
Con queste poche righe possiamo già intuire di cosa narri il romanzo di Arthur Golden, Memorie di una geisha. Perché non basta il titolo in sé a fornire gli indizi che ci servono, abbiamo anche bisogno di una citazione che possa riassumere il modo in cui l’autore ha deciso di parlare di una figura tanto misteriosa- e spesso stereotipata- per l’occhio occidentale come quella della geisha.
Prima di parlare della storia, penso sia necessario menzionare come, nei primi anni del 2000, vi siano stati diversi dissapori tra lo scrittore e la geisha che ha fornito tutte le informazioni necessarie per la scrittura del romanzo, Mineko Iwasaki. Questi dissapori sono sfociati in vere accuse di diffamazione, risolte per vie legali. E credo che questo episodio possa ricordare a chi sta leggendo Memorie di una geisha come, di fatto, questa storia sia un romanzo e che, quindi, non debba essere letto come un saggio sulla figura della geisha, né essere usato per imparare l’accurata storia della geisha. Ma, come già accennato in precedenza, è un libro che può aiutare a vedere una parte della cultura giapponese senza l’influenza dei preconcetti occidentali, a sensibilizzare su storie di vite difficili e a empatizzare con queste donne eleganti, irraggiungibili e mistiche.
La protagonista che Golden crea per trascinarci in questo mondo lontano, sia fisicamente che culturalmente, è Sayuri Nitta, bellissima donna giapponese dagli insoliti occhi azzurri che ci racconta in prima persona tutte le vicende che l’hanno portata a diventare una delle geisha più importanti e famose di Kyoto. Già dalla prima pagina, Sayuri vuole comunicarci quanto la vita possa essere imprevedibile e composta di incontri casuali che definiscono il futuro, perché è così che lei ha percepito il banale incidente che, ancora bambina, la porterà fuori dal piccolo villaggio di pescatori di Yoroido, verso il quartiere di Kyoto dove le geisha vengono educate e istruite. Spesso gli eventi che si verificano nella vita di Sayuri ci sembrano senza via d’uscita, ma, andando avanti a leggere, comprendiamo come senza quel passaggio niente di ciò che succede nelle pagine successive sarebbe stato possibile.
L’acqua non aspetta mai. Cambia forma e scorre attorno alle cose, trovando sentieri segreti a cui nessun altro ha pensato: un pertugio nel tetto od un piccolo buco in fondo a una scatola. Senza alcun dubbio è il più versatile dei cinque elementi, Può dilavare la terra, spegnere il fuoco, far arrugginire un pezzo di metallo e consumarlo. Persino il legno, che è il suo complemento naturale, non può sopravvivere se non viene nutrito dall’acqua.
La scrittura di questo libro è dolce e malinconica, il racconto della geisha viene arricchito da inusuali similitudini che richiamano frequentemente la natura. La sfera emotiva del lettore viene travolta e stimolata in tante sfumature differenti e ne rimane meravigliata, come se fossimo noi stessi a Kyoto e stessimo vivendo personalmente il momento che sta narrando la protagonista. Sono le continue associazioni di quest’ultima a permettere di visualizzare istantaneamente quest’epoca passata come se Saiyuri fosse una maschera che noi lettori indossiamo per vedere il quartiere Gion con i nostri occhi. Il viso tondo di Zucca si mostra nitido nella sua somiglianza con l’omonimo vegetale, visualizziamo la noncuranza della Madre nell’acconciarsi i capelli, proviamo disagio nel comprendere la somiglianza tra il volto bruciato di Nobu e la pasta di fagioli rossi che si mischia al riso… noi stessi non ci sentiamo più lettori e diventiamo quella donna. E in poco più di cinquecento pagine viviamo una vita intera che non ci appartiene, ma diventa inspiegabilmente parte di noi.
Memorie di una geisha è un libro che consiglio spesso: permette di evadere facilmente dalla realtà a cui si è abituati, in particolare a quella del mondo occidentale; di viaggiare in un Paese lontano e in un’epoca passata, ma ancora abbastanza vicina da percepirla vividamente; di sentire con empatia rara le emozioni di una persona senza che vengano esplicitate su carta.
Quali che siano stati i nostri conflitti e i nostri trionfi, per quanto indelebile sia il segno che questi abbiano potuto lasciare su di noi, finiscono sempre per stemperarsi come una tinta ad acquerello su un foglio di carta.
Federica Masini