
Per spiegare questo perdurante successo della mitologia classica, dobbiamo soprattutto ricordare che i miti, quelli che ci sono giunti dal nostro passato classico, costituiscono una sorta di fior fiore della cultura antica. A sopravvivere e a imporsi sono stati soprattutto i più belli, i più ricchi di fantasia, i più complessi: fra cui quelli che affrontavano problemi e dilemmi così profondamente umani da ripresentarsi uguali anche oggi. Medea, la madre assassina, resta purtroppo un personaggio della cronaca quotidiana; Oreste, il matricida, ha dato vita al primo, inquietante dibattito processuale nella storia del nostro diritto, e i giuristi ancora oggi ne discutono l’esito. E che dire di Edipo? È un patricida, un incestuoso, un mostro – ma non era affatto consapevole di commettere queste colpe. Anzi, una volta conosciuto il suo sciagurato destino cercò di sfuggirgli in tutti modi: salvo che fu proprio la sua fuga a farlo cadere in trappola, fino a trasformarlo nel “detective” che, con tragica ironia, scoprì in se stesso colui che appestava Tebe. È difficile insomma resistere all’attrazione di racconti dotati di una tale potenza, soprattutto dopo che sono stati ripresi, ri-raccontati o rimessi in scena innumerevoli volte nell’arco dei secoli passati. Certo, questa fase della nostra cultura è caratterizzata da una grande propensione verso il meraviglioso, si veda la fortuna del fantasy: e il meraviglioso costituisce ugualmente parte integrante della mitologia classica. Questo contribuirebbe certo a spiegare perché Ercole, Giasone e Odisseo continuano a ispirare anche certe serie televisive. Il che non sempre è una fortuna.
Prof.ssa Aglaia McClintock, Lei ha collaborato con il prof. Bettini all’edizione di Mythologica: in che modo il mito permane nella nostra cultura?
“Un marito, una moglie che invecchia, una ragazza giovane. Potete vedere Eracle e Deianira quasi tutti i lunedì mattina in un qualunque tribunale, come potete facilmente incontrare in un ospedale psichiatrico Medee che hanno ucciso i loro figli”, scriveva Gilbert Murray, il famoso traduttore delle tragedie, in Greek Studies. Le cronache di giornali brulicano dei personaggi del mito, e dei loro delitti e delle loro metamorfosi: Fedre che amano uomini più giovani, amanti che versano acido sui partner infedeli. Potremmo aggiungere che oggi Facebook e Instagram vantano schiere di Narcisi instancabili che godono dei propri riflessi in ogni occasione e a ogni ora.
I miti utilizzano personaggi così stilizzati da assomigliare alle figure delle carte da gioco. I personaggi agiscono secondo schemi fissi, suscettibili però di piccole, impercettibili variazioni capaci di mutarne il senso e i rapporti di forza. Nella loro stilizzazione i miti sono in grado così di adeguarsi ai tempi, possono essere anacronistici, in quanto retaggi di forme di pensiero e di gerarchie precedenti, e possono essere antesignani lasciando intravedere nuove idee e nuove forme di organizzazione sociale. La madre assassina dei figli, il viaggiatore, l’innamorata infelice, il re egoista, la moglie adultera, la regina senza esitazioni e senza rimpianti, il figlio matricida e il figlio che sposa o sogna di sposare la madre, la donna più bella del mondo, possono rivivere nel presente come hanno vissuto nell’antichità, possono essere immaginati e ri-immaginati ad libitum come i tanti giochi che si possono fare con un numero fisso di carte.
Mythologica propone 20 triadi di personaggi-temi alla base dei miti greci e delle rivisitazioni romane (ma non solo). Ciascuna coppia di studiosi li esamina da punti di vista differenti: una prospettiva eminentemente storica si confronta con le infinite rimodulazioni della letteratura, della poesia, dell’arte, della cultura di tutti i giorni. Come ha già detto il prof. Bettini, Edipo è così come ci racconta Simone Beta, lo sposo della madre che dà il nome al più famoso complesso psicologico del mondo occidentale ma, nell’analisi di Stefano Bartezzaghi, è il fondatore dell’enigmistica e anche del giallo, il capostipite di Sherlock Holmes, Hercule Poirot e chiunque sia in grado di risolvere un problema in cui qualche tassello è abilmente celato da giochi di parole, scambi di persone e falsi indizi. Circe nella comparazione filologica e puntuale di Cristiana Franco è signora della magia e dei filtri, potentissima dea femminile comune a culture lontane; la seduzione è solo un aspetto marginale delle sue prerogative. Nella rilettura di Marino Niola, è invece l’archetipo del fascino che rivive nei fumetti della Marvel come negli oggetti che intendono ammaliare senza mezzi termini. È Circe la Milady dei Tre Moschettieri e si chiama così la scarpa tacco 12 che si può acquistare su Amazon. Circe può avere l’aspetto di Silvana Mangano o essere una eroina dei videogame cui non è possibile resistere. E così Fedra rivive nel cinema con le sembianze di Melina Mercouri. Giusto Picone mostra similitudini e distanze della Fedra classica e di quella rivisitata nel film omonimo di Dassin con la sceneggiatura di Margarita Liberaki. La Fedra antica è una donna sposata che si innamora di un uomo più giovane tra i vizi privati e gli incroci sentimentali di una reggia, la Fedra moderna si muove nel jet set internazionale e nel fascino ostentato dell’alta borghesia. Franzoni in uno spin del tutto diverso dimostra che le rappresentazioni di Fedra sui sarcofagi costituiscono un modello fondamentale per la storia dell’arte italiana. E ancora Pasifae è solo una regina perversa o come suggerisce Nadia Fusini una donna sublime che non teme il proprio desiderio?
Infine nella sezione iconografica del volume curata da Nunzio Giustozzi il racconto diviene immagine e le triadi mitiche prendono forma dall’arte antica a quella contemporanea passando per fotogrammi cinematografici, fumetti, parodie e iconiche traduzioni teatrali.
Prof. Bettini, come si è evoluto il mito nel mondo classico?
Noi abbiamo la tendenza a ‘schiacciare’ i miti che ci sono giunti dal mondo antico, greco e romano, in una unica dimensione, come se si trattasse di un grande arazzo in cui l’Achille di Omero sta accanto all’Edipo di Sofocle o all’Enea di Virgilio. Quando si compie questa operazione si produce ciò che si chiama, appunto, “mitologia”, un territorio narrativo che trasforma i “miti” antichi in altrettanti racconti buoni da appunto da narrare, da dipingere o da interpretare, i quali tutti assieme formano i capitoli di un unico meraviglioso libro. Si tratta di un processo che gli antichi stessi avevano già iniziato a compiere, basta pensare a mitografi come Apollodoro o, sia pure ad un livello enormemente superiore, dal punto di vista letterario, alle Metamorfosi di Ovidio. In questo modo però si cancellano molte delle funzioni che i “miti” ebbero prima di diventare mitologia. Essi costituivano infatti racconti che avevano grande rilevanza sociale e culturale, soprattutto se li immaginiamo creati e trasmessi in società senza scrittura: di volta in volta, i miti potevano avere la funzione di ricostruire l’ancestralità di una casa regnante, di fondare le regole di un rituale, addirittura di spiegare l’origine del mondo e dell’uomo – ma anche funzioni molto più umili, per esempio spiegare perché gli uomini avevano cominciato ad indossare anelli (il primo a farlo sarebbe stato Prometeo) o come si costruisce una buona zattera (come quella che Odisseo mette insieme per abbandonare l’isola di Calipso e dirigersi alla volta dei Feaci). I miti, insomma, costituivano una sorta di enciclopedia culturale e narrativa delle società antiche. Molte di queste funzioni, naturalmente, sopravvivono ancora in secoli posteriori, anche quando le società si erano ormai arricchite ed evolute: e i miti, nelle mani di grandi poeti, diventano oggetto di creazione letteraria.
Prof. Bettini, qual era il significato culturale del mito nel mondo classico?
Penso di aver in parte già risposto a questa domanda, ma il tema è importante, posso provare ad aggiungere qualche altra osservazione. Per i Greci infatti i miti sono, in primo luogo, racconti: questo significa la parola mythos “racconto” e “parola”, proprio come i Romani definivano i loro ‘miti’ col nome fabula, appunto “racconto”. Narrazioni meravigliose, che mescolano il divino e l’umano, il quotidiano e lo straordinario, suscitando davanti ai nostri occhi un’interminabile schiera di dèi, di eroi, di fanciulle, di mostri e di altri personaggi meravigliosi. Più ci si addentra in questo fantastico mondo – attraverso l’ausilio della voce, della scrittura o delle immagini – più ci si accorge che ciascuno di questi racconti non è mai concluso in se stesso, ma rinvia sempre oltre: altri eventi, altri personaggi, altri luoghi, in un raccontare infinito che chiede solo di diventare a sua volta immagine o scrittura. La mitologia antica ha la forma di una rete, fitta di nodi intrecciati, che stringono le maglie dei racconti in un continuo gioco di richiami. Ma considerare i miti semplici narrazioni, sia pure straordinarie, sarebbe un errore. Essi non sono solo racconto, ma tradizione e comunicazione. Ecco perché, se vogliamo riscoprire la natura più autentica del mito antico, dobbiamo immaginarlo non come qualcosa di scritto, ma come una “parola” che viaggia, che comunica dei racconti, degli intrecci, delle verità, e poi si perde nel vento. È una parola che va per l’aria, una parola “alata” ‒ come avrebbero detto i Greci ‒ che si sparge veloce ma che, come tutte le cose alate, altrettanto velocemente svanisce nell’aria. Il fatto è che il mito è poesia, ossia una forma di comunicazione che, per gli antichi, era soprattutto parola non letta ma proferita, e insieme ritmo, musica. Questo è un aspetto centrale dell’esperienza mitica antica. Sono stati soprattutto i poeti che hanno svolto il compito di afferrare questa sorta di sapienza narrativa che circolava per l’aria, che si tramandava di padre in figlio o da amico ad amico, per trasformarla in quella meravigliosa partitura, peraltro mai interamente compiuta, che chiamiamo mitologia. Per questa abbiamo voluto che, nella Curia Iulia, i miti antichi riprendessero appunto “voce”, tornassero a risuonare nella dimensione che è loro più propria, quella della parola parlata.
Prof.ssa McClintock quali temi e suggestioni rivivono nel mito di Agamennone, Oreste e Clitennestra?
Sono particolarmente felice che il prof. Bettini abbia voluto dare spazio anche alla prospettiva giuridica nell’interpretazione dei miti. Spesso si dimentica infatti che sono i miti ad accompagnare la nascita delle istituzioni giuridiche, sociali o politiche, e che spesso nascondono indizi e spunti di riflessione su tali sistemi. La tragedia di Medea adombra le questioni che sorgono dalle nozze con donne straniere e dalla conseguente mancanza di protezione giuridica dei figli; Edipo per non contaminare con le sue azioni l’intera comunità è costretto al bando, e alla perdita della protezione cittadina, forse la più antica forma di repressione criminale del mondo antico.
In particolare la triade che mi è stata assegnata Agamennone, Oreste, Clitennestra è propriamente un mito giuridico perché narra la storia dell’istituzione del primo tribunale della storia occidentale, l’Areopago, chiamato a giudicare su un dei crimini ritenuti più gravi e inespiabili: il matricidio. Nessuno dei protagonisti è perfettamente innocente e tutti i colpevoli hanno almeno una attenuante. Oreste vendica l’assassinio del padre perpetrato dalla madre adultera, ma ha un risentimento personale verso la madre che bambino lo ha allontanato dalla reggia. Clitennestra è sì una moglie adultera, ma è anche una madre assetata di vendetta per l’uccisione della figlia, e ancora è una donna tradita che vede il proprio marito tornare con una amante prestigiosa che può mettere in pericolo il suo status di regina.
Benché la tragedia propenda per la tesi che a essere genitore sia solo il padre, un figlio che uccide la madre in Grecia continuava a fare problema. Le Erinni perseguitano Oreste producendone la follia. Apollo non è in grado di fermarle. La mediazione di Atena fonda il primo tribunale che assolve Oreste ma con votazione patta. Forse non c’è una soluzione per tanti omicidi e per tanto dolore, forse non bastano le attenuanti, ma ciò che conta è la consapevolezza che la logica cieca e meccanica dell’occhio per occhio, dente per dente, deve essere superata. La soluzione è prettamente giuridica: la polis decide di assolvere Oreste che pure ha commesso il fatto. Si rompe così la catena di omicidi, ma con dei compromessi. Le Erinni, la parte soccombente del processo, non sono felici dell’esito processuale, sembra anzi che addirittura non ottempereranno al giudicato. Invece grazie alla persuasione di Atena con difficoltà lo accettano. Le antiche dee, figlie di Notte, da esecutrici della vendetta inesorabile si trasformano in Eumenidi, nuove guardiane della salvaguardia delle norme e della pace sociale. Ecco un tema che rivive nel mondo moderno: la necessità di comprendere che le sentenze implicano spesso compromessi. Il mito di Agamennone, Oreste e Clitennestra ci ricorda che ogni decisione giudiziaria è anche una decisione politica (che assegna la prevalenza a una parte o all’altra) e che l’accettazione dei consociati è l’unica strada che apre al futuro.
Maurizio Bettini, classicista e scrittore, insegna Filologia Classica all’Università di Siena, dove ha fondato, assieme ad altri studiosi, il Centro Antropologia e Mondo antico, di cui è direttore. Con l’editore Einaudi cura la serie Mythologica, presso l’editore Il Mulino è responsabile della collana Antropologia del Mondo Antico. Collabora regolarmente con la pagina culturale de La Repubblica ed è autore di romanzi e racconti. Il suo principale campo di studi è costituito dalla riflessione antropologica sulla cultura greca e romana, spesso in rapporto con l’esperienza della modernità. Della sua vastissima produzione ricordiamo gli ultimi volumi per l’Einaudi: A che servono i Greci e i Romani? (2017) e Homo sum. Essere umani nel mondo antico (2019).
Aglaia McClintock insegna Istituzioni e storia del diritto romano nell’Università del Sannio a Benevento. Giurista e storica, i suoi studi si orientano anche verso l’antropologia del mondo antico, in particolare per quanto riguarda le interazioni fra questa disciplina e la storia del diritto romano. I suoi temi di ricerca includono la condizione giuridica dei condannati a pene capitali durante l’impero romano; la condizione giuridica delle donne con particolare riferimento al diritto successorio; le rappresentazioni iconografiche e religiose della giustizia romana. Della sua produzione ricordiamo la monografia Servi della pena. Condannati a morte nella Roma imperiale (Napoli, ESI, 2010) e per il Mulino la cura di Giuristi nati. Antropologia e diritto romano (2016) e Storia mitica del diritto romano (2020).