
La ricostruzione dei fatti sulla strage efferata della scorta in via Fani, la lunga prigionia dello statista democristiano e la sua sconvolgente morte, è stata insomma il frutto di un compromesso volto a formulare una “verità accettabile” sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti.
Tutto questo ha innescato un processo di rielaborazione, molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990), su che cosa era veramente accaduto durante l’«Operazione Fritz», il nome in codice dell’«operazione Moro». Il 1990 non è una data casuale, visto che nel 1989 è caduto il muro di Berlino.
Purtroppo anche in molte recenti rievocazioni in occasione dei quarant’anni del rapimento è stata riproposta la vecchia narrativa, messa a punto come un abito su misura. Allora, la sola «verità» dicibile, ma oggi del tutto insoddisfacente.
Quali verità sono emerse dalla nuova Commissione d’inchiesta Moro 2 presieduta da Giuseppe Fioroni?
Sono sconcertanti. Quattro anni di lavoro, migliaia di documenti desecretati degli archivi dei servizi segreti italiani, centinaia di nuove testimonianze, nuove prove della Polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri hanno rivelato molti nuovi e sorprendenti elementi.
Qualche esempio.
- Moro guardò negli occhi chi gli sparava, NON morì sul colpo, ma in modo atroce, dopo una lenta agonia.
- Il suo carceriere trovò rifugio da latitante in una palazzina dello IOR, la banca vaticana, e nello stesso complesso con certezza era stata allestita la sua prigione almeno per i primi dieci giorni.
- L’omicidio ben difficilmente è potuto avvenire nel box di via Montalcini 8, così com’era nel 1978.
- Almeno 2 terroristi della Rote Armee Fraktion potevano essere in via Fani.
- Fu un imprenditore israeliano che fornì i 10 miliardi del riscatto consegnati a Paolo VI.
- Le fazioni palestinesi giocarono un pesante ruolo nella trattativa. Durante il sequestro passarono alle BR documenti top secret della NATO.
- Infine emerge uno scenario internazionale del delitto che i brigatisti hanno sempre negato.
Quale scenario internazionale?
L’operazione FRITZ avvenne grazie alla capacita militare della Rote Armee Fraktion tedesca e alle complicità dei gruppi palestinesi più estremisti, quelli controllati dalla STASI, il servizio segreto della Germania Est. Nel libro c’è la prova che il rapimento Moro fu anche un’operazione di spionaggio, visto che transitarono alle BR e da esse all’Est documenti originali sui piani della struttura GLADIO, lo Stay Behind italiano.
Nel libro trattate anche del ruolo ambiguo di ambienti vaticani.
Questo è un aspetto storicamente molto importante. Sono tre i capitoli del nostro libro in cui si approfondisce il ruolo della Chiesa, un ruolo in chiaro-scuro, in questa vicenda, in cui si staglia la figura di Paolo VI. Nel capitolo “In Excelsis”, si parla della scoperta della prima prigione di Moro, almeno all’inizio del sequestro. Per quanto questo possa sembrare incredibile, c’è una documentazione inoppugnabile che dimostra che la sua prima prigione è stata alla Balduina (un quartiere a nord della Capitale), all’interno di uno dei palazzi di proprietà dello IOR, la cosiddetta banca vaticana, ora al centro di un processo, iniziato il 9 maggio scorso, per una ipotesi di peculato al momento della vendita, avvenuta trent’anni dopo.
Ci sono inoltre le prove concrete che il carceriere di Moro, Prospero Gallinari, è tornato in questo stabile nell’autunno del 1978 dove si è rifugiato per diverse settimane in seguito alla scoperta del covo milanese di via Monte Nevoso, che lo costrinse ad abbandonare altri appartamenti delle Brigate Rosse di cui aveva la disponibilità. Un palazzo, quello dello IOR, considerato estremamente sicuro, quindi, per Gallinari.
Un altro capitolo, “La villa pontificia”, dà conto dell’impegno di Papa Montini, che sarà proclamato santo ad ottobre, per salvare l’amico Moro. È la prima volta che viene dimostrata quella che è stata definita la “trattativa vaticana” per salvare Moro. Ciò avvenne anche mediante la disponibilità al pagamento ai brigatisti di dieci miliardi delle vecchie lire, messe a disposizione da un imprenditore israeliano, che nel libro viene individuato con nome e cognome e come fosse il “buon samaritano” della parabola evangelica.
C’è da notare infine che l’ultimo latitante condannato per il sequestro Moro è Alessio Casimirri, figlio del numero due della sala stampa della Santa Sede per un trentennio sotto tre pontefici: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI (fino al 1972). Casimirri non ha mai fatto un giorno di prigione, nonostante sia stato condannato in via definitiva a 6 ergastoli. E dai primi anni 80 è riparato in Nicaragua, dove è rimasto indisturbato, grazie alla protezione dei sandinisti legati all’attuale presidente Daniel Ortega, protagonista in questi giorni della violenta repressione nel suo Paese, che tanto preoccupa Papa Francesco e l’episcopato nicaraguense.
A questo proposito, voglio aggiungere che Papa Bergoglio ha dato una nuova spinta alle nuove indagini della Commissione Moro facendo testimoniare nel 2015 l’allora nunzio apostolico Antonello Mennini. Perché, come scriviamo nel nostro libro, «Papa Francesco ritiene che l’emergere della verità su alcuni fatti importanti della storia italiana possa contribuire alle riforme vaticane».
Cosa impedisce di giungere alla verità dei fatti nel caso Moro?
Il fatto che per il codice penale italiano il reato di strage NON si prescrive e alcuni protagonisti sono ancora vivi.