
È difficile parlare di un concetto unitario di giustizia nell’antica Grecia e, soprattutto, nella sua letteratura. È piuttosto proponibile l’idea di un poliedro, le cui facce rappresentano diverse idee di giustizia, che si compenetrano tra loro in un insieme armonico che attraversa i secoli. In Omero, per esempio, soprattutto nell’Iliade, sembrerebbe che il primario concetto di giustizia sia la restituzione della timé, dell’onore dell’eroe offeso. Così si potrebbe leggere la concatenazione delle azioni dei personaggi omerici, dall’offesa di Agamennone ad Achille, fino al ritorno di costui alla battaglia sotto le mura di Ilio. Sarebbe altresì facile per il lettore moderno considerare l’intreccio narrativo regolato solo dalla logica della vendetta, anche se quest’ultima rischierebbe di mettere in secondo piano l’idea della necessità dell’integrità della timé per l’uomo arcaico. Questa è sicuramente una prima chiave di lettura dei poemi omerici. Non unica, però. Il lettore attento può cogliere un aspetto meno appariscente, ma fondamentale della vicenda narrata nell’Iliade: essa trova la sua conclusione pur sempre in un atto di riconoscimento dell’altro, soprattutto della sua sofferenza. Achille vede in Priamo suo padre e il vecchio re piange la sorte del figlio Ettore, che sarà la stessa del Pelide. Rachel Bespaloff (Sull’Iliade) considerava questo episodio uno dei lampi omerici di verità che illuminano un significato dell’esistenza. Sul versante della giustizia, si può sostenere che nasca con Omero l’idea che l’atto giusto sia anche il riconoscimento del dolore e dell’umanità altrui, da cui nasce un legame di solidarietà. Non si giunge al perdono, ma alla comprensione dell’altro, che è il primo passo per l’agire secondo giustizia. Tale concetto attraversa i secoli e giunge fino all’epoca di Solone, poeta-legislatore, la cui riforma è ispirata al riconoscimento e alla soddisfazione dei bisogni anche degli ultimi, per raggiungere, come scrive Nicola Reggiani (La Giustizia cosmica. Le riforme di Solone fra polis e kosmos) una giustizia armonica, specchio di quella cosmica.
Come viene rappresentata nella letteratura classica e nel mito la giustizia?
Non esiste una sola divinità della giustizia, pertanto non esiste un’iconografia unitaria. Il mito è plurale e, come sostiene Roberto Calasso, nel mito si trova un’idea e il suo contrario. Esso è non soltanto descrizione della complessità della vita umana, bensì anche tentativo di spiegazione della stessa. La prima moglie di Zeus è Themis, unica dea preolimpica a sedere in Olimpo nell’assemblea dei numi. È la dea che convoca l’assemblea, a dimostrazione che il kratos, anche nella concezione arcaica, è sempre oggetto di dialogo, quindi di logos. La figlia di Themis è Dike, la giustizia umana, che ha i caratteri di dialogicità della giustizia divina. Se, tuttavia, quest’ultima è una giustizia calata dall’alto, come suggerisce l’etimologia, Dike, sempre a livello etimologico, richiama l’idea del percorso, della strada da intraprendere per raggiungere la metà della giustizia, nella consapevolezza che la giustizia umana è sempre un’approssimazione di quella divina. Non scompare, neppure in epoca classica, la vendetta, Nemesis, venerata nello splendido santuario di Ramnunte in Attica. Nemesis è una dea duplice: da un lato punisce l’offesa in senso retribuzionistico; dall’altro, come suggerisce la radice del verbo nemein, ordina la società generando armonia. Non a caso, secondo una versione del mito, questa fanciulla asiatica di sublime bellezza generò Elena, massima armonia che al contempo genera discordia. Altra immagine della giustizia è l’assemblea, come nello scudo di Achille, a dimostrazione che l’atto giusto è quello deliberato nella dialettica libera tra pari.
Quali forme assume il conflitto fra giustizia e legge nel teatro greco?
La tragedia classica, salvo qualche rara eccezione, stando almeno al corpus giunto fino a noi, rappresenta sempre un conflitto irrisolvibile. Massima espressione di tale drammaticità del conflitto è l’Antigone di Sofocle, dove il decreto di Creonte contrasta con la legge non scritta. Tale conflitto nella modernità è stato letto come massima espressione del contrasto tra diritto umano e diritto naturale, anche se forse sarebbe più opportuno discutere sul rapporto tra editto del sovrano e leggi dell’aristocrazia, del genos come scrive nel libro Antonietta Porro. A prescindere dall’impostazione, è evidente che il conflitto non si risolve, nonostante l’intervento di personaggi ‘mediatori, come Ismene o Emone. Altro conflitto irrisolvibile è quello dell’Orestea di Eschilo: uccidere la madre per vendicare il padre o rispettare la madre? In questo caso, prevale la prima scelta e il conflitto si risolverà solo con l’intervento divino di Atena. Il conflitto, rappresentato come insuperabile, suggerisce al mondo della giustizia di ispirarsi a Emone, all’opera di cauto bilanciamento tra le parti, al fine di trovare soluzioni che possano soddisfare le posizioni confliggenti. La fecondità dei motivi espressi dal mito e dalla tragedia greca è anche alla base della ricca varietà di riscritture moderne di quelle narrazioni, come in quella, squisitamente umanistica, che Goethe riserva al personaggio di Ifigenia.
Che nesso esiste nel mito greco tra volontà divina e giustizia?
Non ci può essere una risposta esauriente e univoca a questa domanda. Come sostenuto nel libro da Mario Cantilena, nei poemi omerici e nel mito a volte prevale la volontà degli dei, altre volte questa si piega al fato. In altri casi, gli uomini si ribellano agli dei e cercano di sottrarsi al loro destino. È radicata tuttavia l’idea, come dimostra anche Esiodo, della necessità che la giustizia umana tenda al raggiungimento dell’armonia della giustizia divina.
Quale attualità si riscontra, per un giurista, nell’esperienza dell’uomo greco?
Riteniamo che, a tutti i livelli di istruzione ed educazione, e non solo per il giurista, si debba mantenere un contatto vivo con la cultura classica, essenziale per nutrire lo spirito di ogni essere umano. Sul versante giuridico sono innumerevoli le eredità dei Greci. Ad esempio: l’importanza e la tecnica dell’argomentazione; la riflessione sul male e sul dolore; la ricerca della ricomposizione e riparazione dei conflitti, e non della vendetta; il rapporto tra il “bello” e il “giusto”; l’affinamento del senso di giustizia attraverso la capacità di riconoscere e contrastare le ingiustizie; ecc. Anche la letteratura neogreca, che fu fondamentale per il risorgimento ellenico e per la nascita dello Stato greco, come ricorda nel libro Filippomaria Pontani, trasmette l’idea che, essere Uomo voglia dire, in certo qual modo, essere Uomo greco.
Questo nostro libro vuol quindi essere un invito a immergersi e navigare in quel mare greco così caro ai curatori e agli autori di quest’opera, dal quale è sgorgata la cultura nella quale tutti noi siamo immersi.
Gabrio Forti è Professore Ordinario di Diritto Penale e Criminologia e Direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (ASGP) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Avvocato iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Milano dal 1979.
Alessandro Provera è Componente dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (ASGP), Avvocato.