Myricae” di Giovanni Pascoli

«Myricae, nella sua forma ultima, include testi composti su un lungo arco di tempo. I primi nuclei («Il maniero» e «Rio Salto») sono anteriori al 1880 (vennero pubblicati per l’esattezza nel 1877, in rivista). Le poesie più recenti appartengono alla vigilia del nuovo secolo. La prima edizione risale al 1891. Contiene 22 componimenti. In quella successiva, del 1892 (che per Pascoli è la prima edizione vera e propria), i componimenti sono già 72. L’ultima edizione, la nona, è del 1911 e ne contiene 156. Il poeta muore l’anno dopo. […] Questo progressivo ampliamento da una parte segue lo sviluppo artistico del poeta, dall’altra non fa che portare il discorso sempre più lontano dall’ispirazione e dalle immagini iniziali. Il libro cresce, ma non si sviluppa. Anzi, fa l’opposto: spinge le radici più a fondo che può. «Il maniero» e «Rio Salto» appartengono a un momento giovanile in cui il sogno di evasione – sogno tutto letterario, nutrito di Ariosto e di poesia cavalleresca (si veda anche «Romagna») – è prevalente. Ma Myricae nel suo aspetto definitivo non ha più niente del sogno, e quei due fossili stanno solo a testimoniare una stagione tramontata, perfino in parte rinnegata […]. Non è neppure un caso che le due poesie più antiche vengano subito dopo «Anniversario», che, parlando della madre morta e della solitudine del poeta trentenne, sancisce una distanza incolmabile tra il presente e il passato (la sezione si intitola non a caso «Ricordi»). E va notato che, benché le più antiche, «Il maniero» e «Rio Salto» non stanno in apertura. Myricae, infatti, non è un’autobiografia lirica, ma un romanzo tragico, che reinventa l’ordine delle occasioni intorno a un trauma: l’uccisione del padre. […]

Pascoli è tutto volto a captare i moti esterni della vita. Per questo vien voglia di credere che la sua essenza stia nel rimosso e nel vicario. E non è una voglia sbagliata. Né c’è in lui amore per la vita, diversamente che in Leopardi. La commozione, in Pascoli, è sempre per qualcosa che non viene detto e resta implicito, cioè la morte. Certo, ci sono immagini positive, come quella fondamentale del nido. Ma anche il celebrato nido, in sostanza, è morte, perché è un frutto della morte. È il lutto. Per una simile ambiguità il tono di Pascoli è tanto inconfondibile, è così completamente suo, anche se può passare per posa, quando non per falsità bell’e buona. […]

La poesia di Myricae sgorga dalla coscienza dell’orfanità o più precisamente dal senso dell’ingiustizia subita. La contemplazione della natura offre palliativi utili, anche qualche compenso, ma non riesce a riparare la perdita. Piuttosto, alla fine, le dà una collocazione ancora più ampia. Solo così il piccolo mondo pascoliano diventa cosmico. […]

Pascoli ha uno sguardo sociale sulla propria vicenda. La sua poesia è un palcoscenico di apparizioni popolari, un mondo di vicende infelici, che però, gira e rigira, sono sempre la sua. Ecco perché, pur essendo un gigante, non è mai assurto a modello spirituale per gli italiani, a differenza di Leopardi o di Petrarca, che avevano un’idea non solo della propria vita, ma di quella dell’umanità intera. […] Insomma, Pascoli vede il mondo (e la letteratura) e ci vede solo se stesso e i suoi. […]

A Pascoli, dunque, non chiederemo un «sistema», ma leggeremo la sua poesia come manifestazione di una rinuncia a qualunque ideale o filosofia, anche negativa. E in questa rinuncia o inettitudine il suo individualismo esasperato si rivela segno di uno smarrimento non solo personale; di una volontà di rivalsa che avrà esiti anche fuori del suo caso particolare. […]

Myricae, anche se ha l’evidente limite di non (voler o poter) interpretare il mondo che evoca, è un libro trionfale per la coerenza con cui sa rappresentare l’ossessione della morte. Nessun altro poeta ha pensato alla morte così tanto e così normalmente. La morte, per Pascoli, è un dato dell’esistenza: è un aspetto della giornata. Perché per lui la morte è un inizio, non una fine.»

tratto da Per una biblioteca indispensabile. Cinquantadue classici della letteratura italiana di Nicola Gardini, Einaudi editore

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