare la gente a leggere ed è dimostrare a fatti quanto sia piacevole, potente, divertente e utile. Chi legge deve raccontare. Che è un po’ quello che provo a fare sui miei social. Chi legge provi a fare appassionare, a mostrare quello che ha visto in quel viaggio, suscitando interesse e curiosità. Il dono di suscitare interesse forse non appartiene a tutti ma ci si può provare. Come gli antichi, dobbiamo metterci attorno a un fuoco e imbracciare la lira – metaforicamente! Fare in modo che le parole colmino i nostri vuoti, senza che quasi ce ne si renda conto.
Educare – io credo – sia necessario quando si parla di comprensione del testo. Ma qui sforiamo in un ambito molto diverso dalla lettura fatta per passione.
La tecnologia fatta di tablet ed e-book reader insidia il libro cartaceo: quale futuro per i libri?
L’unica cosa che insidia il libro cartaceo sono i costi. Tablet ed e-book stanno solo avvicinando lettori. Chi ama la carta, del resto, spesso usa entrambi i mezzi (come la sottoscritta) e da quando i costi dei libri sono volati alle stelle, ormai i miei pochi acquisti sono tutti digitali. Comprerei la carta se potessi, ma come ho già detto è proibitiva. Per questo, credo e spero che il digitale prenda piede quanto più possibile, perché il potere di acquisto del singolo non sia più una barriera alla conoscenza e alla cultura.
Quali provvedimenti andrebbero a Tuo avviso adottati per favorire la diffusione dei libri e della lettura?
Una totale revisione del funzionamento sul territorio delle biblioteche italiane. Dopo aver vissuto sei anni in Inghilterra e tre in Belgio, mi rendo conto dell’incredibile divario esistente. All’estero, ci sono biblioteche non solo in ogni città, ma in ogni quartiere. Sono tutte digitalmente collegate tra loro e vi si può accedere da computer o fisicamente. Barriere di accesso di natura fisica e burocratica sono state azzerate. Fare la tessera è un gioco da ragazzi. Le biblioteche sono uno dei centri culturali più importanti per adulti e bambini. Sono parte del tessuto sociale. Lo stesso non può dirsi in Italia e – ci tengo a precisare – soprattutto nell’Italia del Sud, abbandonata da tempo su più fronti, tra cui quello della diffusione della cultura. Biblioteche ristrutturate e poi chiuse, persone che per andare a leggere devono farsi chilometri per poi trovare edifici chiusi o personale impreparato e incapace, che non sa nemmeno dove trovare i libri e come. Scarsità di aggiornamento dei cataloghi. Pessimo rapporto con il mondo digitale, cosa che pesa enormemente su molti altri settori pubblici, tra l’altro.
Come si rilancia la lettura? Investendo soldi. Tanti soldi. In previsione di un miglioramento di cui si potrà godere solo tra molti anni e non nell’immediato, si capisce. Senza un piano di svecchiamento e ristrutturazione ventennale – a essere buoni – nulla potrà mai cambiare. Ci vogliono personalità imprenditoriali che abbiano messo la testa fuori dall’Italia, in grado di portare qui ciò che ha funzionato fuori. Ci vogliono menti giovani (non intendo d’età, perché ci sono giovani che sono più bigotti e ottusi di certi adulti) e non vecchie cariatidi che non sono in grado di portare al mondo altro che i loro vecchi schemi disusati del far cultura. Se potessi, mi impegnerei in prima persona per questo, ho sempre sognato di farlo. Ma sono uno dei cervelli in fuga, non a caso…
E naturalmente… bisogna trovare il modo di abbassare i costi dei libri. Edizioni meno belle, ma pragmatiche. Concorrenza onesta per la distribuzione, che pesa sul prezzo finale.
Mi chiamo Nadia Z., sono un’umanista, divoratrice di libri di ogni tipo (con particolare predilezione per fantascienza, fantasy, psicologia, letteratura russa e di guerra). Adoro vagabondare per biblioteche e librerie dell’usato di tutto il mondo in cerca di sorprese e grandi affari. Nella vita, mi occupo di editing e correzione di bozze. Svolgo anche attività di illustratrice, sia tradizionale che digitale.