
Quali luoghi comuni circolano al suo riguardo nella letteratura commerciale e nei mass media?
Ne circolano moltissimi, che alimentano una inesauribile letteratura di consumo, priva di qualsiasi valore storico, onnipresente in certi scaffali delle nostre librerie. Trovare un libro serio e storicamente fondato sul Graal è difficilissimo, specie in Italia. Lo stesso vale per altri media, ovviamente. Uno dei principali luoghi comuni riguarda la reale esistenza di questo oggetto (che in realtà è un puro mito letterario) da qualche parte del mondo accreditata in questo senso, come Montségur, Glastonbury, Valencia ecc. Molti altri luoghi comuni, ormai molto radicati, sono stati diffusi da un’opera di tre giornalisti anglosassoni, The Holy Grail and the Holy Blood di Baigent, Leigh e Lincoln, e poi ripresi nel Codice Da Vinci di Dan Brown.
Come si sviluppa il ciclo medioevale del Graal?
Lo sviluppo del ciclo è molto complesso. In estrema sintesi si può dire che gli elementi mitologici celtici, ancora ben visibili nel Racconto del Graal di Chrétien de Troyes, sono stati progressivamente cristianizzati nei romanzi successivi, alcuni dei quali sono per esempio profondamente influenzati dalla mistica cistercense. Ma talvolta riemergono anche dati e simboli arcaici, soprattutto di origine celtica, che non erano presenti in Chrétien de Troyes: indizio, come si è detto, dell’esistenza di racconti e leggende anteriori a Chrétien. E dal punto di vista politico-religioso influirono su questi romanzi anche le vicende delle crociate in Terrasanta (lo sviluppo del ciclo è quasi esattamente contemporaneo al periodo che va dalla terza alla quinta crociata): per esempio nel Parzival di Wolfram von Eschenbach i custodi del Graal sono dei “templisti” o “templari” che assomigliano molto ai cavalieri del celebre Ordine militare. Sarebbe un grave errore, perciò, considerare tutti i romanzi del ciclo come l’espressione di un mito coerente e compatto, una sorta di sacra Scrittura del Graal: ciascun autore riprende il simbolo per reinterpretarlo a suo modo, talvolta in polemica esplicita con i suoi predecessori, come nel caso di Wolfram von Eschenbach che dichiara di voler raccontare la vera storia del Graal, travisata e deformata da Chrétien de Troyes.
In che modo il mito fu recuperato nell’ottocento, e in particolare da Richard Wagner?
Wagner conosceva direttamente molti romanzi medievali sul Graal, grazie ad alcuni amici filologi. Ne fece però una rilettura molto personale, in cui si mescolano cristianesimo e religioni orientali, medievalismo romantico ed esotismo, iniziazione ed arte, perfino vegetarianismo e non violenza nei confronti degli animali. Wagner concepì il suo Parsifal come una realizzazione della sua estetica, che intendeva l’opera d’arte moderna come espressione della gnosi contenuta in tutte le grandi religioni (in particolare nel buddismo e nel cristianesimo), che però ne avrebbero perduto il significato. Fu in tal modo il secondo inventore del mito e influì largamente su tutto il suo sviluppo nel Novecento e oltre.
Quale interpretazione esoterica del Graal ne diedero pensatori come René Guénon e Julius Evola?
Guénon (che conosceva le fonti medievali solo in maniera indiretta) ed Evola (che invece conosceva perfettamente sia i romanzi originali che gli studi storico-letterari disponibili al suo tempo) intendevano entrambi il mito del Graal come l’espressione simbolica di dottrine risalenti a quella che chiamavano la Tradizione primordiale, cioè la rivelazione trascendente dalla quale deriverebbero tutte le tradizioni sacre e le religioni dell’uomo. La differenza fondamentale fra i due sta essenzialmente nel fatto che per Guénon il mito è di ispirazione essenzialmente cristiana e dimostrerebbe quindi la piena legittimità tradizionale del cristianesimo, il suo collegamento con la Tradizione primordiale, mentre Evola ne svaluta gli elementi cristiani e lo considera di derivazione nordico-germanica, definendolo un mito imperiale e più precisamente “ghibellino”: il fatto che suo Mistero del Graal sia uscito nel 1937 lascia chiaramente intravedere i rapporti ideologici di questa interpretazione con il fascismo.
Come si presenta il mito del Graal in autori come Italo Calvino e Umberto Eco?
In entrambi il primo approccio è parodistico e ironico, atteggiamento abbastanza originale quando scrissero i loro primi romanzi in cui è presente il tema. Nel Cavaliere inesistente (1959) di Calvino i cavalieri del Graal sono la caricatura delle conventicole misticheggianti già molto diffuse in quegli anni (e più in generale di una visione “mistica” del mondo); nel Pendolo di Foucault (1988) di Eco il Graal è al centro di una visione “complottista” della storia (e più in generale della “interpretazione”) che lo scrittore intende mettere in ridicolo (anche se lo affascina molto dal punto di vista narrativo). In seguito però entrambi gli autori andarono alla ricerca di un Graal “positivo”: per Calvino è lo spazio vuoto grazie al quale si genera la combinatoria di tutti i racconti nel Castello dei destini incrociati, per Eco è un oggetto legato ai ricordi infantili di Baudolino, nel romanzo eponimo: un povera scodella di legno nella quale suo padre aveva bevuto un sorso di vino prima di morire. In quest’ultima idea si può cogliere un’eco evidente del film di Steven Spielberg Indiana Jones e l’ultima Crociata.
Il mito del Graal è alla base anche di recenti successi come Il Codice da Vinci di Dan Brown.
Sì, l’ho già accennato prima. Brown ricava tutta la materia “leggendaria” del suo romanzo dal libro pseudo-storico di Baigent, Leigh e Lincoln (che lo denunciarono anche per plagio). La storia la conoscono tutti: il vero Graal sarebbe Maria Maddalena che fuggendo dalla Palestina nel sud della Francia dopo la morte di Gesù portava in seno un figlio di lui; il sangue di Gesù (Sang réal, “Sangue reale”, pseudo-etimologia di Saint Graal) si sarebbe così trasmesso nei secoli, dando origine alla dinastia dei Merovingi e giungendo fino al nostro tempo, nel quale un discendente di Gesù dovrà regnare su tutto il mondo: terribile segreto per molti potenti. In realtà, nemmeno i tre giornalisti anglosassoni si erano inventati tutto: praticamente ogni tessera della loro delirante ricostruzione storica era stata elaborata tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento da vari autori di ispirazione occultista, fra i quali Péladan, Gadal, Otto Rahn, Gérard de Sède.
Francesco Zambon è professore emerito presso l’Università degli Studi di Trento. Ha studiato la letteratura allegorica e religiosa del medioevo latino e romanzo (in particolare i bestiari), il ciclo romanzesco del Graal e altri aspetti della narrativa francese medievale, la poesia politico-religiosa occitana del XIII secolo, la dottrina e i testi catari, la mistica amorosa del XII e XIII secolo, la letteratura italiana delle origini (in particolare Dante). Ha scritto anche su diversi poeti italiani ed europei del Novecento, fra cui Montale, Pasolini, Pierro, Zanzotto e Pessoa. Sul tema del Graal ha scritto: Robert de Boron e i segreti del Graal (Olsckhi 1984), Il Graal. I testi che hanno fondato la leggenda (Mondadori 2005, in collaborazione con altri), Robert de Boron, Il Libro del Graal (Adelphi 2005), Metamorfosi del Graal (Carocci 2012), Dirige insieme a Mario Mancini la «Biblioteca Medievale» (Carocci). È socio dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e Maître ès Jeux all’Académie des Jeux Floraux di Tolosa. Nel 2017 ha ricevuto la medaglia del Collège de France.