“MES. L’Europa e il Trattato impossibile” di Alessandro Mangia

Prof. Alessandro Mangia, Lei ha curato l’edizione del libro MES. L’Europa e il Trattato impossibile edito da Scholé. Nella crisi economica scaturita dall’emergenza sanitaria, il MES è diventato argomento di strettissima attualità: innanzitutto, cos’è il Meccanismo Europeo di Stabilità?
MES. L'Europa e il Trattato impossibile, Alessandro MangiaIl Mes è fondamentalmente uno strumento per colmare un buco di progettazione del sistema che si è ideato in fretta e furia fra il 1989 e il 1992, anno dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, e cioè l’assenza di una Banca centrale degna di questo nome, che potesse fungere da prestatore di ultima istanza, e cioè di banca delle banche nelle situazioni di crisi. L’impianto di Maastricht è stato costruito sul binomio, moneta unica e bilanci statali separati, facendo ottimisticamente affidamento su uno spontaneo allineamento delle politiche di bilancio e su una convergenza altrettanto spontanea delle economie nazionali all’interno dell’area della moneta unica. Il sistema ha funzionato abbastanza bene fino all’arrivo in Europa della crisi USA dei subprime. Lì si è prodotto una scarsità di capitali che prima ha investito Uk, le cd. Tigri baltiche ed altre economie esterne. Dopodichè, nel 2010, è arrivata in Grecia, trasformandosi in una crisi di finanza pubblica, da crisi di finanza privata che era. È lì che si è preso a parlare di spread e ci si è accorti che gli squilibri che, prima dell’Euro, erano espressi in termini di speculazione sulle monete, adesso si esprimevano in termini di speculazione sui tutoli di stato e diventavano un problema di reperimento di risorse da parte delle amministrazioni statali. A questa crisi di finanziamento greca si è risposto prima con l’istituzione di una società anonima lussemburghese che avrebbe dovuto finanziare – sotto stretta condizionalità – il rifinanziamento del sistema bancario e del bilancio greco in una singola tranche: da qui l’idea del ‘veicolo finanziario’ che piace tanto a chi si occupa di queste cose. E poi attraverso l’istituzionalizzazione di questo veicolo finanziario in una replica europea del FMI. Tant’è vero che al Mes si concepiscono davvero come una specie di Fondo Monetario Europeo, quando in realtà ne è solo una replica funzionale. Del resto non c’è da stupirsi: è tipico del diritto dell’Unione pescare istituti e meccanismi del diritto internazionale e del diritto federale e adattarli alle peculiarità dell’Unione Europea. Il risultato è sempre una replica funzionale di qualcos’altro che alla fine presenta sempre i suoi limiti. In sostanza, siccome nel Trattato di Maastricht ed ora nel TFUE si trova negli artt. 123, 124 e 125 un divieto di finanziamento illimitato dei bilanci statali ci si è trovati, fra il 2010 e il 2012, di fronte ad una alternativa: o saltava l’Eurozona con l’uscita della Grecia, o si derogavano i principi del TFUE sul divieto di finanziamento dei bilanci statali. Il risultato è stato il MES che, pur essendo un istituto di diritto internazionale, è stato raccordato in fretta e furia al diritto dell’Unione attraverso l’inserimento di un III co all’art. 136. Il risultato anche qui è stato anomalo, a conferma di quello che Le dicevo prima. La cosa divertente è che se, per una pura ipotesi di scuola, l’Unione Europea e l’Euro si dissolvessero dall’oggi al domani i rapporti di debito e di credito dei singoli stati con il MES permarrebbero intatti. È chiaro che si tratta di un paradosso, ma fa capire qualcosa della natura del MES, che è una specie di protesi appiccicata in qualche modo ad un corpo istituzionale che è stato progettato monco per non indurre gli stati dell’Eurozona a ciò che gli economisti hanno definito ‘azzardo morale’. E cioè buttare soldi per ragioni elettorali nella consapevolezza che tanto alla fine una Banca Centrale avrebbe finanziato il debito. Il risultato è stato che in caso di crisi, l’Europa si trova senza meccanismi di emergenza e se vuole intervenire deve sospendere o derogare i Trattati. Il secondo risultato è che è dal luglio 2012 che la Costituzione monetaria definita prima a Maastricht e poi nel 2008 a Lisbona è disapplicata. E l’Eurozona vive di interventi straordinari, non previsti dai Trattati, come è stato l’OMT del Whatever it takes di Draghi, come è stato il Quantitative Easing, come adesso è il PEPP e come sarà, forse, il Recovery Fund. L’emergenza ha costretto la BCE di Draghi a staccarsi dalla lettera dei Trattati e a costruire una costituzione monetaria alternativa. Da qui le polemiche vecchie e nuove, soprattutto in Germania, sul rispetto dei Trattati; da qui l’ultima decisone del Bundesverfassungsgericht sulla partecipazione della Bundesbank alla BCE; da qui la data del 5 Agosto per la presentazione da parte della BCE della documentazione relativa alla misura degli acquisti di titoli di Stato eccedenti la partecipazione al capitale BCE da parte della stessa BCE. Anche se ci straccia le vesti, bisogna capire che la Corte costituzionale tedesca difende solo quanto sta scritto nella Costituzione tedesca e nella legge di ratifica del Trattato di Lisbona. Il che ci riporta al concetto di ‘replica funzionale’: come la BCE è la replica funzionale di una Banca Centrale federale; allo stesso modo l’UE è la replica funzionale di uno stato federale. In tempi di normalità e di crescita un’imitazione può bastare; in tempi di crisi se ne vedono i difetti. Ci sarà un motivo se l’originale è sempre meglio dell’imitazione, no? Questo fatto si riverbera anche sul versante del rapporto fra ordinamenti, visto che ordinamento UE e ordinamenti statali sono sempre ordinamenti distinti e separati, retti da distinte Corti di chiusura. E il conflitto in corso tra BVG e Corte di Giustizia. Negli USA nessuno si pone il problema se la Corte Suprema Federale abbia l’ultima parola sulle Corti statali. In Europa sì. Perché non è una federazione. Da qui tutto il resto.

Alla base del MES vi è un difetto nell’architettura istituzionale della BCE: si tratta di una carenza o di una necessità?
Dipende dai punti di vista. Non è stata una dimenticanza: è stata una scelta consapevole. Di più politicamente non si poteva fare. Maastricht 1992 è stata una soluzione provvisoria al problema della riunificazione tedesca cui si sapeva si sarebbe dovuto mettere mano in fretta. Negli USA era comune l’opinione che l’impianto Euro non avrebbe funzionato: basta rileggersi Stiglitz o Rodrik; o adesso il bel volume di Ashoka Mody che è stato appena tradotto in italiano. E non è che non si sapesse. È che quella è stata la scelta del 1992, che è stata adottata come soluzione provvisoria. Del resto funzionalismo e metodo incrementale sono state le parole chiave dell’edificio che si è costruito in Europa fin dal 1956, e che pure, per lungo tempo, ha dato vantaggi a tutti. Maastricht è stata la svolta. Prova ne sia che quando si è provato, quasi vent’anni fa, a redigere una Costituzione Europea per colmare quei buchi di progettazione si è avuto il blocco dei referendum Francese e Olandese del 2005 e del 2006. Da allora si è ripiegato su Lisbona, che ha cercato di far rientrare dalla finestra quanto era stato tenuto fuori dalla porta dei quei voti referendari. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi, e non è granché, diciamolo pure. L’Europa oggi è molto più divisa e divaricata di quanto non fosse vent’anni fa, e le tensioni attuali, se non gli indicatori economici, lo dimostrano. Lo stesso MES serve a molto poco, visto che ormai da anni la BCE sta facendo extra ordinem (secondo alcuni contra legem) quello che c’è da fare per tenere assieme qualcosa che, alle condizioni attuali, assieme non può stare. Se si aggiunge che in questa sbilenca architettura si inseriscono interessi nazionali e, all’interno dei singoli stati, interessi avversi, come è normale che sia, si ha il quadro della situazione. Il MES è un relitto della crisi greca che è stato superato dai tempi, e che, mi lasci dire, ha uno statuto giuridico piuttosto ambiguo. Sostanzialmente è una finanziaria lussemburghese e come tale nasce sotto il nome di EFSF; però, pur essendo una finanziaria che opera sui mercati mondiali a contatto con governi e con la Commissione, è sottratto ad ogni giurisdizione dei paesi dell’area Euro e ha le immunità di uno Stato sovrano. Molto strano, non trova? Tanto più se si ragione che tutte le istituzioni europee continuano a parlare di garanzie e Stato di diritto. Tutto questo è già stato detto nel 2012 dalla Corte costituzionale tedesca e ha condizionato pesantissimamente il processo di ratifica ed entrata in vigore del Trattato. Tant’è vero che il MES in vigore in Germania è formalmente diverso da quello in vigore in tutti gli altri Stati, essendo stato corretto dalla Corte di Karlsruhe; ed il testo nella G.U. italiana è diverso da quello depositato in Consiglio, visto che la decisione tedesca ha costretto a modifiche che ne consentissero l’entrata in vigore in tutta l’Eurozona. Non ci vorrebbe molto, in caso di discostamento dai suoi contenuti. a far valere queste invalidità presso qualunque Corte costituzionale europea. E badi che questo non è affatto un discorso astratto: anzi, stante il precedente del settembre 2012, questo discorso si fa molto concreto in caso di allentamento delle ‘strette condizionalità’ previste dal 136/3 TFUE e dall’art. 3 Trattato MES. Il MES cd. sanitario esiste solo nella fantasia dei funzionari UE e nei comunicati stampa della Commissione e dell’Eurogruppo. Secondo il Trattato del 2012 e il Reg. 472/2013 del Two Pack, che di quel trattato è una sorta di regolamento di esecuzione, il MES può essere attivato solo a tre condizioni: che ci sia rischio per la tenuta dell’Eurozona, che non ci siano altri strumenti disponibili, e che si diano strette condizionalità. Insomma, anche se si vende in giro l’idea che il MES sia una specie di finanziaria pubblica dell’Eurozona, o un piccolo FMI, il MES non è uno strumento bonne a tout faire, ma un’extrema ratio. Che ha precise regole di funzionamento: può darsi che la Corte di Giustizia UE, essendo una Corte domestica, non abbia interesse a far valere i limiti formali all’impiego del MES, come già è stato con il caso Pringle del 2013. Non so come ne uscirebbe da una nuova impugnazione avanti la Corte di Karlsruhe. Né si è sbagliato, nell’ottica dei redattori del Trattato, ad inserire tante cautele. Il Mes era una deroga al divieto di mutualizzazione dei debiti pubblici che regge la Costituzione monetaria europea: alleggerire questi vincoli avrebbe significato rompere il principio cardine del sistema.

In cosa si traduce per l’Eurosistema il timore della mutualizzazione del debito?
Mutualizzare i debiti pubblici significa, in un modo o nell’altro, realizzare trasferimenti di ricchezza da un’area all’altra. Negli Stati unitari questo si realizza attraverso la perequazione fra territori: per capirci, tra Nord e Sud per l’Italia, o tra Ovest ed Est per la Germania. Negli Stati federali come gli USA in misure di sostegno alle Banche Centrali statali da parte della FED, ferma la possibilità di default per gli Stati federati. E il divieto di mutualizzazione è stato l’architrave di Maastricht: moneta unica ma bilanci separati. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Né si può imputare nulla a chi contesta questi trasferimenti, che comunque avvengono quotidianamente grazie alla BCE. Il punto è che, per capirci, in Baviera ci si lamenta dei trasferimenti all’area di Berlino: perché un bavarese dovrebbe pagare per un greco, per un italiano o per un irlandese? Capisce che torniamo sempre all’ambigua situazione istituzionale dell’UE, che non è una federazione e nemmeno una confederazione. Da qui tutti i problemi economici, politici e giuridici – e cioè di rapporto fra ordinamenti e costituzioni diverse – che travagliano l’Europa, e che ne hanno fatto, negli ultimi anni, il tappo della crescita mondiale. Per capirci, in Germania mutualizzazione del debito significa violazione del no taxation without representation, così come violazione del diritto di proprietà, stante che è dagli anni ’20, e cioè dai tempi di Aldag, Triepel e Leibholz, che in Germania la garanzia della proprietà è garanzia del patrimonio, e quindi le politiche inflattive sono percepite immediatamente alla stregua di espropriazioni senza indennizzo. Si tratta di mettere assieme culture politiche e giuridiche diverse all’interno di sistemi economici diversi. C’è da stupirsi che fino al 2011 ci siano stati così pochi problemi. La verità è che la storia delle istituzioni europee dal 1992 ad oggi è una storia di occasioni perdute: dalla fallita costituzione europea fino alla proposta Juncker-Tremonti degli Eurobond e di un mercato obbligazionario europeo, che è stata stroncata sul nascere nel 2010. Da allora si va avanti cercando di calciare avanti il barattolo alla meno peggio, anche perché ogni proposta sensata non può raccogliere nessun consenso negli elettorati nazionali.

Come si concreta, dunque, l’aiuto agli Stati da parte del MES?
Nei modi descritti dal Reg. 472 attraverso le diverse linee di credito previste negli artt. da 14 a 18 del Trattato. Il MES non è fatto solo per finanziare -in modo comunque limitato – i singoli bilanci nazionali, ma anche per ricapitalizzare i singoli sistemi bancari in crisi: per fare, a certe condizioni indicate dal Trattato, quello che ormai fa già da anni la BCE attraverso QE e PEPP, con i problemi di cui abbiamo detto. A rigore non serve più a nulla. Quel che è interessante è che, in caso di accesso alle linee di credito, il paese beneficiato prima va in sorveglianza rafforzata e quindi in aggiustamento macroeconomico qualora il monitoraggio delle finanze pubbliche dia mostra di un peggioramento. Insomma, il rapporto è simile a quello tra una banca privata e un’impresa che chiede un finanziamento. Chi ti dà i soldi vuol essere sicuro di recuperarli e per questo ti manda prima i suoi commercialisti a controllare i conti e poi ti entra in Consiglio di Amministrazione. E nemmeno di questo c’è da lamentarsi se la logica è quella dei rapporti interprivati. Basta esserne consapevoli. L’art. 7 del Reg. 472 da questo punto di vista è chiarissimo: basta leggerselo per capire cosa sia il Mes sanitario o light di cui si è parlato – mi lasci dire a vuoto – negli ultimi tempi. In questo il MES è un eccellente esempio di come la logica del diritto privato – in realtà del diritto bancario e fallimentare – abbia preso il posto del diritto pubblico. È una delle conseguenze delle scelte di Maastricht, di cui non c’è da stupirsi, né da lamentarsi. Basta guardare alle cose con obiettività. Che mi sembra essere esattamente ciò che manca quando si ragiona di questi temi. Da qui tutti gli equivoci in cui ci si avviluppa. Non è che sia impossibile fare ciò che si è detto di voler fare: basta sospendere o derogare il Reg. 472. Dubito però che ci sia sufficiente accordo politico per giungere a questo risultato: significherebbe sospendere le condizionalità previste dal Trattato. In mancanza di questo intervento si continuerà a parlare di cose che, semplicemente, non esistono.

Alessandro Mangia è professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano

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