“Metodi e protagonisti della critica letteraria” di Gino Tellini

Metodi e protagonisti della critica letteraria, Gino TelliniMetodi e protagonisti della critica letteraria. Con antologia di testi e prove di lettura
di Gino Tellini
Le Monnier Università

«Il volume intende fornire un quadro articolato delle metodologie critiche più significative e più accreditate che hanno movimentato il dibattito sull’interpretazione dei testi letterari dal secondo Ottocento fino a oggi, con riferimento particolare, ma non esclusivo, alla situazione italiana e alla letteratura italiana. Il che non significa con riferimento particolare ai confini nazionali, perché è non solo fiorente ma in energica espansione – cosa che molto ci conforta – un’italianistica anche oltralpe e oltreoceano, dall’Europa al Nordamerica.

Il ragguaglio informativo aspira a essere aggiornato all’oggi, con l’avvertenza tuttavia che la nozione di aggiornamento non coincide con la cronaca delle «gazzette» (il termine è leopardiano). Non c’è bisogno d’un ragguaglio informativo schiacciato sul presente, perché l’occhio incantato dal presente non è il più lungimirante. Certo è poco allenato al distacco dell’esercizio critico. Ma si aggiunga anche che abbiamo alle spalle una straordinaria tradizione di cultura, che sarà anche ingombrante, ma che trasmette nondimeno affascinanti bagliori di luce. Della sua sopravvivenza dovremmo sentirci responsabili.

Costante, dunque, è stato il proposito di non restare prigionieri dell’attualità, né delle mode in vigore, con i loro relativi gerghi, che anche in questo campo s’inseguono, specie negli ultimi decenni, con frenetico ritmo stagionale. Non per nulla la scelta proposta è ampiamente retrospettiva e muove da De Sanctis. Il passo della critica letteraria, per quanto in perenne rinnovamento, non va di corsa, anche se si vive in un’epoca ossessionata dal nuovo che incalza. Può servire da eccellente terapia, per curare l’impulso alla precipitazione, rileggere ogni tanto il salutare elogio della lentezza inserito da Nietzsche nella Prefazione (1886) alla seconda edizione di Aurora (1881, 18872). Invece preme sempre impellente, irresistibile, assillante il pungolo a sventolare bandiere nuove (un tempo formalismo, poi strutturalismo, semiologia indi semiotica, poststrutturalismo, decostruzionismo, studi culturali, studi postcoloniali…), con annunci di crisi e di decessi, di risorgimenti e di ritorni (neostoricismo e altri «nei»). E ogni bandiera è sventolata con la pretesa di ripartire daccapo e di rifondare il mondo, come se il mondo rinascesse ogni mattina, come se essere aggiornati significasse rinverginarsi a ogni primavera. Va da sé che al meccanismo delle mode è inerente il fenomeno della obsolescenza precoce e del cosiddetto superamento, con inevitabile discredito (in questa alterna vicenda tra vinti e vincitori) di quella che una volta si chiamava la «qualità». La quale invece è condizione essenziale che non solo non invecchia, ma non passa neanche di moda.

Evitare l’appiattimento sul presente aiuta anche a capire la strada che abbiamo percorso e che ci ha condotto al punto in cui ci troviamo. Per esempio, nel capitolo Storicismo marxista, sociologia, neostoricismo, si arriva al neostoricismo attuale, ma si parte da Lukács e da Brecht, si passa per Gramsci, si attraversa il ritorno a De Sanctis e il rinnovamento gramsciano del secondo dopoguerra (Sapegno e Salinari), si costeggia l’estetica di Della Volpe, la denuncia «francofortese» di Fortini e si tocca con Petronio (e altri) la sponda della sociologia contemporanea. L’itinerario è accidentato e non dico che la mappa sia chiarita nella sua multiforme complessità, ma almeno quel neostoricismo, da ultimo, non casca dalle nuvole.

Altrettanto costante è stato l’invito a non credere in alcuna formula risolutiva, con il proposito di indirizzare il lettore verso la consapevolezza, in prospettiva storica, della problematicità che è inerente all’interpretazione del testo letterario. Esercizio complicato, che mette in gioco cultura, letture fatte e non fatte, storia personale, temperamento, sensibilità. Un’adeguata attrezzatura tecnico-scientifica è condizione imprescindibile, ma non sufficiente. I ferri del mestiere devono essere affilati, ma da soli non bastano. I lettori ai quali mi rivolgo, lettori ideali, vorrei che considerassero i testi letterari non come un mezzo, un pretesto per più o meno brillanti virtuosismi esegetici, ma come un fine, una necessità, un piacere, un accrescimento di conoscenza e di esperienza.

Anche l’ironia aiuta a non prendere troppo sul serio la strumentazione metodologica e a non trasformare lo strumento in bacchetta magica. Perciò, alla fine del salmo, il lettore trova un formidabile, ironico e autoironico, scherzo di Umberto Eco, che si diverte in modo magistrale a parodizzare le metodologie critiche più in voga, come invito salutare a non delegare troppo al metodo e a confidare di più nelle proprie energie e nella propria libera iniziativa.

Questa antologia non vuole essere una storia della critica, però nel selezionare autori e testi ho cercato di non discostarmene troppo. Viene illustrata la molteplice tipologia dei metodi, senza dimenticare però un dato che non è accessorio, ovvero il valore del critico che maneggia gli strumenti e applica il metodo. Valore è da intendere come intelligenza interpretativa, come sapienza di scrittura (condizione primaria del vero critico), e dunque anche come tasso di leggibilità. Intelligenza critica e tasso di leggibilità sembrano due cose separate, invece sono una cosa sola e vanno insieme. Personalmente diffido di critici cosiddetti (o sedicenti) geniali che, alla resa dei conti, risultano illeggibili o indecifrabili (che è lo stesso), oppure consumabili entro una setta ristretta di adepti, di collezionisti di farfalle, nel salottino snob di pochi cultori fanatici. De Sanctis diceva, e diceva bene, che è legittimo arrovellarsi sulla pagina d’un grande artista, ma non sulla pagina d’un critico, che avrebbe il dovere di farci vedere più chiaro e di agevolarci la comprensione d’un fenomeno artistico, non di confonderci le idee. Le cose peggiorano poi se il critico invece di porsi al servizio del testo, si mette al servizio di se stesso e della sua luminosa intelligenza e sagacia (e si parla addosso, si sbava addosso, o usa un linguaggio di proprio conio, come se per leggerlo si dovesse incominciare ogni volta dal riscrivere il vocabolario).

Tra i pezzi antologizzati sono naturalmente inclusi testi di carattere teorico, specie in coincidenza di particolari aspetti riflessivi o particolari momenti di svolta concettuale (Croce, Lukács, Della Volpe, ma anche per l’arte allusiva, la critica stilistica, il neostoricismo, la psicocritica, la fenomenologia della lettura, l’estetica della ricezione, le teorie femministe e via dicendo). Però ogni volta che è stato possibile, la preferenza è andata a testi d’intervento. Non ho del resto ritenuto opportuno distinguere, volta per volta, tra una parte di chiarimento teorico e una parte di applicazione pratica, bensì ho preferito tenere intrecciati i due piani. Roberto Longhi consigliava di tenersi a «buona distanza» dalle «nevi eterne» del pensiero dottrinale, per non assiderare. Ben vengano gli studi di pura teoria, ma è bene evitare di preparare studenti che sanno tutto sui segreti delle isotopie e del paragrammatismo, sugli arcani delle più sofisticate teorie letterarie e poi, alla resa dei conti, non sanno leggere una poesia di Montale. Il rischio esiste, anche se convengo che non è il più preoccupante tra i tanti rischi che minacciano il nostro prossimo futuro. […]

Mi riterrei soddisfatto se questo libro potesse contribuire anche in minima parte a due obiettivi che ritengo fondamentali: invogliare a leggere i classici di ogni letteratura, per apprezzare il dono stupendo di bellezza e di conoscenza che sono in grado di trasmetterci (i classici non tradiscono mai, ma spesso la critica anziché avvicinarli, li allontana); insegnare a distinguere tra un buon testo e un testo-spazzatura (ce ne sono tanti in circolazione e anche in cima alle classifiche).»

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