“Miti e magie delle erbe. L’aura di piante e fiori tra mitologia e letteratura” di Maria Immacolata Macioti

Miti e magie delle erbe. L’aura di piante e fiori tra mitologia e letteratura, Maria Immacolata MaciotiProf.ssa Maria Immacolata Macioti, Lei è autrice del libro Miti e magie delle erbe. L’aura di piante e fiori tra mitologia e letteratura edito da DeriveApprodi: quali capacità di tipo magico-sacrale sono state demandate nel corso della storia alle piante?
Molte le capacità attribuite, nei secoli, alle piante, agli alberi, ai fiori. In genere le piante germogliano, fioriscono, i fiori allargano i petali, o poi i petali cadono, con le foglie. La pianta in genere è spoglia, in inverno. E poi rimette foglie e fiori in primavera: in genere quindi le piante richiamano la vita, le stagioni. Se si vuole, richiamano la vittoria sulla morte.  Insieme, sono simbolo della caducità della vita terrena: nulla dura per sempre.

Bastoni spogli che fioriscono sono presenti in molte leggende popolari: un simbolo, un richiamo alla speranza. Una verga che, spoglia, fiorisce per volontà divina è presente anche nella Bibbia, in relazione alle vicende di Giuseppe e di Aronne.

Ma molte antiche religioni danno spazio ai fiori, ai loro colori, v. il taoismo, il calendario atzeco ecc. Nel 1800 era in voga il ‘linguaggio dei fiori’, con briciole di saggezza riguardanti il singolo fiore. Donare quindi certi fiori invece di altri voleva dire esprimere un diverso messaggio, che poteva essere di speranza, di gioia ma anche di disprezzo o indifferenza. D’altro canto esistono i sempreverdi: che ci ricordano la vita eterna.

Da cosa nasce l’attribuzione di influenze data alle piante?
Credo che sia davvero difficile dare risposta a questa domanda. Il tutto si perde in tempi troppo lontani e in luoghi altri per cui credo sia davvero impossibile ricostruire i percorsi di certe credenze. A volte, del resto, anche molteplici e contraddittorie, per cui una pianta può essere vista in più modi in diversi tempi, in diverse culture. Forse potrebbe aiutare qualche archeologo…

Quali narrazioni mitiche hanno accompagnato l’uso e la diffusione delle piante nella tradizione greco-romana?
Molte delle piante che oggi vediamo, sia piante che crescono spontanee che piante che coltiviamo, hanno precedenti nel mondo greco-romano e da lì le loro storie sono giunte fino a noi. Basti pensare ad alcune piante mitiche: l’alloro, ad esempio. Grazie alla bella statua del Bernini che vede la ninfa Dafne che fugge dal dio Febo Apollo e viene tramutata in alloro, mettendosi così al riparo dalle mire del dio, sappiamo delle origini di questa pianta. Certo Febo, dio bellissimo legato alla poesia, alla musica, eppure sfortunato nei suoi amori, non dimentica la ninfa: coinvolgerà l’alloro negli oracoli, nei rituali di purificazione. Boschi di alloro circonderanno i suoi santuari. Sappiamo dell’oracolo di Delfi, in cui foglie di alloro favorivano le profezie della Pizia. Quindi, l’alloro pianta sacra a Febo Apollo. Ma anche, insieme all’edera, a un altro noto dio: Bacco, dio dell’estasi. E anche a Zeus, il Giove romano: l’alloro indica in questo caso pace, una pace raggiunta di regola dopo la vittoria. Corone d’alloro legate a Zeus-Giove e a Febo Apollo sono ancor oggi presenti in molte monete antiche, sono incise su pietre in altri tempi già ritenute preziose. Un sempreverde, l’alloro: caro quindi anche al cristianesimo.

Ma vi sono anche altri celebri alberi, che abbiamo ereditato dalla tradizione greco-romana: come non ricordare la quercia, padre di tutti gli alberi, albero forse eterno, asse del mondo, possente? Casa dell’aquila, la quercia, sacra a Zeus, suo simbolo. Boschi di querce sacre a Zeus, speciali, parlanti, sono giunti fino a noi, v. la casa editrice voluta da Umberto Eco ed altri, La nave di Teseo. Che aveva di speciale la nave di Teseo? Era costruita col legno delle querce di Dodona, bosco sacro a Zeus: le querce erano parlanti. La nave di Teseo era parlante. Una scelta non casuale, direi, quella di Umberto Eco, interessato a querce parlanti. A parlare attraverso questa casa editrice.

Né possiamo dimenticare il pino. Oggi Roma è piena di pini, pini sono presenti un po’ ovunque, in Italia. Ma il pino ha dietro di sé una cupa tradizione; Attis si evira e muore sotto un pino. Sotto un pino morirà, angosciata, la figlia del celebre re Mida, quello che mutava in oro quel che toccava, una fanciulla invano innamorata di Attis. Una pianta, il pino, che rinvia a un universo maschile. Una pianta che ornerà il capo del dio capro Pan, quello particolarmente interessato sia ai giovani uomini che alle ninfe… Albero funerario e fallico, si lega ai viaggi, a lungo un universo maschile: di regola il pino donava il legno per le navi. Sembra favorire alcuni amori, ma in realtà la loro sorte è segnata: basti pensare al coinvolgimento del pino negli amori di Tristano e Isotta. E per fortuna il re Marco era un uomo saggio! Sotto un pino muore Orlando, il fiore dei cavalieri cristiani del re Marco di Francia; muore sotto l’ombra del pino e tende a Dio, da bravo cavaliere, il suo guanto. Pini e cipressi sono alberi temibili, legati alla morte. Si sa che anche il cipresso si erge sul tronco ed è trasparente nelle sue valenze falliche.  Un albero legato certamente alla morte -a Roma sono ben noti gli ‘alberi pizzuti’ del Verano- ma anche, in passato, a riti di fertilità, a riti iniziatici.

E, ancora, il mirto, albero sacro alla dea della bellezza e dell’amore, la greca Afrodite, la romana Venere e, in conseguenza, ad Ares-Marte. La ninfa Mirto osa sfidare Pallade Atena, la vince nella corsa. Cosa che la dea non sopporta: farà morire la ninfa. Ma dal suo sangue nascerà il fiore dallo stesso nome: mirto e morte, mirto e amore. Si tratta di una delle piante più importanti, simbolicamente, dell’antica Roma: le sue foglie ornavano la fronte degli eroi.

E potremmo continuare a lungo, anche parlando di fiori come gli anemoni, fiori che crescono selvatici nei campi, con petali rossi o violetti. Ma nascono dal sangue di Adone morente. La madre era Mirra: quella che aveva voluto ad ogni costo giacere con il proprio padre. Con l’inganno lo seduce, giace con lui più notti. Riconosciuto il fattaccio, verrà trasformata in albero: l’albero della mirra. Ma che accade? Dopo un numero adeguato di mesi -dieci, secondo alcuni- il tronco dell’albero si spacca e ne esce un bimbo: Adone, appunto. Un bellissimo Adone: e se ne invaghirà Afrodite, che lo affida a Persefone. Ma ben presto se ne pente- Le dee litigano: sarà chiamato lo stesso Zeus a dirimere la questione. Zeus decide che Adone starà 1/3 del tempo con Afrodite, 1/3 con Persefone. Per il resto, starà con chi vorrà: e Adone starà soprattutto con Afrodite. Ma tutto ciò non dura a lungo: un cinghiale ucciderà il giovane Adone. Forse, si pensa, si dice, un cinghiale inviato da Ares, geloso del bel giovane. Che sparge sangue e muore. E dal suo sangue nascono gli anemoni…

E si potrebbe continuare a lungo…

Come è stata interpretata la funzione curativa delle piante?
Vi è oggi molta attenzione agli aspetti curativi delle piante anche perché si va diffondendo l’idea di una medicina non invasiva, in cui le piante possono avere e hanno un certo ruolo. Penso, ad es. al tiglio, noto non solo per il dolce profumo delle infiorescenze e per il miele ma anche per le sue virtù sedative e calmanti, di cui già si parla nel XVI secolo. Ancora oggi il tiglio viene visto come pianta utile per lievi disturbi nervosi, per disturbi circolatori non troppo gravi. Dalla sua corteccia si ricavava già in passato un decotto utilizzato come sedativo. Non solo: è facile rintracciare consigli circa l’immersione di mani e piedi, mattina e sera, in una acqua in cui siano stati messi a bollire per una decina di minuti una manciata di tiglio e una di cerfoglio: un rimedio, si riteneva, contro le palpitazioni, il che è in linea con tutto quello che si sa e si crede del tiglio.

Ma il tiglio non è certo l’unica pianta che si ritiene abbia virtù curative. Basti pensare, ad esempio, all’aceto di calendola, fiore non difficile da trovare Vanno fatti seccare 100 grammi di fiori, per due giorni; poi li si immergerà in un litro di aceto di vino e si avrà cura di esporre il tutto al sole, per 10 giorni. Le calendole fioriscono per mesi. Chi va in cerca di calendole curative dovrà evitare quelle coltivate, cercare invece le piante spontanee, più rustiche ma molto più efficaci. In particolare, la calendula officinalis sembra abbia capacità indubbie di guarigione: e la si trova dalla primavera all’autunno. Serve contro i dolori mestruali, e in certi casi aiuta contro problemi tumorali vari. Per non dire che è molto buona nell’insalata- E può essere usata anche sotto forma di sciroppo.

Ma non possiamo dimenticare le pervinche, bei fiori che crescono spesso all’ombra delle possenti querce. Tra le tante pervinche va ricordata la Vinca minor, pervinca che fiorisce tra la fine dell’inverno e l’inizio dell’estate. Si ritiene abbia virtù toniche, decongestionanti e diuretiche. Viene utilizzata anche nelle forme di tubercolosi polmonari, per le sue capacità emostatiche. Regola la pressione, cura l’anemia. Si usa contro le cefalee, ma anche contro certi linfomi e mielomi. Migliora la circolazione sanguigna. Cosa potremmo mai chiedere di più a questo bel fiore schivo e gentile?

La ginestra inoltre, proprio la bella prorompente ginestra di leopardiana memoria, offre anch’essa fiori e foglie perché si possa combattere l’arteriosclerosi, sempre una temibile malattia, oggi forse più avvertita di un tempo per il protrarsi dell’età media di vita, Sotto forma di decotto può essere utilizzata per combattere la bronchite, ed è utilizzata anche da coloro che hanno la pressione bassa. Non solo: sembra che le sue foglie possano aiutare a disfarsi dei dolori, in genere molto fastidiosi, della sciatica. Una pianta, insomma, certamente utile e piena di pietà rispetto a tanti mali che affliggono l’umanità-

E la lista potrebbe continuare… Certamente oggi, di nuovo, le piante sono molto presenti nella medicina dolce, quella non invasiva. Fanno del loro meglio, come sempre hanno fatto, in un mondo distratto che ha a cuore valori altri, tra cui il successo, il denaro: e se per averne deve soffrire un terreno, devono cadere piante, fiori, questo non sembra essere un problema prioritario, per molti.

Quale attribuzioni ha la mandragora, la pianta dalle sembianze umane?
Si tratta di una pianta dall’alto valore simbolico, poiché la sua radice ricorda, subito, l’uomo. La si è ritenuta una sorta di panacea per ogni male, in conseguenza. A un certo punto è stata adottata, sembra, dalle streghe, per l’efficacia dell’unguento che se ne poteva trarre. Sarebbe cresciuta sotto i patiboli, dallo sperma degli impiccati (cosa più difficile, oggi) o dalla loro urina. Sembra fosse difficile estrarre la pianta dalla terra: non gradiva, emetteva, sembra, urla strazianti: e si poteva morire, sentendolo. In genere, giusto un mago esperto ardisce tentare l’impresa, un mago esperto in rituali appositi. Con molte cautele, si muoverà tenendo conto di divieti e prescrizioni: dovesse confondersi, sarebbe perduto. Tra le altre cose, deve essere disinteressato: se vuole la mandragora per cupidigia, per desiderio di dominio, la pianta lo saprebbe, lo percepirebbe subito: e il mago sarebbe perduto, nonostante la cura che può aver messo nell’abbigliamento, negli oggetti da portare con sé. Perché la mandragora può essere spietata: il malcapitato si troverebbe sull’orlo della pazzia, attratto dall’idea del suicidio.

Sappiamo che in passato alcune mandragore, colte con tutte le prescrizioni, sono state vezzeggiate, accudite, vestite al meglio: la pianta in questi casi potrebbe procurare felicità, oro, salute. Saprà persino scacciare le forze negative: non per nulla ci è stato tramandato di uomini potenti che possedevano mandragore e le tenevano care, tanto da indicare la loro presenza nella lista dei propri beni, come nel caso di Carlo V e dei celebri duchi di Borgogna. Giovanna d’Arco invece sarà accusata di possederne una…

Certo si è che di questa pianta troviamo cenni nella Bibbia e nel Cantico dei cantici…Una pianta quindi contraddittoria, presente nel bene e nel male, in forme abbastanza estreme. Presente in Niccolò Machiavelli ma anche in Boccaccio e in Sacchetti così come in Shakespeare, in Goethe ecc. Presente nelle credenze popolari, nella letteratura, come si è accennato, ma anche nella medicina -effetti narcotici- oltre che nel teatro e nel cinema.

Pianta quindi venerata e insieme decisamente temuta, secondo alcuni sarebbe stata presente nel paradiso terrestre. Forse, chi sa, potrebbe essere lo stesso albero del bene e del male. Alcuni grandi nomi dell’esoterismo sembrano convinti che gli uomini siano, inizialmente, delle grandi mandragore…

In genere ha un forte profumo, fatale in molte storie che riguardano questa specialissima pianta. Ma è in genere la radice che è soprattutto chiamata in causa. Simile all’uomo, è la radice che ha capacità soporifere ma anche fortemente afrodisiache. Molti ritengono che la pianta sia legata a Ecate, la dea dei crocicchi e delle tenebre.

Certamente, la sua è una storia affascinante.

Quali piante sono legate alle grandi religioni?
Due i fiori legati a grandi religioni: il fiore del loto e la rosa. Vediamo in primo luogo il loto, molto amato in oriente, legato agli hinduismi -uso il plurale perché si tratta di diverse credenze stratificatesi l’una sull’altra- e al buddhismo.

Il loto è un fiore molto amato ed ammirato, che racchiude in sé evidenti significati simbolici: sorge infatti dagli stagni, quindi dal fango, dalla melma. Ma i suoi bei fiori si ergono al di sopra della fanghiglia, puri, belli, intonsi. Si lasciano dietro il male. Il loto quindi rinvia alla ricerca spirituale e all’elevazione. Non meraviglia quindi che la dea della bellezza e della fortuna, la dea dell’amore Lakshmi sia raffigurata spesso in piedi su un fiore di loto. Si tratta della sposa di Vishnu, la stessa che si incarnerà nelle compagne, nelle donne amate dagli avatara di Vishnu. Dea molto amata, è presente in genere nei matrimoni indiani, dove la sposa ha in genere un broccato d’oro, che alla dea si richiama.

Il loto non riguarda solo la dea della bellezza dell’amore e della fortuna, Lakshmi, ma anche gli dei Vishnu e Brahma, di regola entrambi raffigurati seduti su un fiore di loto.

Brahmā: è il Creatore, anche se questa parola non vuole indicare una vera e propria creazione, come nel cristianesimo. Il dio, secondo la tradizione, attiva un processo i cui vari elementi in qualche modo sono già orientati, hanno già il senso della loro esistenza, come se il dio avesse messo in essere un processo in cui i vari elementi vanno nella direzione in cui devono andare. Questo dio è sposato alla dea della scienza e dell’arte, Sarasvati. Come gli altri dei hinduisti, è raffigurato con più mani, con più teste: 4 le teste incoronate, che rinviano ai Veda, i testi sacri; 8 sono le sue mani- Può essere raffigurato su un’oca. Il dio che non interviene, in genere, nelle vicende umane: e quindi rari sono i templi a lui consacrati, scarse le invocazioni a lui rivolte. Ma è un dio importante, personificazione del brahman . Di cosa si tratta? Si riteneva un tempo che si trattasse di potere magico, di forza. Poi si penserà trattarsi della forza suprema, in quanto tale superiore a tutte le altre: vicina all’atman, vale a dire allo spirito.

Vishnu: anche lui una importante divinità: è presente già nei testi vedici, e da questo i suoi seguaci desumono che si tratta del dio più importante della Trimurti (una sorta di Trinità, in cui compaiono Vishnu, Brahmā e Shiva o Śiva, il distruttore). Krisna e Buddha sarebbero sue reincarnazioni, suoi avatar: ipotesi respinta con decisione dai buddhisti.

Come si è detto, Lakshmi è la sposa di Vishnu. La stessa Lakshmi che si reincarnerà, ad es., in Rādhā, la gopi di Krisna, anche egli molto legato ai fiori di koto, come ci dicono molte sue raffigurazioni. Certamente una delle 4 braccia di Vishnu regge un fiore di loto.

Molto presenti quindi negli hinduismi – oggi si ritiene da parte di molti, in questo ambito, che le molteplici figure di dei ricoprano la credenza in un dio unico- i fiori di loto lo sono anche nel buddhismo.

Un buddhismo ritenuto credenza religiosa a sé stante, da coloro che credono nel Risvegliato. Qui il simbolismo è simile: il loto è simbolo di elevazione spirituale, di spiritualità. Sia il Buddha storico, Shakyamuni, che i bodhisattva – letteralmente, vorrebbe dire, in sanscrito: colui la cui essenza è il risveglio, l’illuminazione- sono in genere raffigurati nella posizione del loto, ritenuta ideale per la meditazione. Spesso sono raffigurati seduti su una base di fiori di loto. Inoltre diversi mandala -si tratta di diagrammi simbolici, fatti in genere con polveri di vari colori, con ore e ore di lavoro; finiti, vengono distrutti e le polveri date a chi ha partecipato: segno della impermanenza- sono fatti con disegni a forma di loto e ognuno degli otto petali riporta la figura di un bodhisattva.

La rosa si lega invece soprattutto al cristianesimo e alla figura di Maria, ritenuta vergine eppure miracolosamente madre di Gesù, quindi madre di Dio. Maria è l’Immacolata, la rosa mistica. Regina dei fiori, la rosa viene accostata alla regina celeste Maria.

Ricordiamo inoltre l’esistenza dei cosiddetti ‘rosacroce’, leggendaria confraternita del XIV secolo, da cui poi varie confraternite che, nei secoli XVII e XVIII, riterranno di esprimere un particolare tipo di pensiero. Anche la massoneria si riaggancia a questa leggenda. Il simbolo dei Rosacroce era una rosa con cinque petali, posta al centro di una croce.

Non solo la rosa si lega al cristianesimo. Ricordiamo la palma, la palma protagonista, con l’ulivo, della Domenica delle palme, in cui ramoscelli vengono benedetti e distribuiti ai fedeli per essere portati nelle case. I santi martiri in genere sono raffigurati con un ramoscello di palma. In genere suggerisce l’ascesa, con il suo tronco spoglio e la chioma verdeggiante. Nontiscordardime, piccolo fiorellino di color celeste: si dice che l’angelo che era sceso a dare nomi e colori ai fiori stesse risalendo in cielo, quando il piccolo fiore lo supplica di non dimenticarsi di lui. L’angelo, commosso, gli avrebbe donato il colore del cielo.

E si potrebbe continuare con molte altre belle storie.

Quali, tra i miti e le magie da Lei raccontate, ritiene le più suggestive?
Non saprei, in genere mi piacciono quasi tutte, le leggende che riguardano le piante. Alcune poi sono molteplici, complesse. L’artemisia, ad esempio. Un’erba da nulla, apparentemente, che cresce spontanea nei prati, che si trova sul bordo di vie non tenute bene: come a Roma, ad esempio. Eppure si tratta in realtà di un’erba che ha una sua pesante storia. Fosse una donna, si direbbe che ha un passato. Le si sono riconosciute speciali virtù con riguardo appunto alle donne: si tratterebbe di un’erba capace di regolare le mestruazioni, di impedire false gravidanze, di essere di aiuto nei parti. Più in generale agevola il cammino, i percorsi. Non solo: sembra che scacci i diavoli e neutralizzi la jettatura, un’impresa notevole.

Da dove arriva, l’artemisia? Sembra la conoscesse il centauro Chirone, il noto centauro che è anche un medico ed è il maestro di Achille, l’eroe figlio di Teti, dea marina. Difficile sapere da dove derivi il suo nome. Dalla dea Artemide, quella che ama vivere castamente nei boschi, nelle selve? Artemide che poi è anche Selene, o Diana, la luna? Qualcuno pensa di sì. Altri accostano questa erba ad Artemide regina delle Amazzoni. Certo l’assenzio è amaro e può essere temibile, con effetti nefandi. Eppure questa erbetta fa parte delle erbe di San Giovanni, quelle che un tempo venivano a coprire il pavimento nella basilica, effondendo profumi. In quanto erba di S. Giovanni, è connessa con il sole e protegge dai fuochi nemici. Tiene lontana la peste! E non solo: sembra sia stata proprio lei, l’erbetta che si è posta sulla via del serpente, cercando di rendergli difficile il percorso verso Eva.

E, visto che ci siamo, come dimenticare il melo con il suo frutto tentatore, la mela foriera di tanti guai? Bene, oggi il melo, la mela sono stati riabilitati: si riconosce un grande merito, a Eva. Senza di lei infatti non ci sarebbe stata la conoscenza, non si sarebbe messo in moto il mondo. Noi non saremmo qui, oggi, a parlare di piante, di fiori, di alberi.

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