“Movimenti urbani” di Carlotta Caciagli

Dott.ssa Carlotta Caciagli, Lei è autrice del libro Movimenti urbani edito da Mondadori Università: in che modo gli spazi urbani hanno favorito, nel tempo, la proliferazione di forme non istituzionali di politica dal basso?
Movimenti urbani, Carlotta CaciagliIn tre modi principalmente. Innanzitutto, la città è una delle forme di organizzazione della vita collettiva che ci caratterizza da millenni, una dimensione in cui -di necessità -prendono forma e sostanza le relazioni sociali, politiche ed economiche e in cui si dispiega la vita pubblica. Nello spazio urbano i conflitti sono visibili in maniera plastica e questa plasticità li rende da un certo punto di vista più immediati. In secondo luogo, su scala urbana la politica perde quel carattere astratto e lontano che ha su un piano nazionale e internazionale e si traduce in scelte specifiche con una ricaduta precisa sulla vita quotidiana. Le istituzioni sono prossime, acquistano volti e nomi, sono tendenzialmente soggetti con cui è più facile avere una relazione, finanche di scontro. In ultimo, la città permette l’incontro -in uno stesso spazio fisico -di soggetti collettivi diversi che su altre scale non avrebbero avuto occasione e modo di entrare in contatto. In sintesi, la possibilità di incontro fisico che lo spazio urbano permette è fondamentale per innescare una partecipazione in prima persona, non mediata -o mediata meno -da strutture di rappresentanza e delega. Non è un caso se negli anni della crisi finanziaria successivi al 2008 (anni che molti studiosi hanno descritto come epoca della crisi politica o della post-rappresentanza) la città ha continuato a proliferare di forme di attivismo politico e sociale dal basso di abitanti che si auto-organizzano per rispondere a esigenze materiali e simboliche.

Quali diverse esperienze collettive convivono sotto l’espressione movimenti urbani?
Moltissime, tanto che è spesso difficile distinguere quali soggetti possono essere legittimamente definiti movimenti urbani e quali no. Tuttavia, i movimenti urbani non devono essere pensati come una categoria, o un sottoinsieme dei movimenti sociali: sono piuttosto un approccio analitico. Nel libro cerco di mettere insieme l’utilizzo che geografi critici, sociologi e politologi hanno fatto del termine e i tipi di soggetti collettivi a cu il termine si è applicato. Se guardiamo a tutta questa letteratura con una prospettiva d’insieme ci rendiamo conto di quanto questo concetto possa essere utilizzato solo in modo dinamico e fluido e di come non esista un discrimine che permetta di separare cosa è movimento urbano da cosa non lo è. In linea generale possiamo definire movimenti urbani tutti quei soggetti collettivi che rivendicano un modello di sviluppo alternativo a quello in forza, e hanno un potenziale trasformativo rispetto alle categorie di “urbano”, “abitare” e “cittadinanza”. Dunque, non basta svilupparsi su scala locale per essere definiti movimenti urbani, ma è necessario agire la scala urbana come micro-cosmo per contestare e cambiare un modello di organizzazione sociale più ampio. Al netto di questo obiettivo di fondo però i movimenti urbani differiscono per le rivendicazioni specifiche -si può mobilitarsi per la casa, per l’accessibilità allo spazio pubblico, per contrastare la privatizzazione di un’area urbana o contro grandi opere ed eventi -e per le loro forme organizzative: molti movimenti urbani sono reti di collettivi e organizzazioni informali, ma possono anche organizzarsi come comitati o associazioni. Un’ulteriore difficoltà di categorizzazione è data dal fatto che spesso i movimenti urbani si trasformano nel corso del tempo. Ci sono molti esempi di battaglie territoriali nate con una portata locale, per esempio per impedire speculazioni edilizie in uno specifico terreno, o per bloccare la costruzione di un centro commerciale, che hanno poi sviluppato critiche di sistema più articolate, connettendosi anche ad altre mobilitazioni. Per questo motivo, ogni volta che usiamo questo concetto è necessario adottare anche una prospettiva storica e diacronica.

Con quali strumenti analitici i movimenti urbani sono stati approcciati nel corso del tempo?
I concetti di “diritto alla città” e “occupazione” sono stati centrali per la comprensione delle mobilitazioni urbane. Entrambe le nozioni hanno trovato un posto di rilievo nelle teorie di Manuel Castells, David Harvey e molti altri che hanno provato a sistematizzare lo studio della partecipazione politica negli spazi urbani. Il “diritto alla città” è stato, ed è tutt’oggi, uno strumento importante perché aiuta a fare luce sulle rivendicazioni dei movimenti urbani, aiutandoci a comprendere in che misura una mobilitazione veda nella città, come dicevamo prima, un microcosmo su cui intervenire per contrastare dinamiche globali. Invece, analizzare i modi e le forme dell’occupazione, una delle pratiche più caratteristiche dei movimenti urbani, ci ha aiutato a mettere ordine sulle modalità d’azione e comprendere l’impatto sullo spazio prodotto dai movimenti. Tuttavia, questi strumenti concettuali sono stati messi a punto in una fase storica caratterizzata da un modello di sviluppo di tipo fordista, molto diverso da quello tardo-capitalista in cui viviamo oggi. Perciò per molti versi hanno perso il loro potenziale esplicativo, rischiando di essere evocativi ma poco pregnanti da un punto di vista analitico. Per questo motivo nel corso del tempo la “cassetta degli attrezzi” si è ampliata e i movimenti urbani sono stati indagati anche con l’ausilio di altre nozioni. In questo senso sono stati cruciali i concetti di “azione sociale diretta” e di “bene comune” che hanno permesso di prendere in carico il ruolo della partecipazione politica dal basso in contesti urbani post-fordisti e caratterizzati da profonde crisi politiche, sociali ed economiche. Inoltre, si è andato consolidando nel corso del tempo un approccio analitico spaziale, ovvero un modo di guardare ai movimenti urbani che facesse attenzione alla relazione fra lo spazio e l’organizzazione collettiva. Lo spazio è infatti il referente principale di questi movimenti: non solo essi mirano ad avere un impatto sullo spazio, per esempio attraverso la pratica dell’occupazione, ma riconoscono anche nello spazio la dimensione privilegiata attraverso cui un modello socio-economico si riproduce. In questo senso, guardare agli spazi dei movimenti è diventata una lente di sempre maggiore rilievo.

Quali rinnovati strumenti interpretativi richiedono le trasformazioni socio-economiche di cui sono oggetto le città contemporanee?
I movimenti urbani -e la partecipazione politica più ampiamente intesa -cambiano con l’evolversi della città e, a loro volta, danno forma a questa evoluzione. Come dicevo prima, le teorie legate al diritto alla città sono state elaborate prevalentemente nel contesto della città fordista degli anni Sessanta e Settanta, nella quale le dinamiche e le lotte urbane si articolavano soprattutto attorno alla fabbrica e al conflitto capitale/lavoro. Con i processi di de-industrializzazione e un progressivo passaggio alla città post-fordista i movimenti urbani sono stati presi ad esempio di nuove tipologie di movimenti sociali. Movimenti, cioè, che non erano perfettamente leggibili (solo) attraverso il paradigma marxista classico poiché tiravano in ballo altri conflitti, come l’identità di genere o le lotte ambientaliste e animaliste. Per comprendere la portata sociale e politica dei movimenti urbani oggi dobbiamo in primo luogo comprendere meglio gli spazi urbani contemporanei e le trasformazioni in corso. Non basta più riconoscere che il paradigma neo-liberista struttura le città, dobbiamo indagare più e meglio come esso si riproduce, quali forme di disuguaglianze e quali conflitti sono in forza. Il capitalismo è in una fase molto diversa oggi da quella in cui era dieci o venti anni fa. Oggi il ruolo della finanza negli spazi urbani è pervasivo e riguarda la costruzione fisica dei luoghi così come il funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, i processi distributivi sono addirittura più cruciali di quelli produttivi per lo sviluppo urbano. Questo apre spazio a nuove sinergie nonché a nuove rivendicazioni. Per fare un esempio, nell’economia gig il luogo di lavoro spesso coincide con la città: basta pensare ai ciclo-fattorini, ai driver di Uber, al precariato intellettuale che attraversa in modo sempre continuo e costante i co-working e gli spazi urbani. Questo apre alla possibilità di nuove sinergie fra contesti e lotte diverse che sono ancora da esplorare. Sebbene negli ultimi anni gli studi sull’interrelazione fra capitalismo digitale e città stiano proliferando, ancora molti nodi problematici devono essere sciolti della relazione fra lotte urbane, spazi urbani e capitalismo.

Carlotta Caciagli è dottoressa di ricerca in Scienza della politica. Si occupa di trasformazioni delle città e partecipazione politica nel contesto del capitalismo digitale. Le sue ricerche hanno riguardato i movimenti sociali e le politiche abitative. È co-autrice del volume collettaneo Popolo Chi? Classi Popolari, periferie e politiche in Italia, oltre che di saggi e articoli su riviste internazionali.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link