
In questa veste militò a lungo in India, sotto il generale Apollodoto I, che finì poi per fondare un regno autonomo in India. Morto però senza eredi Apollodoto, Menandro fu acclamato re dalle falangi greco-macedoni al suo comando e si insediò sul trono.
Il suo non fu un regno pacifico, tuttavia. In Battriana aveva infatti preso il potere Eucratide il Grande, sovrano aggressivo e ambizioso, che intendeva ridurre tutta l’India in suo potere. Per Menandro nondimeno la priorità era abbattere l’Impero Sunga, un potentissimo Stato indiano che aveva la propria capitale nella metropoli di Pataliputra (l’odierna Patna, situata lungo la vallata del Gange).
A Pataliputra regnava un ex generale, Pushyamitra, campione della tradizione induista, che aveva preso di mira i luoghi sacri ed i fedeli del Buddhismo, scatenando un’autentica persecuzione nei confronti dei seguaci di Siddharta Gautama, tra cui anche diversi Greci che avevano abbracciato la Via del Buddha. Era ovvio che costoro guardassero a Menandro come a un salvatore, ed il giovane re non si fece pregare. Partito da Taxila alla testa di un esercito immenso, comprendente anche centinaia di elefanti da guerra, Menandro si impossessò delle maggiori piazzeforti indù, finendo poi per cingere d’assedio e impadronirsi della stessa Pataliputra, impresa che nemmeno Alessandro aveva mai sognato di portare a compimento. Riuscì al contempo a rintuzzare un’invasione del rivale Eucratide, e dopo la morte di quest’ultimo a prendere il controllo di ampie regioni del Pakistan e dell’Afghanistan.
Dopo un regno lungo e prospero Menandro morì in battaglia nel 130 a.C., cercando di domare una rivolta di un suo ex generale, probabilmente un nobile di nome Zoilo. Lo scrittore greco Plutarco racconta i suoi esotici e affascinanti funerali buddhisti, chiaro emblema della fede che aveva abbracciato nel corso della sua movimentata esistenza.
Quali caratteristiche fanno di Menandro un personaggio singolare?
Sicuramente il suo rapporto con il Buddhismo colpisce molto l’immaginazione di noi moderni. Menandro non era il primo monarca ellenistico ad adottare usi e simboli buddhisti (pensiamo a sovrani battriani come Demetrio l’Invincibile o suo figlio Agathocle), ma fu senz’altro l’unico a diventare protagonista di un’opera letteraria come il Milindapaña (“Le domande di re Menandro”), uno dei testi più noti ed amati della tradizione buddhista.
Nell’opera – suddivisa originariamente in tre libri e composta nel I sec. a.C. – Menandro sostiene un suggestivo dialogo con il monaco Nagasena nel suo palazzo di Sagala (l’odierna Sialkot), e, nel corso della notte, il monaco dissipa tutti i dubbi esistenziali e religiosi del monarca. L’opera è un magnifico affresco dell’India all’epoca della conquista greca ed una miniera di notizie per gli storici contemporanei.
Grazie alle conquiste menandree l’India si aprì poi maggiormente agli influssi occidentali, e nei porti di Barygaza e di Symilla navi mercantili egizie e romane iniziarono ad approdare e a salpare sempre più frequentemente.
Menandro era a capo di un regno sorto sulle rovine dell’impero di Alessandro: quali vicende attraversò l’ellenismo in Asia centrale?
Dopo la morte prematura di Alessandro a Babilonia, nel 323 a.C., il grande impero che il giovane re macedone aveva conquistato si frazionò in varie entità autonome: le maggiori erano senz’altro la Macedonia, l’Egitto e la Siria; quest’ultimo regno, comprendente anche la Mesopotamia, la Persia, l’Afghanistan e l’India nord-occidentale, era retto dalla dinastia dei Seleucidi.
Diodoto I, governatore greco della Battriana, si rivoltò al regno di Siria e diede vita ad un reame indipendente; in India il giovane re Chandragupta Maurya cacciò invece le guarnigioni macedoni e fondò un proprio impero indigeno.
Dalla Battriana, come abbiamo visto, si separò a sua volta ed originò un nuovo Stato, quello indo-greco, che con Menandro si spinse ancora più ad oriente di quanto avesse fatto Alessandro, abbattendo le velleità indipendentiste degli Indiani. Anche a nord del fiume Oxus, nel Fergana (tra gli odierni Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan) nacque un regno greco autonomo, che si staccò a sua volta dalla Battriana.
Tutti questi regni ellenistici dovettero affrontare però, a partire dal II secolo a.C., le invasioni delle tribù dei nomadi dell’Asia centrale, rinomati e temibili arcieri a cavallo. La Battriana cadde nelle mani degli Yuezhi (o Tocari), mentre gli eredi di Menandro resistettero fino al 10 d.C., quando anche le loro falangi vennero spazzate via dalle pagine della Storia. Rimase solo il Fergana a ricordare ancora per alcuni secoli l’antica estensione dell’impero di Alessandro, mentre i Greci di India e Battriana non scomparvero comunque del tutto, continuando la loro operosa esistenza sotto il grande Impero Kushan, che prese il posto dei regni ellenistici asiatici.
La fine politica dei Greci in Asia non significò tuttavia la fine del loro influsso culturale: basti pensare all’arte del Gandhara, che fuse mirabilmente temi buddhisti con l’arte scultorea ellenistica; grazie ad essa il Buddha ebbe per la prima volta una rappresentazione fisica, con un volto che ricordava Apollo e vesti simili alle toghe romane. I meravigliosi Buddha di Bamiyan, barbaramente distrutti dai Talebani, erano uno degli esempi migliori di quest’arte capace di attraversare i secoli.
Come si manifestò l’incontro fra due culture, quelle greca e indiana, entrambe millenarie?
L’incontro tra un popolo sincretico, tollerante e curioso come quello greco ed una cultura antica, affascinante e complessa come quella indiana non poteva che dare ottimi frutti. Il Buddhismo offriva ai Greci più di un motivo di interesse e furono molti gli Elleni ad abbracciare l’insegnamento di Siddharta: il Dharma non è mai stato infatti “un dio geloso” e lasciava a chi lo abbracciava ampie possibilità di conservare riti e culti d’origine. Anche l’Induismo attirò i Greci, che riconoscevano ad esempio in Krishna una versione del loro più familiare Eracle (esiste ancora oggi in India una colonna eretta da Eliodoro, ambasciatore del re indo-greco Antialcida, nel I sec. a.C., proprio in onore di Garuda, cavalcatura mitologica del dio Krishna).
Un’altra grande passione che accomunava Greci ed Indiani era il teatro, e numerose opere teatrali indiane (come Malavita e Agnimitra, del drammaturgo Kalidasa) ricordano ampiamente le vicende che videro i Greci di Menandro protagonisti. Scultura e pittura ellenistica ed indiana proseguirono poi assieme il loro cammino, come abbiamo già ricordato, esprimendosi attraverso l’originalissima Arte del Gandhara: non a caso scopriamo che uno dei primi pittori a raffigurare il ciclo delle vite precedenti di Buddha, a Turfan, lungo la Via della Seta, è proprio un occidentale, tale Tito (“Tita” in dizione locale), proveniente dall’Impero Romano.
Mi piacerebbe concludere citando un brano de Le domande di re Menandro, che meglio di tutti può trasmetterci il profondo e reciproco rispetto che queste due impareggiabili culture nutrirono l’una nei confronti dell’altra:
«Il re Menandro disse: “Venerando Nagasena, vuoi conversare con me?”. “Se tu, gran re, converserai come fanno i saggi, io converserò con te, ma se tu vuoi conversare come fanno i re, io non converserò”. “Come conversano allora i saggi, venerando Nagasena?”. “Gran re, quando i saggi conversano, un concetto viene svolto e completamente spiegato, lo si controlla e poi lo si espone in modo conveniente, si fanno distinzioni e controdistinzioni, e in seguito a ciò i saggi non si irritano. È così che conversano i saggi”. “Come allora discutono i re?”. “Quando i re discutono avviene così: essi approvano un argomento e puniscono chi non lo approva. Così discutono i re”. “Io voglio discutere secondo il modo dei saggi, venerando Nagasena, non secondo il modo dei re. Che si conversi, o venerando, amichevolmente, come se tu conversassi con un monaco o un novizio o un fedele laico o con un servitore della comunità (…), non si deve aver timore”. Nagasena assentì dicendo: “Va bene così, signore”.»
In tempi spesso intolleranti e difficili come i nostri figure come quella di Menandro penso possano offrire ancora più di uno spunto di riflessione.