“Moda e religioni. Vestire il sacro, sacralizzare il look” di Alberto Fabio Ambrosio

Prof. Alberto Fabio Ambrosio, Lei è autore del libro Moda e religioni. Vestire il sacro, sacralizzare il look, edito da Bruno Mondadori: innanzitutto, cos’è la Moda?
Moda e religioni. Vestire il sacro, sacralizzare il look, Alberto Fabio AmbrosioLa moda si può intendere in due sensi: il primo è quello delle tendenze nel campo dell’abbigliamento. Queste tendenze si rendono note con le nuove collezioni delle grandi marche, soprattutto di quelle che costituiscono l’Alta moda. Vi è un senso più ampio, quello delle tendenze nella società, tendenze che coinvolgono tutti i settori dal design alle idee fino alla politica. Ora, la moda nell’ambito dell’abbigliamento è un fenomeno sociale che, per come oggi lo conosciamo e lo definiamo, inizia all’inizio dell’epoca moderna, quando alle corti europee, i nobili e soprattutto i nuovi nobili vogliono distinguersi per la ricchezza delle multiformi fogge dei loro abiti. Da quel primo senso di moda, dove gli abiti costituiscono un nuovo linguaggio sociale, si passerà alla fine del XIX secolo e lungo tutto il XX secolo ad una nuova fase della moda che diventerà un segmento importante dell’economia di mercato ed anche capitalista. Non si può più pensare un semplice vestito, oggi, senza metterlo in relazione con questo segmento artigianale ed industriale. La moda è un sistema economico, prima ancora di essere quel vasto fenomeno estetico che invade le vetrine delle città e delle metropoli, si riversa nella carta patinata delle riviste di moda ed infine, oggi, nei social media come istagram o tiktok. La moda fornisce, alla società moderna, alla società di mercato del capitale e del liberismo, fornisce una modalità di espressione che gli è congeniale. Per quello i grandi gruppi del lusso sono tra i più importanti colossi al mondo, perché rispondono perfettamente al sistema economico mercantilista, per utilizzare un termine ormai démodé. Si acquistano gli abiti alla moda, per rimanere visibili in questa società della riconoscenza. Se non si è alla moda, cioè ricongiungibili ad una delle tendenze della moda, si è come invisibili, trasparenti. Ecco allora che la moda è un fenomeno moderno di primo interesse non solo per lo studio, ma perché attraverso lo studio si possono capire i grandi meccanismi dell’economia e dell’estetica contemporanei.

Quali punti di convergenza esistono tra Moda e religioni?
Apparentemente nessuno. Di primo acchito, quando dico che studio Moda e religioni –campo di ricerca che sto proprio costituendo insieme ad altri ricercatori – la gente mi guarda stralunata, come se avessi bestemmiato. Eppure, quando inizio a precisare i contorni della questione, immediatamente gli occhi si illuminano. In fondo, tutti abbiamo una qualche nozione di religione e se questa idea, cioè quella di religione, è stata sovente applicata a fenomeni come lo sport, mai è stato sviluppato una vera e propria riflessione della moda come religione. Eppure lo è, e forse anche più del calcio. Perché? Perché mentre si può vivere senza il calcio, non si può vivere nelle nostre società senza essere vestiti. Certo il naturismo, il nudismo hanno una loro interesse intrinseco, ma non per questo le società contemporanee saranno disposte a trasformarsi facilmente in campi di nudisti. Questo significa che ogni individuo è ogni giorno, ed anche la notte, confrontato a quell’oggetto – che non è un accessorio – cioè il vestito. Ci si veste sempre, dal primo istante della nascita fino alla tomba. Tutta la vita di un individuo trascorre vestito, salvo per alcuni in quei frangenti di spazio nudista. Quindi mentre il calcio è in fondo un momento, il vestito lo si porta sempre. Nel contemporaneo, il vestito è in binomio con la moda. Quindi se la moda è il dio delle apparenze, o la dea delle apparenze come la definiva lo scrittore francese Mallarmé, non si può relativizzarla. Mi spiego: per tutti coloro che sono indifferenti alla moda ed al modo di abbigliarsi, per questi sono toccati dalla moda nel senso che dovranno pure acquisire di tanto in tanto dei vestiti. Ebbene questi, di qualunque provenienza siano, sono stati prodotti dal sistema moda. Quindi anche gli indifferenti, pur inconsapevoli, sono all’interno del sistema moda. Altra situazione è per coloro che vivono di quel sistema. Se sono nella creazione e nella produzione, tutta la vita professionale sarà accaparrata da quel mondo. Per gli altri, si tratta di chiunque sia attento all’acquisto dell’abbigliamento di moda, fino a farne un vero e proprio idolo…. Eccola qui la relazione vera: la moda contribuisce a costruire un mondo – forse illusorio -, ma sicuramente magico. La moda costruisce intorno ai vestiti alla moda un’aurea di sacralità. Quindi la moda, il sistema moda, è prima ancora di essere un sistema industriale o un sistema di estetica delle apparenze, è un sistema di credenze. I fashion addicts sanno che seguono una marca piuttosto che un’altra come si venera un idolo. Ma forse che i creatori artistici di una marca non sono considerati come dei veri artisti e forse ancor più dei santi da venerare per offrire al comune mortale.

Quali sono le principali dottrine e i rituali della Moda?
Per quanto riguarda la dottrina, senza riprendere tutto il cuore del libro, vorrei citare la novità. La moda si fonda sul mito della perenne ricerca della novità nell’abbigliamento. L’individuo moderno esce dalla noia con il cambiamento costante delle proprie apparenze. La moda, tra gli altri motivi, è la produzione continua della novità, dell’eccesso anche. Ecco tutta l’idea della novità viene in qualche modo dalla religione cristiana e dall’orizzonte ebraico. Il cristianesimo si è andato costituendo intorno all’idea di novità. Tutto nella fede cristiana è illuminato dall’idea che il Salvatore sia la novità assoluto e che la novità assoluta sia la salvezza. Ecco la moda è il modo moderno, secolarizzato, nello spazio laico di far vivere la convinzione che la novità è salvezza. Le collezioni sempre più frequenti, dalle classiche quattro ogni anno, i creativi sono in permanente stato di dover pensare nuove collezioni. E questo perché l’individuo moderno ha bisogno di cambiare in permanenze di apparenze, ma anche di cose ed oggetti. A maggior ragione allora l’abbigliamento. La dottrina più importante della moda, eppur non scritta, è quella della novità e del limite da valicare ad ogni nuova collezione. Il rito più frequente mi sembra proprio quello dell’acquisto dell’abbigliamento alla moda. L’acquisto è il modo più sicuro per poter praticare il sacrificio ed il senso di sacrificio nelle società attuali. Si compra perché spendere è un modo per alleviare le proprie sofferenze. Tutto un filone di studi ha messo in luce quanto l’atto di acquisto sia secondo un modo moderno di vivere il sacrificio delle società antiche.

In che modo la Moda ha risposto alle sfide del mondo contemporaneo?
Rispondere positivamente alla domanda se la Moda abbia risposto alla sfide del mondo contemporaneo rischia di essere fraintesa. Rischia soprattutto di attribuire un senso positivo e solo positivo alla moda, che invece comporta molti risvolti negativi. Partiamo da una risposta positiva. La moda ha sì risposto alla modernità benché preciserei che ha riposto alla sfide della modernità, o piuttosto alla modernità come sfida, nel senso che si è imposta quasi come una delle nuove razionalità, o secondo la mia analisi nel libro Moda e religioni, come religione della modernità, dello spazio secolarizzato, scristianizzato. Nel “vuoto” di senso veramente spirituale e di tradizioni religiose, la Moda è riuscita a colmarlo. L’ha colmato perché la Moda non fa altro che ripercorrere quello stesso tracciato che era appannaggio unico delle religioni. Per esempio, l’idea della novità nella moda perpetua l’idea della novità nell’incontro con il Cristo salvatore, nel caso del cristianesimo. Nel libro spiego anche per l’islam quale sia stato il trattamento per la novità. Poi vi sono i riti dell’acquisto, e ancor di più delle sfilate che canalizzano il desiderio di essere visti, come il buon credente spera di compiacere a Dio. In altre epoche, per far paura al credente si diceva “Dio ti vede”, anche nell’intimità. Ecco la Moda si è sostituita e si dice adesso: tutti ti guardano come sei vestito/a. Ora se sei vestito secondo altri canoni di quelli della moda, sei out, non appartieni al mondo dei forti. In questo senso la Moda è vettore potentissimo di senso (vero senso?) per gli individui della modernità individualista. Però la Moda non ha risposto alle sfide della modernità canalizzando verso quel che l’individuo ha di più profondo, perché ha ricalcato invece le tendenze talvolta degenerandole. Pensiamo a tutto lo sfruttamento nell’ambito lavorativo che le marche e le grandi marche producono nonché l’inquinamento della terra. Ecco la moda non è virtuosa in questo senso. Anziché rispondere in controtendenza, talvolta è proprio nella tendenza più bieca di un certo capitalismo neoliberale che essa risponde. Il senso che dà la moda è nell’estetica, sì ha saputo emancipare la donna, le donne, ma non completamente. Le donne si sentono veramente più libere dal momento che possono portare la minigonna o il décolleté, allorquando questi diktat vengono ancora dalla società patriarcale, dagli uomini? In questo senso, tanta parte del sistema moda potrebbe ancora essere un fenomeno espressione di una cultura maschilista. La moda modesta, timidamente, ha tentato e tenta di dare altri segnali, ma non necessariamente riuscendoci. Certo è ben meglio che le donne possano portare le minigonne, ma la domanda di fondo permane : le donne si sentono davvero libere di vestirsi e di sentirsi vestite come meglio credono? Intervistandole, sembra proprio che non sia così. Ecco la moda è ambivalente, anche laddove è stata una risposta alla modernità.

Come si articola l’etica della Moda?
L’etica della moda è un capitolo a parte, sto scrivendo in questo momento un nuovo volume. Perché un conto è la moda etica, cioè la serie di indicazioni per l’acquisto responsabile e ancor più – teoricamente – per la produzione etica e responsabile, ma la mia domanda di fondo è se la Moda in quanto tale possa diventare un segnale per l’etica contemporanea. Sì avrebbe tutti i dispositivi per mostrare che un’industria possa essere etica, che si possa addirittura pensare che la Moda diventi un segno etico nel mondo contemporaneo, ma è necessaria una trasformazione profonda, degli individui che producono e che comprano, delle imprese che creano, producono e diffondono e al contempo del consumatore finale che vuol far parte di questa catena positiva. Siamo distanti, molto distanti dal fatto che la moda sia etica.

Quali prospettive, a Suo avviso, per la Moda?
Il futuro della moda ha due prospettive, quello di una moda etica che sappia prendere sempre più parti di mercato. Ma rischia questa di essere ancora un’utopia dei tempi presenti. Però il segnale è dato alle marche, alle grandi marche che se non cambiano ritmo, non danno altri segnali, le nuove generazioni non saranno più disposte ad un acquisto irresponsabile. Mi si lasci dire che la Moda ha bisogno di una conversione, non tanto religiosa ma interiore. Come oltrepassare la novità che è sempre stato il mito della moda se non essendo attenti a quel che capita nel mondo? È possibile acquistare per cifre stratosferiche prodotti che si sa bene non corrispondono minimamente al costo, maggiorato foss’anche di un buon utile. Qui si parla di uno a dieci: è giusto vendere sogni ed illusioni, quando a poco più di mille kilometri delle capitali della moda, cioè in Ucraina, si combatte da più di un anno una guerra e dopo quella se ne troverà un’altra? È giusto aver creato l’illusione di un’Alta moda accessibile a tutti, quando le disuguaglianze permangono, e non solo a livello di contabilità finanziaria? La moda ha creato – e questo è probabilmente un’ambivalenza che si porta dietro dalla sua nascita -, l’illusione di poter essere tutti uguali, quando invece la sociologia ci insegna che non è così. La sfida della moda è di tornare a dire i rapporti sociali reali, non quelli fittizi. Non basta più un’estetica di trasgressione – che per altro non riesce più a trasgredire -, ma ci vuole un’estetica di trasgressione dell’ambivalenza stessa delle regole della moda.

Alberto Fabio Ambrosio è professore di Teologia e Storia delle religioni alla Luxembourg School of Religion & Society (LSRS) e co-direttore di ricerca al Collège des Bernardins (Parigi). Tra le pubblicazioni più recenti: Penser l’islam en Europe. Perspectives du Luxembourg et d’ailleurs, in collaborazione con L. Mignon (Hermann Éditeurs, 2021); Dio tre volte sarto. Moda, chiesa e teologia (Mimesis Edizioni, 2020); Escatologia quotidiana. The Last Judgement di Maxim Kantor (Mimesis Edizioni, 2020).

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