“Mens una, triplex vis. Paolino di Nola, teologo (e) mistico” di Maria Carolina Campone

Prof.ssa Maria Carolina Campone, Lei è autrice del libro Mens una, triplex vis. Paolino di Nola, teologo (e) mistico edito da Graphe.it: quale importanza riveste, per la storia del pensiero teologico, la figura del vescovo nolano?
Mens una, triplex vis. Paolino di Nola, teologo (e) mistico, Maria Carolina CamponeLa figura di Paolino di Nola è stata sinora considerata di secondaria importanza nell’ambito del formarsi e consolidarsi della riflessione teologica cristiana dei primi secoli. Alla comprensione del pensiero del vescovo nolano ha nuociuto, in particolare, il confronto con altri Padri della Chiesa suoi contemporanei, quali Agostino di Ippona, Ambrogio di Milano, Rufino di Aquileia e Girolamo. Inoltre, a differenza di altri teologi, Paolino non ha mai dedicato trattati o saggi specifici ai temi che hanno caratterizzato la teologia cristiana.

Tuttavia, l’analisi delle epistole e dei carmi evidenzia la presenza di una riflessione precisa sul rapporto col Divino, sulla natura di quest’ultimo, sulla condizione dell’uomo, sul peccato e il libero arbitrio, sul rapporto fra fede e ragione, riflessione che va consolidandosi e sviluppandosi nel tempo e che si sostanzia di puntuali riferimenti scritturistici.

La posizione di Paolino è di grande originalità, giacché il suo approccio alla fede e alla teologia è di natura eminentemente mistica, laddove tale aggettivo è da intendersi nella sua accezione etimologica: come indica la radice del termine (dal greco “myo” = chiudo la bocca) è “mistico” l’atteggiamento dell’uomo che vive un rapporto con l’Altro nella dimensione del silenzio, dell’accettazione e della “passività”. Tale passività non implica l’inattività, ma presuppone la consapevolezza, da parte dell’uomo, di essere guidato da un Altro di cui egli accetta, per amore, la volontà.

Di conseguenza, la riflessione teologica del Nolano parte dalla consapevolezza che ogni conoscenza è dono gratuito e graduale, frutto di un atto d’amore che coinvolge l’individuo tutto.

Il suo pensiero viene sempre esposto, tuttavia, secondo i codici retorici e formali dell’educazione classica ricevuta: ciò ha in parte ostacolato sinora la piena comprensione della sua personalità e della sua speculazione teologica. Un esempio eclatante è il progetto politico che Paolino ha in mente, progetto sinora mai evidenziato negli studi al riguardo e che egli descrive col ricorso a un lessico e a immagini di natura eminentemente platonica, che trovano precisi agganci nella coeva riflessione filosofica e che quindi va analizzato e compreso alla luce della filosofia dell’Ateniese.

Tale progetto, mirante a realizzare una kallipolis cristiana, si pone come corrispettivo della civitas Dei agostiniana e si caratterizza come eminentemente “ eversivo”: il suo ritiro a Cimitile, presso Nola, interpretato in genere come scelta di vita monacale, rientra piuttosto nell’ambito di quel secessus in villam, praticato da tanta parte della nobiltà del tempo, che, coniugato in maniera aderente ai contenuti della nuova fede, doveva necessariamente portare al collasso della società imperiale tardo-antica. Paolino, la cui ricchezza è ricordata da Ausonio con un’espressione pregnante («vetera Paulini regna»), Melania, Sulpicio Severo erano parte di un’élite sociale da cui dipendeva la sussistenza stessa di buona parte dell’economia del morente impero romano, costituivano insomma quella «lost Generation» –per usare un’espressione di Andrew Jacobs- che segna lo spartiacque fra il mondo classico e quello cristiano-medioevale: inevitabilmente la loro scelta di povertà radicale dovette avere conseguenze sinora trascurate su un sistema economico e politico già duramente provato, come quello romano tra IV e V secolo.

La loro fu una “carità eversiva”, teologicamente strutturata, atta a rifondare la società del tempo.

Quali vicende segnarono la vita di Paolino di Nola?
Nato a Burdigala (odierna Bordeaux) intorno al 352/353 da una ricchissima famiglia cristiana di ordine senatorio, Paolino percorse le tappe del cursus honorum (la carriera politica romana) e fu governatore in Campania dal 379 al 381: a questo periodo risale l’inizio della devozione per Felice, il confessore sepolto a Cimitile, presso Nola, intorno alla cui tomba era sorto un complesso cultuale. La sua carriera fu bruscamente interrotta dalla morte dell’imperatore Graziano, ucciso a Lione nel 383 in una congiura ordita dall’usurpatore Massimo, che iniziò a perseguitare i sostenitori del defunto imperatore, fra i quali la famiglia di Paolino. Questi dovette far ritorno precipitosamente in Aquitania per riparare poi in Spagna, dove conobbe e sposò Terasia, fervente cristiana, la quale dovette svolgere un ruolo non secondario nella conversione e nelle successive scelte di vita del marito, scelte che infatti ella condivise in pieno. La cronologia esatta dei singoli avvenimenti relativi a questo periodo ci sfugge, ma di certo esso fu fondamentale e denso di avvenimenti gravidi di conseguenze, dal matrimonio all’incontro con Martino di Tours e Vittricio di Rouen, dal battesimo ricevuto dal vescovo Delfino alla morte del fratello e del figlioletto Celso. Tale luttuoso evento accelerò la realizzazione del progetto di vita ascetica, che probabilmente i due coniugi accarezzavano da tempo: di comune accordo decisero di vendere i loro beni, distribuirne il ricavato ai poveri e vivere insieme, in perfetta castità, a Cimitile, presso la tomba di Felice.

Qui Paolino organizzò una comunità ascetica mista, maschile e femminile, al servizio dei poveri, a uso della quale e dei numerosi pellegrini che vi confluivano fece realizzare una serie di costruzioni, fra le quali una basilica che egli definisce “nova” o “maior” per distinguerla dalla precedente, “vetus” o “minor”, costruita sulla tomba di Felice.

Fra il 409 e il 413 si collocano la morte di Terasia e l’elezione di Paolino al soglio vescovile: mentre la pressione dei barbari ai confini dell’impero si faceva sempre più forte e la stessa Roma veniva saccheggiata nel 410, Paolino si trovò suo malgrado coinvolto nelle dispute teologiche che travagliavano la Chiesa nei primi secoli, dispute nel cui ambito la sua ortodossia e la sua auctoritas vennero universalmente riconosciute. Non a caso, l’imperatore Onorio lo invitò a presiedere a Spoleto, il 13 giugno 419, un sinodo di vescovi, convocato per sanare la vertenza, sorta tra Bonifacio ed Eulalio, alla morte di papa Zosimo, per la successione al soglio pontificio.

Come si sviluppa il suo pensiero?
Paolino esprime una fede improntata sulla chiara definizione della Trinità, il che è notevole, se si pensa che, a pochi anni dal Concilio di Costantinopoli (381), egli ne ribadisce con forza le posizioni nel giovanile carme 5.

Già nel carme 10, che costituisce una sorta di testo programmatico, Paolino, rispondendo ad Ausonio, che insiste col discepolo di un tempo perché ripensi alle sue decisioni e torni ad essere il poeta dotto, ligio agli ideali assorbiti nell’élite della scuola e dell’aristocrazia, mette al primo posto Cristo e il nuovo rapporto con Lui, al quale non può più rinunciare, perché ormai la fede è la sua unica arte e Cristo la sua musica (carm. 10, 19-32).

La certezza della presenza di Dio fa sì che la comunicazione dell’esperienza personale avvenga, nelle pagine del suo corpus, attraverso un racconto che si dipana ora in forma poetica ora attraverso la corrispondenza con i suoi amici e conoscenti, attraverso la quale si ricostruisce anche il cammino di formazione che il Nolano ha compiuto in seguito alla sua conversione.

Paolino dimostra di essere tanto un mistico quanto un teologo che elabora l’evento di cui è protagonista sotto forma di scientia fidei.

La sua teologia si basa sulla certezza dell’epifania di Dio, attestata dalla conoscenza sapienziale che egli sperimenta e che si incentra attorno ad alcuni nuclei tematici forti, intorno ai quali si svolge la discussione nelle prime comunità cristiane: l’immutabilità di Dio, la natura umana e divina di Cristo e quella dell’uomo, la salvezza cui questi anela sono temi ricorrenti, affrontati dal Nolano nella consapevolezza che l’uomo può realizzarsi solo attraverso un incontro d’amore con l’Altro. Tale incontro costituisce la chiave per intendere anche il valore davvero eccezionale che l’amicizia assume in Paolino, valore che scaturisce dal suo essere diretta emanazione del vincolo che unisce l’uomo a Cristo.

Le riflessioni spirituali del Nolano nascono in genere da occasioni pratiche legate alle necessità della comunità cimitilese o a dubbi e problemi postigli dai suoi interlocutori, ma si sviluppano poi in relazione a un orizzonte più vasto, costituito dal destino dell’umo e dall’orizzonte di felicità entro il quale Paolino lo vede inscritto.

Il riconoscimento del suo pensiero teologico si lega strettamente all’aspetto esegetico della sua attività e al rapporto che egli mantiene con le Sacre Scritture, nell’interpretazione e nella selezione delle quali il Nolano presenta aspetti di grande originalità, connessi a una attenta disamina di tutte le implicazioni spirituali.

In effetti, è vero che, com’è stato rilevato, Paolino, ogni volta che viene interpellato su un problema di ordine teologico, rifiuta di rispondere, ma è anche vero che ogni volta a tale rifiuto segue puntualmente quanto richiesto, il che si spiega solo tenendo conto della raffinata educazione letteraria impartitagli dal suo maestro, il retore e poeta Ausonio, nell’ambito della quale il diniego, con la conseguente affermazione della propria incapacità, non è altro che una recusatio canonica, un topos letterario puntualmente smentito nel prosieguo dello scritto.

In che modo il vescovo nolano coniuga l’umanesimo antico con le istanze del cristianesimo?
Paolino è allievo di Ausonio, retore, poeta, istitutore dell’imperatore Graziano. La sua produzione poetica va inquadrata nell’ambito del suo complesso progetto ascetico e spirituale, di cui è parte integrante.

Pur fortemente influenzato dal suo maestro, Paolino vede nella poesia non un divertimento letterario, ma uno strumento per lodare Dio e affermare così un preciso ideale ascetico e mistico, come sostiene esplicitamente nei carmi 10, 11, 15, 22.

La formazione classica ricevuta emerge chiaramente: Virgilio, Orazio, Lucrezio restano per lui modelli di riferimento costanti, in rapporto ai quali l’apporto originale di Paolino è da individuare nel tentativo, ben riuscito, di far incontrare la cultura classica con i nuovi contenuti di fede, fondendo il tutto in unicum che non rinneghi né l’una né gli altri.

Da un lato, egli si dimostra abile nel piegare alle esigenze didascaliche del cristianesimo gli schemi, le formule e il lessico di una letteratura che continua ad essere modello irrinunciabile; da un altro, si rivela fine letterato di un’epoca che è caratterizzata da mille trasformazioni e mutamenti, non solo a livello religioso, ma anche politico, sociale, militare e, insomma, culturale. La poesia di cui egli rivendica la paternità non è solo “nuova” perché cristiana, ma è rinnovata profondamente dall’interno, al punto che anche una scelta lessicale fedele ai suoi modelli finisce con l’assumere una connotazione semantica originale.

Il poeta, in genere, ripropone i classici latini, arrivando a calibrare i suoi versi su quelli dei predecessori e a riprenderne intere espressioni, attinte al testo originale e inserite in un altro contesto, che tuttavia conserva, del primo, le stesse finalità o lo stesso tema.

Un esempio lampante è l’uso che egli fa delle odi di Orazio, in genere richiamate nella parte iniziale dei suoi carmi e in maniera tale da rendere immediatamente riconoscibile il modello, che poi, nel prosieguo del testo, viene rovesciato e ribaltato.

Uno sguardo d’insieme ai suoi carmi dimostra come egli abbia fatto ricorso a tutti i generi letterari classici con la continua volontà di conferire loro nuova forza.

Il convertito Paolino opera così una sublimazione della cultura classica attraverso la fede e l’esigenza di approfondire la parola di Dio si coniuga agli espedienti e alle caratteristiche di una raffinata educazione retorica, alle cui regole il Nolano resta sempre fedele e attraverso le quali va sceverato il suo apporto all’esegesi biblica delle origini.

In lui, il mondo classico non è mai rifiutato, ma continuamente risemantizzato, con un’operazione atta a far sì che quei classici, apparentemente distanti dalla cultura cristiana, diventino lezione perenne da consegnare ai posteri.

Qual è l’eredita di Paolino di Nola?
L’eredità di Paolino riguarda molteplici campi anche non esclusivamente legati alla teologia ed è un’eredità complessa e variegata.

La carità che ne ispira la vita e i suoi contatti con l’intero Mediterraneo, evidenti anche nelle scelte architettoniche compiute a Cimitile, assumono un significato di grande attualità, in un momento storico, come quello in cui viviamo, in cui si assiste, da un lato, a un’estensione simbolico-ideologica dei confini, che a volte rischia di cancellare le identità; da un altro, a una difesa a oltranza delle identità stesse, che rischia di fomentare l’ostilità verso l’altro.

Particolarmente importante e spesso trascurato è l’apporto decisivo che gli autori cristiani hanno dato al costituirsi di una lingua latina rinnovata nel lessico e nei contenuti, fondamentale per la nascita dei volgari.

In particolare, proprio al Nolano si deve il formarsi di un lessico architettonico-artistico ancor oggi vivo e attuale: un esempio per tutti è quello del termine “abside” che, prima di lui, viene utilizzato da Plinio il vecchio, in relazione al moto delle stelle e alla volta celeste, e da Ulpiano, per indicare un piatto da portata tondo e concavo. Paolino lo impiega nell’epistola 32, per descrivere quella zona della basilica, per la quale ancora oggi noi usiamo tale termine. La sua innovazione linguistica è forte ed egli ne è consapevole, tanto che aggiunge all’amico Sulpicio Severo, cui la missiva è indirizzata, «deciderai tu se qui si sarebbe dovuto dire absida o absis; io confesso di non saperlo, dal momento che non ricordo di aver mai letto un tal genere di parola» (ep. 32, 17).

In effetti, ancora oggi noi utilizziamo tale sostantivo come ambigenere, esattamente come Paolino.

L’interesse per l’arte e l’architettura è uno dei tratti di Paolino che lo rende più attuale: egli si rende conto perfettamente della carica dinamica e pubblicistica che tali discipline posseggono. Se, in genere, nell’età paleocristiana e poi medioevale il linguaggio artistico è vera e propria biblia pauperum (bibbia per i poveri) ad uso degli illetterati, è con Paolino che tale accezione dell’arte si fa processo consapevole. Una visita al sito paleocristiano di Cimitile, presso Nola, consente di cogliere almeno in parte l’apporto decisivo che il Nolano diede alla nascita dell’arte cristiana. Nonostante i danni notevoli causati alla basilica paoliniana da eventi geologici, prima, da interventi settecenteschi, poi, e dalle campagne di scavo della prima metà del Novecento, è tuttora possibile ricostruire in loco il processo di “risignificazione” artistica che Paolino avvia. L’arte è per lui una modalità di comunicazione della fede, atta a veicolare contenuti altrimenti difficilmente comprensibili.

Gli scritti di Paolino consentono un’occasione unica consistente nel confronto fra reperti archeologici e testimonianze scritte di prima mano, confronto attraverso il quale è possibile ricostruire la genesi dell’arte cristiana e dell’architettura sacra, delle quali Paolino fu dotto committente ed attento esegeta, come dimostra la lettura del carme 19, in cui la descrizione della croce preziosa fatta realizzare per la basilica nova è occasione per una riflessione trinitaria.

Le pagine di Paolino offrono anche uno spaccato di vita molto interessante e illuminante riguardo la condizione femminile. A differenza di altri autori cristiani, come Tertulliano, rigidamente prescrittivi riguardo le modalità di inserimento delle donne nel mondo, il Nolano riserva un posto d’eccezione a Terasia. Anche se di lei sappiamo molto poco, è di grande rilievo il fatto che egli la citi come co-intestataria di quelle lettere di più forte spessore teologico o in cui affronta con i suoi interlocutori le questioni che attanagliavano il nascente cristianesimo, ulteriore prova dello status paritario che Terasia occupava nell’ambito della coppia.

D’altro canto, la forma di monachesimo scelta da Paolino prevedeva la presenza stabile di donne, secondo una modalità conventuale “mista” che è andata poi scomparendo.

Soprattutto, però, Paolino incarna bene la complessità della condizione spirituale dell’uomo contemporaneo, in bilico fra mondi diversi, in perenne cammino, mosso da una sete di infinito che lo porta a cercare un rapporto costante col Divino.

Maria Carolina Campone, PhD in Soria e critica dell’Architettura, è Professore ordinario di lingue classiche presso la Scuola militare “Nunziatella” di Napoli. Già Professore a contratto presso la Seconda Università degli Studi di Napoli e nei corsi interuniversitari Benecon-Rutgers, membro del comitato scientifico della storica rivista “Arte cristiana”, co-direttore della collana “Pecile” per la casa editrice Graphe.it e relatore in convegni internazionali di studi, è autrice di numerose pubblicazioni su sedi editoriali di prestigio, inerenti i temi del rapporto fra arte e spiritualità.

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