“Mussolini ha fatto anche cose buone” di Francesco Filippi

Mussolini ha fatto anche cose buone, Francesco FilippiMussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo
di Francesco Filippi
Bollati Boringhieri

«Il libro che avete tra le mani – agile, a tratti giustamente canzonatorio, ma serissimo – si colloca sulla scia di una serie di importantissimi lavori che nell’ultimo quarto di secolo hanno provato a decostruire tutta una serie di “miti”, del tutto slegati dalla realtà storica, che ammorbano l’Italia dagli anni venti del Novecento, dimostrando come le loro matrici vadano cercate, appunto, alla radice. Risalendo la corrente, come i grandi storici sanno fare.

Per citare solo tre volumi ormai classici, è il caso de Il mito del bravo italiano di David Bidussa (1994), del fortunatissimo Italiani brava gente? di Angelo Del Boca (2005) e del volume dal titolo provocatoriamente manicheo Il cattivo tedesco e il bravo italiano di Filippo Focardi (2013), che ci mostra come già durante il conflitto 1940-1945 il mondo della cultura e quello della politica si fossero adoperati in uno sforzo convergente. Prefiggendosi l’obiettivo di riabilitare l’Italia sulla scacchiera internazionale, avevano riabilitato, in sostanza, il fascismo stesso, che aveva guidato il paese con il pugno di ferro nel ventennio precedente. Per aggiungere un tassello a questa incompleta ricognizione, a proposito delle responsabilità della “guerra fascista”, l’editore che ha il merito di dare oggi alle stampe Mussolini ha fatto anche cose buone aveva già pubblicato, nel 2003, una pietra miliare quale Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista, 1940-1943 di Davide Rodogno, un saggio che di balbettii giustificatori, rispetto alla guerra di aggressione fascista, non ne aveva. Molti dei volumi che di recente hanno contribuito a smascherare le menzogne del e sul ventennio li trovate qui nella bibliografia e nei riferimenti mirati: da La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista di Guido Melis (2018) a Il fascismo dalle mani sporche. Dittatura corruzione affarismo (a cura di Paolo Giovannini e Marco Palla, 2019), da Il massacro di Addis Abeba. Una vergogna italiana di Ian Campbell (2018) – un volume che l’autore di questo libro ha fortemente voluto portare in Italia – ad alcune delle ultime opere di Emilio Gentile, va ribadito come gli storici, costantemente ripresi in queste pagine, abbiano prodotto un incessante lavorio di demolizione del “mito” del fascismo buono. Ma, come si dice, non c’è più sordo di chi non vuol sentire.

Quando, mesi fa, Francesco Filippi ha inviato la «breve raccolta di bufale fasciste» ai soci fondatori dell’associazione Deina, si trattava di un agile vademecum di 35 pagine per i tutor che ogni anno accompagnano con noi migliaia di ragazzi sui luoghi della memoria europei. Era uno strumento educativo, efficace e tagliente, che in poche parole e senza fronzoli dava alla nostra squadra di formatori elementi conoscitivi volti a smontare, fonti alla mano, le idiozie che continuano a circolare sul ventennio. Come qui scrive Francesco nei ringraziamenti, l’input era arrivato proprio da uno di loro, Giosuè. L’idea di farne un libro, partendo da quella che abbiamo prontamente definito “La Matrice”, è corsa così in parallelo al dibattito scatenato dall’uscita del criticatissimo Istruzioni per diventare fascisti di Michela Murgia e del romanzo documentario di Antonio Scurati M. Il figlio del secolo che, ancora una volta, provocava nel paese una serie di reazioni – perplessità ed elogi, entusiasmi e isterismi – le quali, più che rivolte al volume in sé (primo di un’annunciata trilogia), sembravano agitarsi intorno al Capo, al suo irrisolto collocamento nella storia d’Italia, al suo costante difendere un ruolo tutto sommato di prestigio, di presenza statuaria, di ragion d’essere in un paese che oggi di nuovo si fa abbindolare dalla forza seduttiva dell’“uomo forte”, inseguendo «balle» e «leggende» – riprendo lemmi scelti da Francesco – che riabilitano Mussolini e il suo operato. Perché «pensare un ipotetico passato positivo», ci mette in guardia Francesco, «lascia una speranza nell’animo di chi è scontento del proprio presente».

«Molte delle bufale sul fascismo», scrive ancora Francesco in apertura di questo libro, «nacquero dal fascismo stesso», ed è questo, credo, il fil rouge che tiene insieme ogni suo capitolo. Il problema, al di là delle giustificate preoccupazioni per le derive autoritarie del presente, è che il fascismo, quell’«oggetto dotato di tratti peculiari» non esattamente replicabili, è un’esperienza conclusa, finita. Come ha sottolineato efficacemente un articolo de «Linkiesta», […] la questione di fondo, però, «è che non se n’è mai andato» per davvero.

C’è da dire che, naturalmente, il fascismo aveva fatto di tutto per evitare di essere smascherato. Nel 1925, ad esempio, aveva introdotto il reato di «offesa al Duce» – vulnus che insospettabilmente torna, di tanto in tanto, di attualità –, che puniva i colpevoli con la reclusione e con una multa, reato poi riformulato nel Codice penale che aumentò la pena, stabilendo la reclusione da uno a cinque anni, e inserito infine nel Codice militare di pace, che la accresceva da tre a dodici anni. Dei circa cinquemila denunciati tra il 1926 e il 1943, oltre un terzo fu mandato al confino – il 15% dei confinati antifascisti! –, circa 300 furono condannati alla reclusione dal Tribunale speciale, e gli altri furono ammoniti o diffidati. Fu così che Mussolini «riuscì, per anni, a neutralizzare i dissacratori del mito della sua persona, ma non a sconfiggerli». Dalle conversazioni in trattoria o al telefono alle corrispondenze private, dai volantini alle scritte murali, le ingiurie contro il duce erano una litania inarginabile nel ventennio, e il regime temeva la loro diffusione. Era un’altra epoca, non c’era la rete. Ma c’era un antifascismo a più dimensioni, che dalle osterie alle “patrie galere”, dai fogli clandestini alle aule scolastiche, provava a dotare il proprio tempo – e noi posteri – degli elementi per comprendere il fascismo nella sua brutalità e nei suoi lati più meschini.

In queste pagine Francesco riprende tra le altre le opere di Angelo Tasca e Giacomo Matteotti, alle quali si possono aggiungere le riflessioni di altri pilastri dell’antifascismo, come Emilio Lussu, che sognava il tempo in cui sarebbe emersa una visione oggettiva di quegli anni, e Ferruccio Parri, vicecomandante del Corpo volontari della libertà e primo presidente del Consiglio dell’Italia libera, che nel 1964 scriveva che «è questa facilità di propaganda che ci impensierisce: questo periodico ritorno a sistemi, a ideologie di violenza, che non vogliamo e che non dobbiamo volere». Otto anni dopo, in un clima di preoccupante violenza politica, Parri ribadiva: «E discorrendo delle cose fatte e rimaste da fare, mi pareva di veder avanzare dal fondo della sala sprezzante e ghignante l’immenso esercito parafascista, l’obeso ventre della storia d’Italia, che aveva vinto, mi aveva vinto». Niente di nuovo, insomma: «l’inquinamento morale» – per riprendere ancora parole di Parri – della vita politica italiana non è certo di oggi, né lo è lo sforzo di riproporre una visione edulcorata del fascismo storico. Quello che c’è oggi di inedito, credo, è la sua tentacolare capacità di diffondersi attraverso i social media, unita a una frammentazione dell’opposizione, anche culturale.

Christian Raimo ha di recente sostenuto, opportunamente, che oggi «le idee fasciste e neofasciste sono sopravvissute e sembrano meno pagliaccesche, residuali, autocontraddittorie, violente, come invece è stato per tutti i decenni in cui l’antifascismo è stato la religione civile della repubblica italiana». Ed è vero, credo. Forse la ragione è che mancano armi come questa, da contrapporre frontalmente ai derivati postnovecenteschi della retorica fascista dura a morire, che occupano massicciamente ogni spazio delle nostre esistenze a cavallo tra il reale – i bar, i tram – e il virtuale. D’altra parte, proprio un antifascista come Giovanni Amendola, che sei mesi dopo la presa del potere di Mussolini aveva coniato l’aggettivo “totalitario” (qui adottato senza esitazioni dall’autore), in occasione delle celebrazioni della marcia su Roma parlava di «spirito totalitario», intendendo «la pratica di violenza e di demagogia, con la quale il fascismo si stava impossessando del monopolio del potere e imponeva agli italiani la sua identificazione con la nazione e con lo Stato». Uno spirito che si sarebbe reincarnato nelle forme partitiche seguite allo scioglimento del Pnf – dalla Repubblica sociale italiana al Movimento sociale italiano, da Alleanza nazionale ai partiti dichiaratamente neofascisti che ancora corrono alle elezioni – ma che, soprattutto, sarebbe rimasto avvinghiato alla mentalità di una fetta consistente dell’opinione pubblica italiana. Un segmento della nostra società difficile da censire ma presente in centinaia di migliaia di like e condivisioni, spesso vittima di un sortilegio che replica all’infinito la propaganda fascista, vestendola di nuovi abiti […] ma che, in fondo, altro non è che l’immagine del Mussolini dipinto in maniera convincente da Antonio Scurati, e che tutti conosciamo. Un uomo che «annuisce con il capo a ciò che lui stesso ha detto». Nell’Italia di oggi, e lascia sgomenti ammetterlo, ci sono centinaia di migliaia di persone che esprimono il loro apprezzamento e condividono compulsivamente balle colossali, balle che il fascismo mise in circolazione nella prima metà del secolo scorso, intestandosi risultati altrui o truccando la realtà. E proprio ora che serviva un manuale di autodifesa, questo manuale è arrivato – ce lo avete tra le mani.

Non è questa la sede per ripercorrere la genesi, attraverso la storia della memoria pubblica del ventennio, di tutte le menzogne che Francesco ha scovato pazientemente in rete turandosi il naso […] Lascio a voi lettori il piacere – perché sì, seguire la prosa e l’argomentare di Francesco è puro piacere – di sprofondare nel debunking delle “bufale” sul fascismo e nella graduale scoperta delle loro ovvie origini (il fascismo stesso, appunto), ma lo faccio consapevole del fatto che Mussolini ha fatto anche cose buone è già un “classico”, è una guida, è il risultato di una rara capacità di fare cultura “alta” a partire dalla concretezza dell’esperienza. Della ricerca, dello studio, della scrittura e del confronto con il reale. Un libro nato da una “Matrice” educativa che mi auguro diventi a sua volta il cardine per una solida presa di coscienza dei disastri che una tragica esperienza come il fascismo ha creato, per cerchi concentrici, su tutto il pianeta. D’altra parte, come sosteneva lo stesso De Felice nel difendersi dalle accuse di “giustificazionismo”, «i fatti sono assai più eloquenti e persuasivi delle filippiche di certo antifascismo da comizio e di tante schematizzazioni che fanno acqua da tutte le parti».

Nelle prossime pagine annegherete nei “fatti”, ricostruiti con precisione inattaccabile e quasi maniacale, anche se c’è da dire che sì, certo, il fascismo ha fatto anche “cose buone” – anche per i nostri parametri, a voler esagerare un po’. Sarebbe fantascienza se in vent’anni non le avesse fatte, no? Anche un orologio rotto, dicono i saggi, segna l’ora giusta due volte al giorno.»

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